Lucy Parsons

I principi dell’anarchia

(circa 1905-1910)

 


 

Nota

Una testimonianza appassionata della evoluzione di una radicale americana, dalla fiducia nella possibilità che lo stato operi per il bene comune, alla convinzione ferma che lo stato è il massimo ostacolo alla liberazione delle persone e al progresso della civile convivenza

Fonte: Lucy Parsons, The Principles of Anarchism, in, Writings and Speeches, 1878-1937.

 


 

È stato durante il grande sciopero ferroviario del 1877 che ho iniziato ad interessarmi a quella che è nota come “la questione del lavoro.” A quei tempi pensavo, come pensano migliaia di altre persone oneste e sincere, che il potere che opera nella società umana come blocco aggregato e che è chiamato governo, avrebbe potuto costituire uno strumento nelle mani degli oppressi per alleviare le loro sofferenze. Ma uno studio più attento dell’origine, storia e modi di comportamento dei governi mi ha convinto che questo era un errore da parte mia. Sono quindi arrivata a capire come i governi, in quanto istituzioni, utilizzassero il loro potere concentrato per ritardare il progresso. Essi impiegano continuamente i mezzi a loro disposizione per zittire le voci di scontento quando si elevano con proteste vigorose contro le macchinazioni di alcuni intriganti che hanno sempre governato e sempre lo faranno nei parlamenti nazionali, dove il potere della maggioranza è riconosciuto come la sola via per regolare gli affari delle persone. Sono giunta a capire che questo potere concentrato può essere sempre esercitato nell’interesse di pochi e a spese di molti. In fin dei conti il governo non è altro che questo potere dei pochi presentato come un dato di fatto scientifico. I governi non promuovono mai il progresso, lo seguono affannosamente. Quando la prigione, il rogo o la forca non possono più mettere a tacere la voce di una minoranza che protesta, solo allora il progresso fa un passo in avanti.

Voglio formulare questa affermazione in un altro modo. Io ho imparato, attraverso una esperienza diretta, che non importa quale bella promessa abbiano fatto alla gente gli esponenti di un partito non ancora al potere per assicurarsene la fiducia, allorché essi si installano, in tutta sicurezza, ai posti di controllo degli affari della società. Dopo tutto, sono esseri umani, con tutti gli attributi umani del politico. E tra questi attributi abbiamo: in primo luogo, rimanere al potere ad ogni costo; e questo vale se non individualmente, almeno per quell'insieme che controlla le leve del governo. In secondo luogo, per rimanere al potere, è necessario costruire un potente apparato, che sia abbastanza forte da schiacciare qualsiasi opposizione e far tacere tutti i mormorii di forte scontento, altrimenti il partito potrebbe essere fatto a pezzi e perderebbe quindi il controllo.

Quando ho capito che gli esseri umani sono tutti fallibili, preda ad errori, debolezze, manchevolezze, desideri e ambizioni, ne ho concluso che non sarebbe affatto saggio per la società, nel suo insieme, consegnare la gestione di tutti i suoi affari, con tutte le loro molteplici diversità e ramificazioni, nelle mani di esseri che soffrono di tutte le umane limitazioni, e farli amministrare dal partito che ha avuto la fortuna di arrivare al potere in quanto partito di maggioranza. A ciò aggiungo che a me non faceva e non fa tuttora la benché minima differenza quello che può promettere un partito che non è al potere. Queste promesse non contribuiscono a dissipare i miei timori riguardo a ciò che potrebbe fare un partito, una volta installato e ben radicato al potere, per schiacciare l’opposizione e soffocare la voce della minoranza, ritardando così il cammino verso il progresso.

La mia mente inorridisce al pensiero di un partito politico che ha il controllo di tutti gli aspetti particolari che formano la somma totale delle nostre esistenze. Immaginate per un momento, che il partito al governo abbia il potere di decidere quali testi debbano essere utilizzati nelle nostre scuole e università, con i funzionari governativi che rivedono, stampano e mettono in circolazione libri di lettura, manuali di storia, riviste e giornali, per non parlare poi delle migliaia di altre attività quotidiane che riempiono la nostra vita e nelle quali sono impegnate le persone in una società civile.

Per me la lotta per la libertà è cosa troppo importante, e i pochi passi che abbiamo fatto hanno richiesto un sacrificio troppo grande perché la moltitudine delle persone che vivono in questo ventesimo secolo acconsenta ad affidare ad un qualsiasi partito politico la gestione degli affari sociali e della produzione industriale. Tutti coloro che hanno una certa familiarità con la storia sanno che le persone abuseranno del potere una volta che l’hanno ottenuto [1]. Per questi ed altri motivi, dopo attenta analisi e non mossa da sentimentalismi, sono passata dall’essere una sincera, ardente, socialista che credeva nella politica, all'aderire ad un socialismo non politico, l’Anarchia, in quanto ritengo che nella filosofia anarchica posso trovare le condizioni adatte al pieno sviluppo degli individui nella società, la qual cosa non può mai avvenire in presenza di restrizioni governative.

La filosofia dell’anarchia è contenuta nella parola “Libertà”. Al tempo stesso è abbastanza ampia da includere tutto ciò che conduce al progresso. Questa filosofia non pone alcuna barriera al progresso umano, al pensiero, alla ricerca; nulla è ritenuto così vero e così certo che future scoperte non possano accertare essere falso. Perciò, la filosofia anarchica ha un solo infallibile, immutabile motto: “Libertà”. Libertà di scoprire qualsiasi verità, libertà di sviluppare, libertà di vivere in maniera piena e naturale. Le altre scuole di pensiero sono caratterizzate da idee-principi cristallizzati che sono assunti e affissi sulle tavole di lunghe piattaforme politiche, e considerati troppo sacri per essere sottoposti ad una profonda analisi che potrebbe scompigliarli. In tutti gli altri casi c’è sempre un limite; una qualche immaginaria linea di confine oltre la quale la mente del ricercatore non osa penetrare per paura che qualche idea a lui cara si sciolga, come avviene per i miti. Ma la concezione anarchica è l’ancella della scienza - il maestro delle cerimonie per tutte le espressioni della verità. Essa è volta a rimuovere tutte le barriere tra l’essere umano e lo sviluppo naturale. Essa elimina, nell’ambito delle risorse naturali, tutte le restrizioni artificiali che potrebbero affliggere il corpo e, per quanto riguarda le verità universali, cancella tutti gli impedimenti che la mente potrebbe sviluppare sotto forma di pregiudizi e superstizioni.

Gli anarchici sanno che un lungo periodo di apprendimento deve precedere qualsiasi grande e radicale trasformazione sociale; per questo non credono nel mercimonio del voto, nelle campagne politiche, ma piuttosto nello sviluppo di individui intellettualmente autonomi.

Noi anarchici non vogliamo l’assistenza del governo, perché sappiamo bene che la forza (legalizzata) invade la libertà personale dell’individuo, si impadronisce degli elementi naturali e si pone tra la persona e le leggi di natura. Da questa prova di forza attuata per mezzo dei governi derivano tutte le miserie, povertà, crimini e confusioni che esistono nella società.

Per questo noi avvertiamo che ci sono ostacoli effettivi e reali che bloccano il cammino, e che devono essere rimossi. Se nutrissimo la speranza che essi scompariranno da soli, o che con il voto o con delle preghierine li si potessero annullare, noi saremmo ben contenti di attendere e votare e pregare. Ma questi ostacoli sono come enormi blocchi di pietra, minacciosi, che si interpongono tra noi e il paese della libertà, mentre dietro di noi si spalancano gli abissi oscuri di un passato tempestoso. Questi blocchi potrebbero sgretolarsi sotto il loro stesso peso e per l’usura del tempo; ma restare quieti sotto di essi aspettando che cadano è come attendere di essere sepolti vivi sotto le macerie. Qualcosa va fatto in casi simili - le pietre devono essere rimosse. Rimanere passivi, mentre la condizione di schiavitù in cui siamo finiti sta rubandoci le nostre vite, è un crimine.

[…]

Da quelle epoche buie - ancora abbastanza recenti - quando molti credevano che l’essere umano fosse totalmente depravato e che esistessero solo impulsi cattivi; quando ogni azione, ogni pensiero ed ogni emozione era sottoposta a controlli e vincoli; quando il corpo umano, ammalato, era lasciato sanguinare, imbottito di farmaci, compresso e tenuto lontano il più possibile da rimedi naturali; quando la mente era tenuta prigioniera e distorta prima che avesse il tempo di formarsi una concezione naturale - da quei tempi fino ai giorni nostri il progresso della filosofia anarchica è stato abbastanza rapido e costante. Appare sempre più evidente che, in qualsiasi circostanza, noi siamo “governati meglio quando siamo governati il meno possibile.” [2]

Forse, ancora insoddisfatto, il ricercatore osserva i dettagli, analizza mezzi e modi, si chiede il perché e il percome. Quanto a lungo potremo resistere come esseri umani - mangiando e riposando, lavorando e amando, commerciando e operando - senza la presenza del governo? Siamo diventati così usi all’esistenza di un “potere organizzato” in ogni sfera della vita che non possiamo nemmeno concepire che le più comuni attività di una persona possano essere portate avanti senza l’interferenza e la “protezione” del governo. Ma gli anarchici non sono obbligati a delineare lo schema di una organizzazione completa di una società libera. Fare ciò, con una qualche aria di autorevolezza, sarebbe come porre una barriera in più al modo di organizzarsi delle generazioni future. Le migliori idee di oggi possono diventare, un domani, inutili ghiribizzi, e cristallizzare il futuro in un dogma significa bloccarlo.

[…]

Le persone si sono così abituate a vedere, da ogni parte, i segni del potere che la maggior parte di loro onestamente crede che tutti andrebbero totalmente in rovina se non fosse per la presenza del poliziotto con il suo manganello o del soldato con le sue armi. Ma l’anarchico dice: “Rimuovi queste manifestazioni di forza bruta e lascia che gli individui sentano gli influssi vivificanti della responsabilità e del controllo personali, e vedi come essi risponderanno a questi influssi migliori.”

[…]

Quello che noi anarchici sosteniamo è una più ampia possibilità di sviluppo delle unità sociali. Noi crediamo che l’umanità tutta, alla pari di un essere umano sano, possa sviluppare ciò che vi è di più grande, nobile, elevato, migliore, senza alcun ostacolo posto da un qualche potere centrale; e senza che un singolo individuo debba attendere per un permesso controfirmato, sigillato, approvato e trasmessogli, prima di potersi impegnare in attività che riguardano la sua vita e le relazioni con i suoi simili. Noi sappiamo che, dopotutto, a mano a mano che diventiamo più saggi in presenza di una maggiore libertà, noi saremo sempre meno ansiosi e preoccupati per quanto concerne l’esatta ripartizione della ricchezza materiale che, ora che siamo allevati ad una condotta avida ed egoista, sembra sia impossibile trattare con noncuranza. Al giorno d'oggi, l’uomo e la donna di elevate capacità, non pensano tanto alle ricchezze che possono guadagnare attraverso i loro sforzi ma al bene che possono contribuire a generare per i loro simili. Vi è una spinta innata a compiere azioni salutari in ogni essere umano che non è stato schiacciato e afflitto dalla povertà e dalle fatiche fin da prima di nascere, una spinta che lo porta in avanti e in alto. L’essere umano non può rimanere passivo e inattivo, anche se lo volesse. È naturale per lui la voglia di svilupparsi, di espandersi, e di utilizzare le sue energie interiori quando non è represso, così come è naturale per la rosa sbocciare alla luce del sole e spandere il suo profumo attraverso un soffio di vento.       

Le grandi opere del passato non sono mai state intraprese per amore del denaro. Chi può misurare il valore di uno Shakespeare, di un Michelangelo o di un Beethoven in dollari e cent? Agassiz [3] ha detto che “non aveva tempo per fare soldi” perché c’erano obiettivi più elevati e più interessanti di quello nella vita. E così avverrà quando l’umanità sarà una buona volta sollevata dalla paura pressante della fame, del bisogno, dell’asservimento e sarà sempre meno preoccupata di ammassare e possedere grandi ricchezze. Questi vasti possedimenti non sarebbero altro che un fastidio e una preoccupazione. Quando due o tre o quattro ore al giorno di una attività piacevole, salutare, produrrà tutte le cose necessarie per vivere confortevolmente, e non ci sarà alcun blocco all'agire, le persone non faranno più caso a chi possiede la ricchezza di cui essi non hanno bisogno.

[…]

Se, in presenza dell’attuale disordinata e vergognosa lotta per la vita, quando la società organizzata premia l’avidità, la crudeltà e l’inganno, noi possiamo trovare individui che rimangono distaccati e quasi soli nella loro determinazione di fare del bene piuttosto che fare soldi, che soffrono ristrettezze e persecuzioni piuttosto che abbandonare i loro principi, che coraggiosamente subiscono la pena di morte [4] facendo bene al prossimo, immaginatevi cosa potremmo attenderci quando le persone saranno libere dalla soffocante necessità di vendere la migliore parte di sé per procurarsi di che vivere. Le terribili condizioni sotto le quali si lavora, l’atroce alternativa che si offre a chi non vuole prostituire le sue qualità e i suoi principi morali a Mammona [5], e il potere conquistato con una ricchezza ottenuta in modi così ingiusti, tutto questo contribuisce a fare dell’idea di una attività libera e volontaria qualcosa praticamente quasi impossibile. Eppure, ci sono esempi di ciò persino adesso. In una famiglia ben educata ogni membro ha certi compiti da svolgere, che sono eseguiti con gioia, e non sono calcolati esattamente e retribuiti sulla base di qualche parametro pre-determinato. Quando tutti i membri della famiglia si siedono intorno a una tavola ben imbandita, il più forte della famiglia non si agita per mangiare la maggior parte del cibo, mentre il più debole ne rimane senza, e il primo non accaparra avidamente per sé più cibo di quanto possa consumarne. Ognuno attende pazientemente ed educatamente che arrivi il suo turno per servirsi, e lascia agli altri ciò di cui non ha bisogno. Egli è sicuro che, quando avrà di nuovo fame, ci sarà abbastanza cibo a disposizione di tutti. Questo principio può essere esteso fino a includere tutta la società, quando le persone saranno abbastanza civili da volerlo. 

[…]

Molti pensatori hanno mostrato che le istituzioni ingiuste, che generano così tanta miseria e sofferenza per la gente, hanno radici nel governo, e che esse esistono solo grazie al potere del governo. Ne consegue che, se ogni legge, ogni atto notarile, ogni tribunale, ogni poliziotto ed ogni soldato scomparissero domani, di colpo, è facile immaginare che staremmo meglio di quanto non lo siamo oggi. I beni materiali che esistono attualmente e di cui l’essere umano ha bisogno continuerebbero ad esistere. Le sue energie e le sue capacità rimarrebbero e le sue innate inclinazioni sociali conserverebbero la loro forza. E le risorse vitali, rese libere per il godimento di tutti, genererebbero una condizione per la quale non ci sarebbe bisogno di alcuna costrizione, se non la forza dell'opinione sociale, per vedere attuato un comportamento morale e onesto.

Liberato dalle strutture che lo hanno reso in passato un disgraziato, l’essere umano non farà di sé un essere ancora più sciagurato in assenza di esse. L'idea che le condizioni ambientali rendono la persona quella che è, e non le leggi e le punizioni introdotte per guidarlo, è cosa più vera di quanto si possa supporre ad un esame superficiale. Noi abbiamo abbastanza leggi, prigioni, tribunali, armi e arsenali militari da fare di tutti noi dei santi, se davvero questi fossero gli strumenti per prevenire il crimine. Ma noi sappiamo che tali mezzi non lo prevengono affatto. Noi siamo consapevoli che la cattiveria e la depravazione esistono nonostante essi, anzi crescono a mano a mano che la lotta tra le classi diventa più feroce, la ricchezza più grande e più potente e la povertà più desolata e disperata.

Alla classe al potere l’anarchico dice: “Signori, noi non chiediamo alcun privilegio, non proponiamo nessuna restrizione; né, d’altra parte, acconsentiamo alla presenza di privilegi e restrizioni. Non vogliamo mettere alcuna nuova catena, noi cerchiamo l’emancipazione dalle catene. Non domandiamo alcuna sanzione di legge, perché la cooperazione richiede solo uno spazio libero e nessun favore; e neppure vogliamo una qualche interferenza. Si afferma che nella libertà di ciascuna unità sociale risiede la libertà delle condizioni sociali. Si afferma che nella libertà di possedere e utilizzare il suolo risiede la felicità sociale e il progresso e la fine della rendita. Si afferma che l’ordine esiste solo dove regna la libertà, e che il progresso segue e non precede l’ordine. Si afferma, infine, che questa emancipazione promuoverà la libertà, l’uguaglianza e la fraternità. Il fatto che il sistema industriale esistente abbia esaurito la sua utilità - se mai l’ha avuta - è qualcosa, io credo, che è ammessa da tutti coloro che hanno riflettuto a fondo su questa fase delle condizioni sociali.

I segni dello scontento che incombe da ogni parte mostrano che la società è retta da principi errati e che qualcosa va fatto presto o la classe salariale sprofonderà in un asservimento peggiore di quello dei servi feudali. Io dico alla classe salariale: pensa lucidamente e agisci prontamente, o sarai persa. Lotta non per ottenere alcuni spiccioli in più all’ora, perché il costo della vita aumenterà ancora più rapidamente, ma lotta per ottenere tutti i frutti del tuo lavoro, e non accontentarti di meno. 

 


 

Note

[1] Famosa è l’affermazione di Lord Acton nella sua lettera a Mandel Creighton del 5 aprile 1887: "Power tends to corrupt and absolute power corrupts absolutely.” (Il potere tende a corrompere e il potere assoluto corrompe in maniera assoluta).

[2] La frase “The best government is that which governs least.” (Il governo migliore è quello che governa il meno possibile) è di solito attribuita a Thomas Jefferson ma sembra che egli non l’abbia mai pronunciata. Il primo che fece tale affermazione fu John ‘O Sullivan, uno dei fondatori e curatori della United States Magazine and Democratic Review nella introduzione al primo numero della rivista nell’autunno del 1837. Ralph Waldo Emerson scrisse qualcosa di simile nel suo Politics (1844): "Per cui meno governo abbiamo, meglio è - più ridotto il numero di leggi e il potere che è delegato.”

Alcuni anni dopo (1848) Henry David Thoreau riprese la frase e la completò affermando: “Il governo migliore è quello che non governa affatto; e quando gli esseri umani saranno pronti, quello sarà il tipo di governo che essi avranno.” (Sul dovere della disobbedienza civile).

[3] La famiglia Agassiz era una famiglia di origine svizzera a cui appartengono persone di alto rilievo come il biologo Louis Agassiz, l’ingegnere Alexander Agassiz (entrambi emigrati negli Stati Uniti) e il fondatore della fabbrica di orologi Longines, Auguste Agassiz.

[4] Il marito di Lucy Parson, Albert Parson, fu condannato a morte (1887) a seguito del cosiddetto Haymarket affair pur essendo, quasi sicuramente, del tutto estraneo ai fatti.

[5] Nella Bibbia (Nuovo Testamento) Mammona significa il denaro e la ricchezza materiale, o allude a qualsiasi entità che promette beni materiali. Il termine è anche associato alla avidità e alla ricerca esclusiva e ossessiva del guadagno.

 

 


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