Nota
Ricardo Mella chiarisce i termini dellal questione concernente l’attività produttiva libera e volontaria, che non è semplicemente un bisogno fisiologico, che potrebbe essere soddisfatto anche in altri modi diversi dal lavoro. L’attività produttiva, libera e volontaria, è il risultato della consapevolezza del provvedere alle necessità personali e della socialità e l’espressione di bisogni non solo fisiologici ma anche psichici e mentali.
Fonte : «LA REVISTA BLANCA», numero 25, Madrid, 1 Luglio 1899.
Non mi propongo di effettuare ora uno studio dettagliato della questione. Mi limiterò a qualche ragionamento che può servire come punto di partenza per una ulteriore analisi del problema.
Alle obiezioni che gli autoritari fanno alla praticabilità delle idee anarchiche e, soprattutto, all'affermazione delle attività volontarie in una società organizzata liberamente, si replica generalmente che, poiché il lavoro è una necessità fisiologica per l'individuo, ognuno lavorerà volontariamente e spontaneamente, assumendo l’esistenza di condizioni di uguaglianza e solidarietà tra gli individui.
La risposta in questi termini contiene un postulato di principio e cioè che il lavoro sia una necessità fisiologica.
Il lavoro è un modo per essere attivi. L'individuo nel suo stato normale è necessariamente attivo perché l'esercizio fisico proviene immediatamente da organi e muscoli. L’esercizio fisico è quindi una necessità a cui nessuno può sfuggire. Ma il lavoro non è esercizio propriamente detto, non è esercizio nel suo senso generico, ma un esercizio specifico e ben definito in vista di un determinato fine. Il lavoro è un esercizio utile. Utile non solo per il soggetto che lo esegue, ma anche per i suoi simili; utile all’organismo di colui che lo effettua per soddisfare il bisogno di esercizio fisico, e utile anche per quanto riguarda l'economia individuale e sociale, per la fornitura di cibo, abitazioni, vestiti, etc. Dal momento che l'esercizio fisico, in generale, può non rivestire l’aspetto di utilità al di fuori del beneficio fisiologico per l'individuo che lo pratica, è proprio questo che lo differenzia rispetto all’attività produttiva vera e propria. Ogni individuo usa le sue energie, la sua attività, nella ginnastica, in esercizi atletici, negli sport equestri o di velocità, nella caccia, ecc. Egli fa questo, a quanto pare, per ricreazione e passatempo; ciò risponde infatti ad esigenze fortemente sentite. Per lui, quindi, questo esercizio è utile, ma si rivela socialmente ed economicamente improduttivo per gli altri e per sé stesso. In questo caso, il soggetto in questione fa esercizio fisico ma non esercita attività produttiva.
Un altro individuo, invece, pur senza averne bisogno a causa della sua posizione nella società, dedica la sua attività alla produzione di manufatti, o coltiva il suo frutteto apparentemente anche per passatempo, ma rispondendo di fatto alle stesse necessità del primo individuo. Nel caso di questo secondo soggetto, l'esercizio che compie è utile per sè stesso, ed è utile anche per i suoi simili; utile per lui fisiologicamente ed economicamente; produttivo per lui e per gli altri individui. In questo caso c'è esercizio fisivo e c’è attività produttiva.
Così, il lavoro è una modalità di attività speciale, come è già stato detto; è un certo tipo di esercizio, ma non è tutta l'attività o tutto l'esercizio. È possibile fare esercizio muscolare e mentale senza lavorare, nel senso sociale ed economico del termine; quindi si può anche soddisfare il bisogno fisiologico di esercizio mentale e corporale pur senza fare attività produttiva.
La conclusione è rigorosa e precisa. Rispondere che in una società libera tutti lavoreranno perché il lavoro è una necessità fisiologica da cui nessuno può esentarsi, equivale a sostituire, nel tema in oggetto, una incognita con un’altra, lasciando la questione in piedi e spingendo la gente comune a negare la possibilità del libero lavoro. Chiunque infatti potrebbe replicare che molti soddisferanno l'indiscutibile bisogno di esercizio fisico con dei divertimenti e passatempi inutili e improduttivi.
A mio parere, non è il bisogno fisiologico di esercizio muscolare e mentale che rende possibile l’attività volontaria. Piuttosto, è il bisogno più potente di nutrirsi, vestirsi e avere un tetto sotto cui ripararsi; è il bisogno di "vivere" che ci induce a lavorare, cioè a indirizzarci verso un esercizio fisico utile, che ci obbliga ad essere attivi in vista di uno scopo comune per il nostro stesso bene e per quello degli altri. Senza la spinta di questi bisogni, l'attività umana non sarebbe finalizzata e sarebbe priva di un obiettivo positivo nell'ordine sociale ed economico dell'esistenza. Questo è ciò che accade alle classi ricche e aristocratiche. Prevista in anticipo la soddisfazione dei bisogni primari, esse sprecano le loro energie in passatempi e vizi che incoraggiano la pigrizia.
Ma in una società libera, in cui tutti gli individui si troveranno in condizioni di uguaglianza economica, in cui la ricchezza non è proprietà di pochi ma di tutti, si dovrebbe temere che la maggior parte degli uomini non vorrebbe svolgere volontariamente una attività produttiva? Io dico di no, senza per questo dover affermare che lavorerebbero perché il lavoro è una necessità fisiologica. Si attiverebbero volontariamente, perché avrebbero bisogno di mangiare, vestire, leggere, dipingere, ecc. e i mezzi per soddisfare tutti questi bisogni non sarebbero loro gentilmente concessi da alcuna Provvidenza.
Mi verrà allora detto che, dopo tutto, si scopre che il lavoro è necessario per vivere. Sì, è senza dubbio necessario, individualmente e socialmente, come derivazione dalle necessità fondamentali del nutrirsi, vestirsi, ecc. Si tratta però, per l’organismo, di un bisogno di secondo ordine, non avvertito meccanicamente; un bisogno di cui l' individuo si rende conto dopo un' operazione analitica causata dal fatto di convivere in società; parimenti, gli altri bisogni primari sono quelli che ci portano alla socialità, e quindi all’attività e alla comunità.
Per questo stesso motivo, poiché la ragione positiva del lavoro volontario e libero poggia su tutti i bisogni fisiologici, psichici e mentali, è in ogni caso scomodo argomentare falsamente con la semplice affermazione che il lavoro è una necessità fisiologica quando, come abbiamo visto, questa affermazione si riduce all'esercizio muscolare e mentale che, senza dubbio, può essere svolto anche senza beneficio produttivo diretto per l'individuo e per la comunità e anche quando conviene e piace solo al singolo organismo.
Il grado di facilità di risoluzione di un problema dipende in larga misura dal modo in cui si presenta, dagli elementi forniti per il ragionamento. Così, la dimostrazione della praticabilità di una dottrina corrisponde al modo più o meno fondato di stabilirne gli elementi logici.
Una volta che la questione è stata ridotta ai suoi termini più semplici e veri, è sempre facile risolverla se la ragione e l'esperienza sono alla base della soluzione proposta.
A mio parere, questo è il modo giusto per dimostrare la possibilità di un lavoro volontario, senza fare appello a principi infondati.