Lysander Spooner

La legge di natura

(1882)

 


 

Nota

Questo scritto di Lysander Spooner ebbe, ai suoi tempi, un influsso considerevole tra gli anarchici negli Stati Uniti e in Europa. Fu ristampato più volte negli anni successivi alla sua prima edizione. Per Spooner doveva rappresentare l’introduzione ad un lavoro più ampio sulla legge naturale intesa come ordine nella libertà, ma l’autore non poté mai attuare il suo progetto.

Fonte: Lysander Spooner, Natural Law or The Science of Justice. A Treatise on Natural Law, Natural Justice, Natural Rights, Natural Liberty, and Natural Society; Showing That All Legislation Whatsoever is an Absurdity, a Usurpation, and a Crime, Liberty, 18 marzo 1882.

 


 

Capitolo I.
La scienza della giustizia

Sezione I

La scienza del mio e del tuo – la scienza della giustizia – è la scienza di tutti i diritti umani; di tutti i diritti attinenti alla persona umana e alla sua proprietà; di tutti i suoi diritti alla vita, alla libertà e alla ricerca della felicità.
È la sola scienza che può dire ad un individuo quello che può e che non può fare; quello che può e non può avere; quello che può e non può dire, senza che siano infranti i diritti di qualsiasi altra persona.
È la scienza della pace, l'unica scienza della pace, poiché è la sola scienza che può dirci a quali condizioni l'umanità può vivere in pace o gli individui potrebbero vivere in pace, l'uno con l'altro.
Queste condizioni sono semplicemente le seguenti.
Innanzitutto, che ognuno si comporti nei confronti degli altri come lo esige la giustizia; ad esempio, che saldi i suoi debiti, che restituisca al suo legittimo proprietario ciò che è stato prestato o ciò che è stato rubato; e che faccia ammenda per qualsiasi danno possa aver cagionato alla persona o alla proprietà altrui.
La seconda condizione è che ognuno si astenga dal fare ad un altro una qualche cosa vietata dalla giustizia come, ad esempio, che si astenga dal commettere furti, rapine, incendi dolosi, assassini, o qualsiasi altro crimine contro la persona o la proprietà di un altro.
Per tutto il tempo in cui queste condizioni sono realizzate, le persone vivono in pace e possono rimanere in pace tra di loro. Ma quando una di queste condizioni è infranta, le persone sono in guerra. E la guerra necessariamente si protrae fino a quando la giustizia è ristabilita.
Nel corso della storia, a memoria degli storici, tutte le volte che l'umanità ha cercato di vivere in pace in una comunità, sia gli istinti naturali che la saggezza collettiva della razza umana hanno riconosciuto e prescritto, come condizione indispensabile, l'attenersi a questa sola ed unica obbligazione, e cioè, che ciascuno si comporti onestamente verso tutti gli altri.
L'antica massima che riassume l'insieme dei doveri normativi nei confronti degli altri esseri umani è semplicemente la seguente: “Vivere onestamente, non fare male ad alcuno, dare a ciascuno il suo.” [“Honeste vivere, neminem laedere, suum cuique tribuere" - Ulpianus, Regularum in Digesto, lib. I, 10, 1].
L'intera massima può essere espressa in realtà con le semplici parole, vivere onestamente, dal momento che chi vive onestamente non fa male ad alcuno e dà a ciascuno quanto gli è dovuto.

Sezione II

Senza dubbio l'essere umano ha molti altri obblighi morali nei confronti dei suoi simili, come dar da mangiare agli affamati, vestire gli ignudi, offrire un rifugio ai senzatetto, curare i malati, proteggere gli indifesi, assistere i deboli e istruire gli incolti. Ma questi sono semplici doveri morali, dei quali ogni persona deve essere il suo proprio giudice, in ogni caso specifico e per quanto concerne se, come e in che misura, il singolo individuo può o vorrà praticarli. Ma riguardo ai suoi obblighi normativi – vale a dire il dovere di comportarsi onestamente nei confronti dei suoi simili – gli altri individui non solo possono giudicare ma, per la loro stessa tutela, devono giudicare. E se occorresse farlo, essi dovrebbero, a buon diritto, obbligare l'individuo ad attenersi a quelle norme. Essi possono farlo singolarmente o agendo di concerto con altri. Possono farlo nel momento in cui sorge la necessità, o in maniera deliberata e sistematica, se preferiscono così e se la situazione lo esige.

Sezione III

Sebbene ciascuno e tutti – e un essere umano singolarmente o in gruppo, non meno di ogni altro – abbiano il diritto di opporsi all'ingiustizia ed esigere giustizia, per sé stessi e per tutti coloro che possono aver subito un torto, per evitare errori che potrebbero sorgere dalla fretta e dalle passioni, e per fare in modo che, a tutti coloro che lo desiderano, sia assicurata una protezione senza dover fare ricorso alla forza, è evidentemente desiderabile che gli individui si associno, nella maniera più libera e volontaria possibile, per preservare la giustizia tra di loro e per la reciproca protezione contro coloro che commettessero atti ingiusti. È anche altamente desiderabile che essi si mettano d'accordo su un qualche piano o sistema giudiziario che, nel sottoporre a giudizio le cause, assicuri prudenza, riflessione, analisi accurata dei fatti e sia, per quanto possibile, svincolato da qualsiasi influsso indebito se non il semplice desiderio di rendere giustizia.
Ebbene, tali associazioni possono essere legittime e auspicabili solo nella misura in cui sono puramente volontarie. Nessuna persona può essere legittimamente forzata ad unirsi ad una di esse o a sostenerla contro la sua volontà. Solo il suo proprio interesse, il suo personale giudizio e la sua stessa coscienza, devono decidere se una persona si unirà a questa o a quella associazione o a nessuna di esse. Se un individuo decide di contare, per la protezione dei suoi diritti, solo su sé stesso e sull'assistenza volontaria che altre persone gli potrebbero offrire qualora ne sorgesse la necessità, costui ha perfettamente diritto a comportarsi così. E questa linea di condotta sarebbe ragionevolmente sicura se egli stesso, in presenza di ingiustizie ai suoi simili, fosse pronto ad assisterli e a correre in loro difesa, come normalmente avviene tra esseri umani; ed egli stesso mettesse sempre in pratica i principi del “vivere onestamente, non arrecare danno ad alcuno e dare a ciascuno ciò che gli è dovuto.” Infatti, una persona simile è ragionevolmente sicura di trovare sempre degli amici e altri pronti a difenderlo a sufficienza in caso di bisogno, che sia membro oppure no di una qualche associazione di protezione.
Quello che è certo è che nessuno può legittimamente pretendere che un individuo aderisca o sostenga una associazione di cui egli non desidera la protezione. Come pure nessuno può ragionevolmente o legittimamente pretendere che un individuo aderisca o sostenga una qualche associazione i cui piani o modi di procedere egli non approva in quanto non li ritiene adatti per conseguire i pretesi scopi dell'associazione, di preservare la giustizia e, al tempo stesso, di evitare di commettere ingiustizie. Aderire o sostenere una associazione che la persona ritiene inefficiente, sarebbe cosa assurda. Aderire o sostenere una associazione che, a giudizio della persona, commette essa stessa atti ingiusti, sarebbe cosa criminale. Perciò l'individuo deve essere lasciato libero di aderire o non aderire ad una associazione finalizzata alla protezione, o per quanto concerne altri fini, e questo sulla base dei suoi interessi, del suo giudizio personale o della sua coscienza.
Una associazione per la protezione reciproca contro l'ingiustizia è come una associazione per la protezione in comune contro gli incendi o i naufragi. E non sussistono maggiori diritti o ragioni nel costringere un individuo ad aderire o sostenere una di queste associazioni, contro la sua volontà, giudizio o coscienza, di quanti ve ne siano nel costringerlo ad aderire o sostenere qualsiasi altra associazione i cui benefici (posto che ve ne siano) egli non vuole o i cui scopi e metodi egli non approva.

Sezione IV

Nessuna obiezione può essere fatta a queste associazioni volontarie con il pretesto che esse mancherebbero di conoscenze in materia di giustizia, intesa come scienza, il che è necessario per consentire loro di preservare la giustizia ed evitare che commettano esse stesse una qualche ingiustizia. L'onestà, la giustizia, la legge di natura, sono di solito questioni molto chiare e semplici, comprese facilmente da persone comuni. Coloro che desiderano sapere di cosa si tratti, in un qualche caso specifico, raramente devono impegnarsi a fondo per scoprirlo. È vero che queste cose le si devono apprendere come qualsiasi altra scienza. Ma è anche vero che le si apprende molto facilmente. Sebbene siano cose che si prestano ad un numero infinito di applicazioni come infinite sono le relazioni e le transazioni degli individui tra di loro, tuttavia esse sono fatte di un ristretto numero di principi elementari, della cui verità e giustizia ogni persona dotata di normale intelletto ha una percezione quasi istintiva. E quasi tutti gli esseri umani percepiscono alla stessa maniera ciò che costituisce la giustizia o cosa esige la giustizia, quando essi afferrano in maniera simile i fatti dai quali trarre le loro conclusioni. 
Le persone che vivono a contatto tra di loro, e che hanno comuni rapporti, non possono fare a meno di apprendere la legge di natura in misura notevole, anche se non lo volessero. I rapporti tra gli individui, ciò che essi posseggono separatamente e ciò che ognuno di loro vuole, le tendenze di ciascuno riguardo a quello che egli esige insistentemente, la sua specifica convinzione riguardo a quanto gli sia dovuto, e il suo non sopportare e non accettare le offese riguardo a quelli che egli ritiene essere i suoi diritti, presentano, con forza e di continuo, nella mente delle persone, gli interrogativi: È questo atto giusto o ingiusto? È questo oggetto mio o suo? E tali interrogativi appartengono alla sfera della legge di natura e sono questioni che, in riferimento alla grande quantità di casi, trovano nella mente umana risposte dappertutto simili.
(Sir William Jones, un giudice inglese in India, ed uno dei giudici più colti che sia mai vissuto, conoscitore della giurisprudenza asiatica come di quella europea, afferma: “Fa piacere notare la somiglianza o piuttosto l'identità di quelle conclusioni che la ragione pura, non sviata da pregiudizi, in tutti i tempi e presso tutti i popoli, raramente manca di raggiungere in quelle inchieste giudiziarie che non sono ostacolate e vincolate da istituzioni burocratiche.” - Jones on Bailments, 133. Ciò che il giudice vuole dire è che, in assenza di una qualche legge che violi la giustizia, i tribunali giudiziari “in tutti i tempi e presso tutti i popoli” raramente si sono trovati in disaccordo su ciò che costituisce la giustizia). 
I bambini apprendono in tenera età i principi fondamentali della legge di natura. Quindi essi molto presto capiscono che un bambino non deve, senza un giusto motivo, colpire o ferire un altro; che un bambino non deve assumere alcun controllo o dominio arbitrario su di un altro; che un bambino non deve, con la forza, con l'inganno, o in maniera furtiva, ottenere il possesso di qualcosa che appartiene ad un altro; che, se un bambino commette una di queste malefatte contro un altro, il bambino offeso non solo ha il diritto di opporsi e, se necessario, punire il malfattore e costringerlo a riparare il torto subito, ma che anche tutti gli altri bambini e tutte le altre persone hanno il diritto e il dovere morale di assistere la parte offesa nella difesa dei suoi diritti e nel riparare tali torti. Questi sono principi fondamentali della legge di natura che regolano la maggior parte delle transazioni tra persona e persona. Ebbene, i bambini apprendono tali principi prima di imparare che tre più tre fa sei e cinque più cinque fa dieci. Anche i loro giochi da fanciulli non potrebbero svolgersi senza un riferimento costante a tali principi; ed è ugualmente impossibile, per persone di qualsiasi età, vivere in pace in qualsiasi altra condizione.
Non sarebbe eccessivo affermare che, nella maggior parte se non in tutti i casi, l'umanità nel suo complesso, fatta di giovani e anziani, apprende questa legge di natura molto prima di avere compreso il significato delle parole con cui la descriviamo. In verità, sarebbe impossibile far capire loro il significato reale delle parole, se essi non afferrassero prima la natura della cosa in sé stessa. Far loro capire il significato dei termini di giustizia e ingiustizia, prima di afferrare la natura delle cose in sé stesse, sarebbe impossibile, come fare loro capire il significato dei termini caldo e freddo, umido e asciutto, luce e buio, bianco e nero, uno e due, prima di conoscere la natura delle cose stesse. Le persone devono avere necessariamente conoscenza dei sentimenti e delle idee, come pure delle cose materiali, prima di afferrare il significato delle parole con cui descriviamo le singole realtà.

 

Capitolo II.
La scienza della giustizia (continuazione)

Sezione I

Se la giustizia non è un principio naturale, allora non è affatto un principio. Se non è un principio naturale allora non esiste una realtà qualificabile come giustizia. Se non è un principio naturale, allora tutto quello che le persone hanno detto o scritto a tale riguardo, da tempo immemorabile, è stato detto e scritto riguardo a qualcosa di inesistente. Se la giustizia non è un principio naturale, allora tutti gli appelli ad essa che sono stati uditi in passato, e tutte le lotte per la giustizia di cui si è stati testimoni, costituiscono appelli e lotte per pure fantasie, un capriccio dell'immaginazione, e non appelli e lotte per qualcosa di reale. 
Se la giustizia non è un principio naturale, allora non vi è una cosa come l'ingiustizia, e tutti i crimini commessi al mondo non sono stati affatto dei crimini, ma solo dei semplici accadimenti, come la caduta della pioggia o il tramonto del sole; eventi per i quali le vittime non hanno maggiore ragione di lamentarsi di quanta ne potrebbero avere dello scorrere dei fiumi o del crescere della vegetazione.
Se la giustizia non è un principio naturale, i (cosiddetti) governi non hanno ragione o motivo di prenderne conoscenza o pretendere o professare di prenderne conoscenza, più di quanto ne hanno di prendere conoscenza o pretendere o professare di prendere conoscenza di qualsiasi altra non-entità; e tutte le loro dichiarazioni sul realizzare o mantenere la giustizia, o tutto ciò che affermano riguardo alla giustizia, sono solo puri vaneggiamenti di pazzi o inganni perpetrati da impostori.
Ma, se la giustizia è un principio naturale, allora è necessariamente qualcosa di immutabile e non può essere trasformato da un qualche potere inferiore a quello che l'ha originato, più di quanto possano essere modificate la legge di gravità, le leggi attinenti alla luce, i principi della matematica o qualsiasi altra legge naturale o principio. E tutti i tentativi o pretese da parte di un qualche individuo o gruppo di individui – che si chiamino governi o che assumano qualsiasi altra denominazione – di imporre i loro propri ordini, volontà, desideri o arbitri, in luogo della giustizia come regola di condotta valida per ogni essere umano, costituiscono una assurdità, una usurpazione e una tirannia, come lo sarebbero i tentativi di imporre i propri ordini, volontà, desideri o arbitri al posto di tutte le leggi fisiche, psichiche e morali dell'universo.

Sezione II

Se esiste un principio, come quello della giustizia, esso è necessariamente un principio naturale e, in quanto tale, è una questione di carattere scientifico, da apprendere e mettere in pratica come avviene per tutte le scienze. E parlare di aggiungere o sottrarre qualcosa da esso, attraverso un processo legislativo, è cosa falsa, assurda e ridicola, come lo sarebbe se, per legge, aggiungessimo o sottraessimo qualcosa alla matematica, alla chimica o a qualsiasi altra scienza.

Sezione III

Se esiste in natura un principio, come quello della giustizia, tutte le legislazioni di cui sia capace l'intera razza umana all'unisono non può aggiungere o sottrarre nulla alla autorità suprema di tale principio. Tutti i tentativi del genere umano, o di una sua parte, volti ad aggiungere o sottrarre qualcosa all'autorità suprema della giustizia, in qualsiasi caso, non hanno alcun potere di forzare in una direzione un singolo essere umano più di quanto ne possa avere un leggero soffio di vento.

Sezione IV

Se esiste un principio, come quello della giustizia, o legge di natura, esso consiste nel principio, o norma, che ci dice quali diritti sono stati dati fin dalla nascita ad ogni essere umano; quali diritti sono perciò inerenti alla persona in quanto essere umano, e lo accompagnano necessariamente nel corso della sua vita. E sebbene possa accadere che tali diritti siano calpestati, tuttavia non è possibile che siano cancellati, estinti, annullati, separati o eliminati dalla sua natura in quanto essere umano o privati della loro intrinseca autorità o obbligo di rispettarli. 
Invece, se non esistesse tale principio della giustizia, o legge di natura, allora ogni essere umano verrebbe al mondo del tutto spoglio di diritti, ed essendo spoglio di diritti dalla nascita, tale resterebbe necessariamente per il resto dei suoi giorni. Infatti, se nessuno è rivestito di alcun diritto quando viene al mondo, di certo nessuno può attribuirsi diritti di sua propria volontà o concederli ad un altro. E il risultato sarebbe che l'umanità non potrebbe mai godere di alcun diritto; e parlare di cose quali i propri diritti, sarebbe come parlare di realtà che non sono mai esistite, mai lo saranno e mai lo potranno essere.

Sezione V

Se esiste un principio naturale come quello della giustizia, esso è necessariamente la più elevata e conseguentemente la sola legge universale per tutte quelle questioni per le quali è naturalmente applicabile. E, di conseguenza, tutta la legislazione umana è semplicemente, e in ogni caso, una pretesa di autorità e di dominio laddove non esiste alcun diritto all'esercizio dell'autorità e del dominio, Si tratta perciò, semplicemente e in ogni caso, di una ingerenza, di una assurdità, di una usurpazione e di un crimine.
D'altro canto, se non esiste un principio naturale come quello della giustizia, non vi può essere una cosa come l'ingiustizia. Se non vi è un principio naturale come l'onestà, non vi può essere una cosa come la disonestà. E nessun atto possibile, commesso da qualcuno con la forza o con l'inganno a danno della persona o della proprietà di un altro, può essere qualificato come ingiusto o disonesto, né può essere denunciato o proibito o punito come tale. In breve, se non esiste un principio tale come quello della giustizia, non ci possono essere atti qualificabili come crimini, e tutte le dichiarazioni dei cosiddetti governi riguardo al fatto che essi esistono, del tutto o in parte, per la punizione o la prevenzione dei crimini, equivalgono a dichiarazioni che i governi esistono per la punizione o prevenzione di cose che non sono mai esistite né mai potranno esistere. Tali dichiarazioni sono perciò ammissioni del fatto che, per quanto riguarda i crimini, i governi non hanno ragione di esistere, che non vi è nulla da fare per essi e che non vi è nulla che essi possano fare. Questo vorrebbe dire ammettere che i governi esistono per la punizione e la prevenzione di atti che sono, per loro natura, semplicemente impossibili.

Sezione VI

Se esiste in natura un principio come quello della giustizia e dell'onestà, principi come quelli che descriviamo con le parole di mio e tuo, principi come quelli dei diritti naturali concernenti la persona e la proprietà, allora noi abbiamo a disposizione una norma imperitura ed universale; una norma che possiamo apprendere come apprendiamo le regole di qualsiasi altra scienza; una norma che è suprema e che esclude tutto ciò che cozza contro di essa; una norma che ci dice cosa è giusto e cosa è ingiusto, cosa è onesto e cosa è disonesto, cosa è mio e cosa è tuo, quali sono i miei diritti personali e di proprietà e quali sono i tuoi diritti personali e di proprietà, e dove si collocano i confini che marcano ciascuno e tutti questi miei diritti concernenti la persona e la proprietà. E questa norma è la norma suprema, uguale dappertutto, per sempre e per tutti, e sarà la stessa e unica norma suprema, sempre e per tutti, fino a quando l'essere umano esisterà sulla terra.
Ma se, d'altro canto, non ci fosse in natura un principio simile come quello della giustizia, dell'onestà, il principio dei diritti naturali sulla propria persona e sulla propria proprietà, allora tutti questi termini come giustizia e ingiustizia, onestà e disonestà, tutti questi qualificativi come mio e tuo, tutte le parole che significano che una cosa è di proprietà di un individuo e un'altra cosa è di proprietà di un altro, tutte le parole che sono utilizzate per descrivere i diritti naturali personali e di proprietà, tutte quelle frasi che sono impiegate per descrivere misfatti e crimini, dovrebbero essere eliminate da tutte le lingue degli esseri umani in quanto prive di significato. E occorrerebbe dichiarare, immediatamente e per sempre, che la forza maggiore e gli inganni più grandi rappresentano, attualmente, la suprema e sola legge che governa le relazioni tra gli individui e che, d'ora in poi, tutte le persone e associazioni di persone – che si chiamano governi, o anche altre simili istituzioni – devono essere lasciate libere di impiegare, nei rapporti tra di loro, tutta la violenza e tutti gli inganni di cui sono capaci.

Sezione VII

Se non esiste una scienza come quella della giustizia, non vi può essere una scienza di governo, e tutta l'avidità e la violenza per mezzo delle quali, in ogni epoca e paese, un numero ristretto di malfattori, uniti tra di loro, hanno conseguito il dominio sul resto dell'umanità, riducendo tutti in una condizione di povertà e di asservimento, e istituendo quelli che essi chiamano governi, al fine di tenerli in soggezione, tutto ciò rappresenta degli esempi legittimi di governo simili a quelli che il mondo vedrà sempre.

Sezione VIII

Se vi è in natura un tale principio come quello della giustizia, esso è necessariamente il solo principio politico che mai vi è stato e che mai vi sarà. Tutti gli altri cosiddetti principi politici, che le persone hanno l'abitudine di escogitare, non sono affatto dei principi. Essi sono o pure fantasie di sempliciotti che immaginano di avere scoperto qualcosa di meglio della verità, della giustizia e di una norma di valore universale, oppure sono puri e semplici mezzi e pretesti di cui si avvalgono individui egoisti e privi di scrupoli per conseguire fama, potere e denaro.

Sezione IX

Se non vi è in natura un tale principio come quello della giustizia, non esiste uno standard morale e non vi può mai essere un qualche standard morale attraverso il quale una controversia tra due o più esseri umani possa essere risolta in una maniera vincolante per entrambi; e il destino, inevitabile per il genere umano, deve consistere, di conseguenza, nell'essere sempre in guerra, mirando sempre a saccheggiare, assoggettare e uccidersi l'un l'altro; e la cessazione delle ostilità può avvenire solamente attraverso l'impiego della frode e della forza.

Sezione X

Se non vi è alcun obbligo di giustizia, allora non vi può di certo essere alcun altro obbligo morale per l'umanità, quali la verità, la misericordia o altro ancora. Negare gli obblighi di giustizia equivale perciò a negare l'esistenza di qualsiasi obbligo morale tra le persone nei loro rapporti reciproci.

Sezione XI

Se non vi è un tale principio come quello della giustizia, il mondo è un semplice baratro di tenebre morali, senza sole, senza luce, privo di alcuna regola di osservanza morale che guidi gli individui nel comportamento dell'uno verso l'altro. In sintesi, se non esiste in natura un tale principio di giustizia l'essere umano non ha una natura morale e, di conseguenza, non ha obblighi morali di alcun tipo.

 

Capitolo III.
La legge di natura contrapposta alla legislazione

Sezione I

Poiché la legge di natura, la giustizia di natura, è un principio naturalmente applicabile e adeguato per una equa risoluzione di qualsiasi possibile controversia che possa insorgere tra le persone; poiché tale principio è anche il solo standard attraverso il quale qualsiasi controversia tra individuo e individuo possa essere risolta con equità; poiché è un principio sotto la cui protezione ogni individuo chiede di porsi, che sia disposto o meno a concederlo ad altri; poiché è anche un principio eterno, che rimane lo stesso sempre e dappertutto, in tutte le epoche e presso tutti i popoli; poiché esso è necessario, in maniera del tutto evidente, in tutti i tempi e luoghi; poiché è del tutto imparziale ed equo verso tutti; così indispensabile per la pace del genere umano in qualsiasi luogo; così vitale per la sicurezza e il benessere di ogni essere umano; poiché è così facilmente appreso e così facilmente preservato da associazioni volontarie come quelle che tutte le persone oneste possono prontamente e legittimamente formare a tale scopo – dato quindi che è un principio siffatto, sorgono allora i seguenti interrogativi : Perché esso non si afferma in maniera universale o quasi universale? Perché non si è diffuso da tempo, in tutto il mondo, come la sola norma che ciascuno o tutti gli individui potrebbero essere legittimamente vincolati a rispettare? Come è possibile che un qualche essere umano abbia mai concepito che qualcosa così evidentemente inutile, falso, assurdo e atroce, come sono tutte le legislazioni, debba o possa necessariamente essere di una qualche utilità per il genere umano o avere un qualche ruolo nelle faccende umane?      

Sezione II

La risposta è che, nel corso di tutta la storia, in tutti i casi in cui le persone hanno progredito oltre lo stato selvaggio e hanno imparato ad accrescere i loro mezzi di sussistenza attraverso la coltivazione del suolo, un numero più o meno grande di individui si sono congregati tra di loro e si sono organizzati per rapinare, saccheggiare e assoggettare tutti coloro che avevano accumulato una certa ricchezza di cui ci si potesse impossessare, o avevano mostrato, attraverso il loro lavoro, che avrebbero potuto contribuire al sostentamento o allo svago di quelli che li avrebbero assoggettati.
Queste bande di rapinatori, ristrette di numero in un primo tempo, hanno accresciuto il loro potere unendosi tra di loro, inventando armi da guerra, organizzandosi in maniera disciplinata e perfezionandosi come forza militare, spartendosi tra di loro il bottino (inclusi i prigionieri) o in una misura precedentemente concordata o nelle forme e nei modi decisi dai loro capi, sempre desiderosi di accrescere il numero dei propri seguaci.
Il successo di queste bande di malfattori è stato facile, per il semplice fatto che coloro che essi saccheggiavano e assoggettavano erano relativamente indifesi. Infatti, erano sparsi sul territorio, interamente occupati a ricavare, con l'impiego di rozzi strumenti e di una notevole fatica, un qualche sostentamento dalla terra coltivata, privi di arnesi per difendersi, al di fuori di bastoni e pietre, carenti di disciplina o organizzazione militare e privi di mezzi per concentrare le loro forze e agire di concerto quando attaccati all'improvviso. In tali situazioni, la sola alternativa che rimaneva per salvare anche solo la propria vita e quella dei propri familiari, era di cedere non solo i raccolti e le terre che avevano coltivato, ma anche di dare sé stessi e le proprie famiglie come schiavi. 
Da quel momento in poi il loro destino era, in quanto schiavi, di coltivare per altri le terre che essi avevano prima coltivato per sé stessi. Costretti a lavorare in continuazione, la ricchezza si è lentamente accresciuta, ma tutto finiva nelle mani dei loro tiranni.
Questi capi tirannici, vivevano solo di saccheggio, e del lavoro dei loro schiavi, e impiegavano tutta la loro forza nell'impadronirsi di ulteriori bottini e nell'asservimento di altre persone indifese. Diventando più numerosi, perfezionando le loro organizzazioni e moltiplicando le armi di guerra, costoro hanno esteso le loro conquiste fino al punto che, per conservare quello che avevano già, è diventato necessario agire in maniera sistematica e coordinata tra di loro per mantenere i propri schiavi in stato di assoggettamento.
Ma tutto ciò lo potevano fare solo istituendo quello che essi chiamano un governo e introducendo quelle che essi chiamano leggi.
Tutti i grandi governi del mondo – quelli esistenti adesso come pure quelli che non esistono più – si sono formati in tal modo. Essi sono stati semplici bande di rapinatori [1] che si sono congregate allo scopo di saccheggiare, conquistare e assoggettare i loro simili. E le loro leggi, così le hanno chiamate, sono state dei semplici accordi che essi hanno ritenuto necessario introdurre per preservare la loro organizzazione e agire di concerto per derubare e schiavizzare gli altri e per assicurare ad ognuno di loro la sua parte del bottino (spoils) [2].
Tutte queste leggi non rivestono maggiori obblighi effettivi di quanti ne abbiano i patti che briganti, banditi e pirati ritengono necessario stipulare tra di loro per una migliore riuscita delle loro imprese criminali e per una più agevole spartizione dei loro bottini.
Quindi, sostanzialmente, tutta la legislazione esistente al mondo ha avuto origine dal desiderio di una classe di persone di saccheggiare e assoggettare altri e tenerli come se fossero merci di loro proprietà.

Sezione III

Nel corso del tempo, la classe dei rapinatori o dei proprietari di schiavi, che si erano impadroniti di tutte le terre e di tutti i mezzi per generare ricchezza, ha cominciato a scoprire che il modo più facile per gestire i suoi schiavi e per ricavarne un profitto non consisteva nel fatto che ogni proprietario di schiavi ne avesse un certo numero, come aveva fatto in passato e come faceva con il bestiame, bensì nel concedere una certa libertà che assegnasse a loro (agli schiavi) la responsabilità di mantenersi e, al tempo stesso, li costringesse a vendere il proprio lavoro alla classe dei padroni terrieri - i loro antichi proprietari – per un ammontare che questi ultimi avrebbero stabilito. 
Chiaramente, questi schiavi liberati, come alcuni li hanno erroneamente definiti, non avendo a disposizione alcun pezzo di terra, e alcuno strumento per una esistenza indipendente, non avevano altra alternativa – se non volevano crepare di fame – se non quella di vendere il proprio lavoro ai padroni in cambio delle più elementari necessità della vita, e a volte neanche di quelle.
Questi schiavi liberati, come erano chiamati, erano a malapena meno schiavi di prima. I loro mezzi di sussistenza erano forse addirittura più incerti di quando erano sotto padrone e costui aveva interesse a mantenerli in vita. Essi potevano, sulla base di un capriccio o dell'interesse del padrone, essere scacciati dalle abitazioni, privati del lavoro e persino della opportunità di guadagnarsi di che sopravvivere con l'impiego delle proprie braccia. Erano perciò spinti, in gran numero, sulla strada della mendicità, a rubare o a morire di fame, e divennero chiaramente un pericolo per la proprietà e serenità dei loro precedenti padroni.
Il risultato fu che questi precedenti padroni trovarono necessario, per la loro sicurezza personale e quella delle loro proprietà, organizzarsi in maniera più efficace come governo, e introdurre leggi per mantenere in stato di soggezione queste persone pericolose; vale a dire, leggi che fissano i salari ai quali le persone dovrebbero essere costrette a lavorare, ed anche prescrivere pene atroci, persino la morte, per azioni come i furti e le trasgressioni, che alcuni erano spinti a commettere come loro unici mezzi per sottrarsi alla morte per fame.
Queste leggi sono rimaste in vigore per centinaia, e in alcuni paesi, per migliaia di anni; e lo sono ancora adesso, con maggiore o minore severità, in quasi tutti i paesi del mondo.
Lo scopo e l'effetto di queste leggi è stato quello di preservare nelle mani della classe dei rapinatori o dei proprietari di schiavi il monopolio di tutte le terre e, per quanto possibile, di tutti gli altri mezzi che generano ricchezza; e quindi di costringere la grande massa dei lavoratori a rimanere in uno stato di povertà e dipendenza tale da spingerli a vendere il proprio lavoro a questi tiranni, al prezzo più basso che permettesse loro di sopravvivere.
Il risultato di tutto ciò è che la ricchezza che esiste al mondo è tutta nelle mani di un ristretto numero di persone – e cioè, nelle mani della classe dei legislatori statali e dei proprietari dei nuovi schiavi. Costoro sono in effetti più schiavisti che mai, nella sostanza, anche se raggiungono il loro obiettivo per mezzo di leggi da essi introdotte, leggi fatte per mantenere i lavoratori in una condizione di assoggettamento e di dipendenza, senza il bisogno di possedere individualmente degli schiavi come oggetti di proprietà personale.
Quindi, l'intera pratica della legislazione, che ha raggiunto adesso proporzioni gigantesche, ha avuto origine negli intrighi, che sono sempre esistiti, tramati da un ristretto numero di persone, allo scopo di mantenere i molti in una condizione di asservimento e di estorcere loro il lavoro e tutti i profitti derivanti dal lavoro.
E i motivi reali e lo spirito che stanno alla base di ogni legislazione – nonostante tutte le pretese e le dissimulazioni dietro le quali i padroni cercano di nascondersi – sono oggi gli stessi di sempre. L'intero scopo della legislazione è semplicemente di mantenere una classe di persone subordinata e asservita ad un'altra.

Sezione IV

Quindi, che cos'è la legislazione? È la pretesa, da parte di un individuo o un insieme di individui, di un dominio assoluto e insensato su tutti gli altri individui che possono essere assoggettati al loro potere. È la pretesa, da parte di un individuo o un insieme di individui, del diritto a sottomettere tutti gli altri individui alla loro volontà e al loro servizio. È la pretesa, da parte di un individuo o un insieme di individui, del diritto di abolire completamente tutti i diritti naturali, tutte le libertà naturali di tutti gli altri individui, di rendere tutti gli altri propri schiavi; di imporre, in modo arbitrario, a tutti gli altri, ciò che essi possono o non possono fare; ciò che essi possono o non possono avere; ciò che essi possono o non possono essere. Si tratta, in breve, della pretesa di poter bandire dal mondo il principio dei diritti umani, il principio della giustizia stessa, e mettere al suo posto il proprio personale volere, piacere e interesse. Tutto questo, e nient'altro, è implicito nell’idea che possa esistere una cosa come la legislazione umana, che sia vincolante per coloro ai quali essa è imposta.

 


 

Note

[1] Sant'Agostino (354-430) aveva affermato nel suo De civitate Dei, IV, 4: “Remota itaque iustitia quid sunt regna nisi magna latrocinia? Quia et latrocinia quid sunt nisi parva regna?” [«Se togli la giustizia (cioè la giustizia morale e non lo ius cioè la legge statale) cosa sono i regni se non bande di ladri di grandi dimensioni? E le bande di ladri, cosa sono se non piccoli regni?»]

[2] Negli Stati Uniti si parla di “spoils system” (tradotto letteralmente: sistema delle spoglie o del bottino) per caratterizzare la pratica che concede al partito vittorioso alle elezioni di appropriarsi e ripartirsi cariche, prebende, benefici.

 

 


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