Randolph Bourne

La guerra è la salute dello Stato

(1918)

 



Nota

Una analisi estremamente potente del legame genetico tra Stato territoriale e guerra, e dell’impiego della guerra da parte dello Stato in modo da far emergere gli istinti gregari delle persone. Questa stretta connessione (Stato-Guerra) mostra chiaramente il ruolo e la funzione dello Stato come “la forma organizzativa dell'intero branco.”

Fonte: Randolph S. Bourne, The State, in War and the Intellectuals, Collected Essays, 1915-1919. Questo è un estratto dall'ultimo saggio, rimasto incompiuto, dei suoi scritti sulla guerra.

 


 

La guerra è la salute dello Stato.

Essa mette automaticamente in movimento, attraverso tutta la società, quelle forze irresistibili che giocano a favore dell’uniformità, dell’azione infervorata delle masse a sostegno del governo, al fine di costringere all’obbedienza anche quei gruppi minoritari e quegli individui che non condividono il sentimento di appartenere ad un grande branco. L’apparato di governo mette in moto e applica misure punitive drastiche, per cui le minoranze sono o intimidite, riducendole al silenzio, oppure gradualmente condotte alla sottomissione, attraverso un sottile procedimento di persuasione che, a loro stesse, potrebbe apparire come una vera e propria conversione. Chiaramente, l’ideale di perfetta lealtà  e di perfetta uniformità non è mai raggiunto. Le classi di persone sulle quali ricade l’opera amatoriale di coercizione sono instancabili nel loro zelo, ma spesso il loro attivismo, invece di convertire, serve semplicemente a irrigidire la resistenza degli altri. Le minoranze sono rese astiose, ed emerge qualche espressione intellettuale amara e mordace. Ma, in generale, la nazione in tempo di guerra raggiunge una uniformità di sentimenti, una gerarchia di valori, che culminano nell’apice indiscusso dell’ideale statale, la qual cosa non potrebbe essere prodotta attraverso nessun altro mezzo se non la guerra. Altri valori come la creazione artistica, il sapere, la razionalità, la bellezza, il miglioramento dell’esistenza, sono istantaneamente e quasi unanimemente sacrificati. Le classi più importanti, che si sono poste nel ruolo di agenti al servizio dello Stato, si impegnano non solo nel sacrificare quei valori nella loro vita ma anche nel costringere tutti ad abbandonarli.

La guerra - o quantomeno la guerra moderna condotta da una repubblica democratica contro un nemico potente - sembra assicurare ad una nazione quasi tutto quello che il più acceso idealista politico potrebbe desiderare. I cittadini non sono più indifferenti al loro governo ma ogni cellula del corpo politico trabocca di vita e di azione. Siamo finalmente sulla strada della piena realizzazione della comunità collettiva, nella quale ogni individuo possiede in qualche modo le virtù dell’insieme. In una nazione in guerra ogni cittadino si identifica con il tutto, e si sente immensamente rafforzato da questa identificazione. Lo scopo e il desiderio della comunità collettiva vivono in ogni persona che aderisce incondizionatamente alla causa della guerra. L’ostacolo rappresentato dalla distinzione tra la società e l’individuo è quasi cancellato. In guerra, l’individuo quasi si identifica con la società. Egli consegue una straordinaria sicurezza di sé, una presunzione della giustezza delle sue idee ed emozioni, cosicché, attraverso la soppressione degli oppositori o degli eretici, diventa invincibilmente forte. L’individuo sente di avere dietro di sé tutto il potere della comunità collettiva.

In guerra, il singolo come essere sociale sembra aver raggiunto quasi la sua apoteosi. Nessuna spinta religiosa avrebbe potuto fare in modo che la nazione americana mostrasse in massa una tale devozione, un tale spirito di sacrificio e di abnegazione. Di certo, per nessun bene terreno, come l’istruzione per tutti o il controllo sulle forze della natura, la comunità collettiva avrebbe impegnato le sue risorse e dato la sua stessa vita, o avrebbe permesso l’introduzione di misure severe e coercitive contro di sé, come il prelievo forzato del suo denaro e la coscrizione militare dei suoi uomini. Ma, per amore di una guerra di attacco difensivo, intrapresa per sostenere una causa difficile con il messaggio propagandistico della “democrazia”, la nazione raggiungerebbe il livello più elevato mai visto di sforzo collettivo.

Infatti, quei beni terreni connessi con il miglioramento della vita, l’educazione dell’essere umano e l’impiego della sua intelligenza per realizzare la razionalità e la bellezza nella vita in comune, tutto ciò è estraneo al nostro ideale tradizionale di Stato. Lo Stato è intimamente connesso con la guerra, in quanto è l’organizzazione della comunità collettiva allorché agisce politicamente, e agire politicamente nei confronti di un gruppo rivale ha sempre significato, nel corso della storia, fare la guerra.

Non vi è nulla di offensivo nell’impiego del termine “branco” in connessione con lo Stato. Si tratta solo del tentativo di condensare in una parola i principi primi che caratterizzano la natura di questa istituzione all’ombra della quale noi tutti viviamo, ci muoviamo e ci troviamo. Gli etnologhi, in generale, concordano sul fatto che la società umana è apparsa originariamente come un gruppo compatto e non come un insieme di individui o di coppie. Il branco è infatti l’unità iniziale, e le personalità individuali si sono sviluppate solo quando il branco si è differenziato. Si è visto che tutti i più primitivi tipi di esseri umani che sono sopravvissuti, vivevano all’interno di una organizzazione sociale molto complessa ma anche molto rigida, dove le opportunità di esprimere la propria individualità erano assai scarse. Queste tribù continuano ad essere branchi strettamente organizzati; e la differenza tra loro e lo Stato moderno riguarda il grado di sofisticazione e la varietà di organizzazione, non certo la tipologia.

Gli psicologi riconoscono l’istinto gregario come una delle spinte primitive più forti che mantiene assieme i branchi nelle specie differenti di animali superiori. La specie umana non fa eccezione. La nostra storia evolutiva fatta di lotte ha impedito che questo istinto si spegnesse. Tale istinto gregario consiste nella tendenza a imitare, a conformarsi, a coalizzarsi, e raggiunge la sua massima potenza quando il branco si ritiene minacciato da un attacco. Gli animali si raggruppano per cercare protezione, e gli esseri umani diventano estremamente consapevoli del loro essere collettivo quando sono sotto la minaccia di una guerra. La consapevolezza di essere un collettivo genera fiducia e un senso di forza moltiplicata, il che a sua volta innalza lo spirito bellico, e allora inizia la lotta. Nell’essere umano civilizzato, l’istinto gregario agisce non solo per produrre una azione concertata di difesa, ma anche una identità di opinioni. Dal momento che il pensiero è una forma di comportamento, l’istinto gregario straripa oltre la sua sfera ed esige quel senso di uniformità di pensiero che, in tempo di guerra, è prodotto in maniera così efficace. Lo spirito gregario genera disastri proprio attraverso questo annullamento della vita cosciente della società.

Così come nelle società moderne l’istinto sessuale è enormemente presente per le necessità della propagazione della specie umana, così l’istinto gregario è presente in quantità di gran lunga eccedente rispetto alla funzione di protezione che è chiamato ad assolvere. Sarebbe di certo sufficiente essere gregari quel tanto che basta per godere della compagnia di altri, per essere capaci di cooperare con loro, e per avvertire un leggero disagio nel restare isolati. Tuttavia, sfortunatamente, questa spinta ad essere gregari non si accontenta di queste esigenze ragionevoli e salutari, ma insiste perché l’uniformità culturale regni dappertutto, in tutte le sfere della vita. Di modo che qualsiasi progresso umano, qualsiasi novità e assenza di conformismo, si scontrano con la resistenza di questo tirannico istinto-gregario che spinge gli individui a obbedire e a conformarsi alla maggioranza [1]. Anche nelle società più moderne e culturalmente più avanzate questo istinto mostra scarsi segni di ridursi. Essendo alimentato da una inesorabile esigenza economica proveniente dalla sfera dell’utilità, sembra attecchire ancora più saldamente nell’area dei sentimenti e delle opinioni, di modo che l’uniformità viene ad essere un fattore vigorosamente desiderato e richiesto.

L’istinto gregario mantiene la sua presa in maniera ancor più virulenta allorché il gruppo è in movimento o sta intraprendendo una azione. Questo sentimento di fare parte e di essere sostenuto dall’insieme del branco stimola ancor più quella volontà di potenza il cui nutrimento l’organismo individuale richiede in continuazione. L'individuo si sente potente conformandosi alla massa, mentre si sente misero e impotente se isolato da essa. E anche se l’individuo non gode di alcun potere pensando e sentendo come ogni altro individuo del suo gruppo, egli ne ricava almeno un sentimento piacevole legato al fatto di essere disposto ad obbedire e la rassicurante convinzione che qualcuno è responsabile per la sua protezione.

Associando queste vigorose tendenze presenti nell’individuo - il piacere del potere e il piacere dell'obbedienza - l’istinto gregario diventa un fattore irresistibile nella società. La guerra stimola questo fattore al più alto grado possibile. Essa convoglia gli influssi della misteriosa corrente del branco, dilatando il potere e l’obbedienza verso gli ambiti più lontani della società, raggiungendo ogni individuo e qualsiasi piccolo gruppo riesca a coinvolgere. E lo Stato - l’organizzazione dell’intero branco, dell’intera collettività - si basa proprio su questo istinto e lo utilizza a fondo.

Vi è, certamente, in ciò che si sente nei confronti dello Stato, un notevole elemento di puro misticismo filiale. Il senso di insicurezza, il desiderio di essere protetti, rinvia questa voglia al padre e alla madre a cui è associato il sentimento originario di protezione. Non è quindi un caso che si pensi allo Stato come a una figura paterna, la Patria (Fatherland) o la Madrepatria (Motherland) e che la relazione dell’individuo verso di esso sia concepita in termini di affetti familiari.

La guerra ha mostrato che mai, sotto l’impatto del pericolo, questi atteggiamenti primitivi e infantili hanno mancato di prendere di nuovo il sopravvento, nel nostro paese come altrove. Se non abbiamo l’intenso senso dell’affetto filiale del tedesco che venera la sua Patria (Vaterland), qui da noi abbiamo almeno nello Zio Sam (Uncle Sam) un simbolo di protezione, una autorità buona; e facendo riferimento alle numerose immagini di madri utilizzate dalla Croce Rossa, vediamo come è stato facile per lo Stato utilizzare la figura della madre al servizio del reclutamento per la guerra, raffigurando l’organizzazione governativa in termini di una famiglia. Un popolo in guerra diventa, nel senso più letterale della parola, una massa obbediente, rispettosa, dei bambini nuovamente fiduciosi, pieni di una ingenua fede nella saggezza infinita e nell’onnipotenza della persona adulta che si prende cura di loro, impone su di loro il suo potere dolce ma necessario, ed essi trasferiscono in quella persona le loro ansie e responsabilità. In questo ritorno alla condizione di bambino vi è un grande conforto e il ritrovamento di un certo potere infantile. Per la maggior parte degli individui, la tensione che scaturisce dal fatto di essere una persona adulta indipendente risulta pesante, e ciò avviene soprattutto per quei membri delle classi più importanti a cui tale tensione è stata lasciata in eredità o che hanno assunto le responsabilità di governo.

Lo Stato fornisce il simbolo più comodo sotto il quale queste classi possono mantenere tutte le soddisfazioni concrete del governare, liberandosi al tempo stesso del fardello mentale dell’età adulta. Esse continuano a dirigere l’apparato industriale e governativo e tutte le istituzioni della società, non molto diversamente da come avveniva prima, ma nella loro visione mentale e agli occhi dell'opinione pubblica in generale, gli individui appartenenti a queste classi si sono allontanati dal loro comportamento predatorio e sono diventati leali servitori della società, o qualcosa di più grande delle loro stesse persone. Sono diventati lo Stato. La persona che passa dalla direzione di una grande impresa a New York a un posto di gestione dei servizi militari a Washington, apparentemente non cambia di molto le sue funzioni di potere o le sue tecniche di amministrazione. Ma, dal punto di vista psicologico, una trasformazione enorme ha avuto luogo. Adesso egli non incarna solo il potere ma anche la gloria! E il suo sentimento di soddisfazione è direttamente proporzionale non al grado di autentico sacrificio personale che potrebbe essere richiesto da tale cambiamento di funzioni, ma alla misura in cui mantiene le sue prerogative di azione e il suo senso del comando.

Una certa dose di recriminazione sorge dai membri di questa classe se il passaggio da una impresa privata al servizio dello Stato porta ad una qualche perdita di potere e di privilegi personali. Se vi deve essere un sacrificio concreto, che esso sia nel campo dell’onore, nella morte in battaglia da tutti celebrata, in quella deviazione verso il suicidio che è, per Nietzsche, la guerra [2]. Lo Stato, in tempo di guerra, appaga questo desiderio profondo, ma il suo principale valore consiste nell’opportunità che esso offre per questa regressione ad atteggiamenti infantili. La reazione delle persone ad un immaginario attacco al proprio paese o a un insulto al proprio governo, consiste nel compattarsi sempre più nel branco, in cerca di protezione. Ci si conforma ad esso nelle parole e nei fatti, e si pretende energicamente che tutti pensino, parlino e agiscano all’unisono. E la massa fissa il suo sguardo di adorazione sullo Stato, con un trasporto del tutto filiale, come si fa all’indirizzo del buon pastore, il capo del suo gregge, il simbolo quasi personale che ben rispecchia le azioni e idee della massa.

 


 

Note

[1] Negli anni 1950, lo psicologo sociale Solomon Asch ha effettuato un famoso esperimento che ha messo in luce la fragilità della persona in una società di massa. Infatti, quando confrontato con le opinioni contrarie di una maggioranza, l’individuo mostra la tendenza a conformarsi a quanto espresso dagli altri anche se ciò va contro le proprie percezioni dirette. Si veda: Solomon Asch, Opinions and Social Pressure, 1955.

[2] Friedrich Nietzsche (1844-1900) filosofo tedesco che ha espresso nei suoi scritti pensieri estremamente anti-convenzionali. Secondo Nietzsche, per le classi dirigenti “la guerra è una deviazione verso il suicidio” (La Gaia Scienza, 1882). Egli ha anche definito lo Stato “il più freddo dei freddi mostri” (Così parlò Zarathustra, 1883).

 


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