Errico Malatesta

Sulla morale

(1896)

 



Note

In questo scritto Malatesta chiarisce alcune idee sulla morale e sulla violenza che alcuni, che si definiscono anarchici, non hanno inteso in passato ma ai quali certamente occorrerà far intendere nel presente e nel futuro.

Fonte: Errico Malatesta, Errori e Rimedi, da L'anarchia, Londra, Agosto 1896.

 


 

Vi è oggi tanta gente varia che si chiama anarchica, e col nome di anarchia si espongono tante idee disparate e contraddittorie, che davvero avremmo torto di meravigliarci quando il pubblico che è nuovo alle idee, e non può a prima giunta distinguere le grandi differenze che si nascondono sotto il velo di una parola comune, resta sordo alla nostra propaganda e ci guarda con sospetto.

Noi non possiamo naturalmente impedire agli altri di prendere il nome che vogliono; né l’abbandonar noi il nome di anarchici servirebbe ad altro che ad aumentare la confusione, poiché il pubblico penserebbe che noi abbiamo semplicemente voltato bandiera.

Tutto ciò che possiamo, e cioè che dobbiamo fare, si è di distinguerci nettamente da coloro che dell’anarchia hanno un concetto diverso dal nostro, o che dallo stesso concetto teorico tirano conseguenze pratiche opposte a quelle che ne tiriamo noi. E la distinzione deve risultare dall’esposizione chiara della nostra morale senza nessun riguardo di persone e di partito. Poiché questa pretesa solidarietà di partito, fra gente che poi non apparteneva e non avrebbe potuto appartenere allo stesso partito, è stata appunto una delle cause principali della confusione. E si è arrivati a tal punto che molti esaltano nei “compagni” quelle stesse azioni che vituperano nei borghesi; e sembra che il loro unico criterio del bene e del male sia questo: se l’autore dell’atto che si giudica prende il nome di anarchico, o no.

Molti sono gli errori che hanno menato gli uni a mettersi in completa contraddizione coi principii che teoricamente professano, e gli altri a sopportare queste contraddizioni; come molte sono le cause che hanno attirata in mezzo a noi della gente che in fondo se ne ride del socialismo e dell’anarchia, e di tutto ciò che sorpassa gl’interessi delle loro persone.

Io non posso intraprendere qui un esame metodico e completo di questi errori. Solo accennerò ad alcuni di essi così come mi si presenteranno alla mente.

Prima di tutto parliamo di morale.

È cosa comune trovare degli anarchici che “negano la morale”. Al principio è un semplice modo di dire per significare che, dal punto di vista teorico, non ammettono una morale assoluta, eterna, immutabile, e che, nella pratica, si ribellano contro la morale borghese che sanziona lo sfruttamento delle masse e condanna quegli atti che tornano a pericolo e danno dei privilegiati. Ma poi, poco a poco, come suole avvenire in tante altre cose, prendono la figura retorica per l’espressione della verità.

Dimenticano che nella morale corrente, oltre le regole che sono inculcate dai preti e dai padroni nell’interesse del loro dominio, si trovano pure, e ne sono in realtà la parte maggiore e sostanziale, anche quelle regole che sono la conseguenza e la condizione di ogni coesistenza sociale; dimenticano che il ribellarsi contro ogni regola imposta colla forza non vuol dire niente affatto rinunziare ad ogni ritegno morale e ad ogni sentimento di obbligazione verso gli altri; dimenticano che per combattere ragionevolmente una morale, bisogna opporle, in teoria ed in pratica, una morale superiore; e, per poco che il temperamento e le circostanze aiutino, finiscono col divenire immorali nel senso assoluto della parola, cioè uomini senza regola di condotta, senza criterio per guidarsi nelle loro azioni, che cedono passivamente all’impulso del momento. Oggi si leveranno il pane di bocca per soccorrere un compagno, domani ammazzeranno un uomo per andare al bordello!

La morale è la regola di condotta che ciascun uomo considera buona. Si può trovare cattiva la morale dominante in una data epoca, in un dato paese, in una data società, e noi infatti troviamo pessima la morale borghese; ma non si può concepire una società senza una morale qualsiasi, né un uomo cosciente che non abbia un qualche criterio per giudicare di quello che è bene e di quello che è male per sé stesso e per gli altri. Quando noi combattiamo la presente società noi opponiamo alla morale individualistica dei borghesi, alla morale della lotta e della concorrenza, la morale dell’amore e della solidarietà, e cerchiamo di stabilire delle istituzioni che corrispondano a questa nostra concezione dei rapporti tra gli uomini. Ché altrimenti perché dovremmo trovar male che i borghesi sfruttino il popolo?

Un’altra dannosa affermazione, che in molti è sincera, ma in altri è una scusa, si è che l’ambiente sociale non permette di essere morali; e che per conseguenza è inutile fare sforzi che non possono riuscire, ed il meglio è di cavare il più che si può per sé stesso dalle circostanze presenti senza curarsi degli altri, salvo a cambiar vita quando sarà cambiata l’organizzazione sociale. Certamente ogni anarchico, ogni socialista comprende le fatalità economiche che oggi costringono l’uomo a lottare contro l’uomo, ed ogni buon osservatore vede l’impotenza della ribellione personale contro la forza prepotente dell’ambiente sociale. Ma è egualmente certo che senza la ribellione dell’individuo, che si associa agli altri individui per resistere all’ambiente e cercare di trasformarlo, quest’ambiente non cambierebbe mai.

Noi tutti, senza eccezione, siamo costretti a vivere, più o meno, in contraddizione coi nostri ideali; ma siamo socialisti ed anarchici, perché ed in quanto soffriamo di questa contraddizione e cerchiamo di renderla men grande che sia possibile. Il giorno in cui ci adattassimo all’ambiente, ci passerebbe naturalmente la voglia di trasformarlo e diventeremmo dei semplici borghesi: borghesi senza denari forse, ma non per questo meno borghesi negli atti e nelle intenzioni.

Altra fonte di errori e di colpe gravissime è stato il modo come si è interpretato da molti la teoria della violenza.

La società attuale si mantiene colla forza delle armi.

Mai nessuna classe oppressa è riuscita ad emanciparsi senza ricorrere alla violenza; mai le classi privilegiate han rinunciato ad una parte, sia pur minima, dei loro privilegi, se non per forza, o per paura della forza. Le istituzioni sociali attuali sono tali che appare impossibile di trasformarle per via di riforme graduali e pacifiche; e la necessità di una rivoluzione violenta che, violando, distruggendo la legalità, fondi la società umana sopra basi novelle, s’impone. L’ostinazione, la brutalità con cui la borghesia risponde ad ogni più anodina domanda del proletariato, dimostrano la fatalità della rivoluzione violenta. Dunque è logico, è necessario che i socialisti e specialmente gli anarchici, siano un partito rivoluzionario e prevedano e affrettino la rivoluzione.

Ma disgraziatamente c’è negli uomini una tendenza a scambiare il mezzo col fine; e la violenza, che per noi è e deve restare una dura necessità, è diventata per molti quasi lo scopo unico della lotta. La storia è piena di esempi di uomini che, avendo cominciato a lottare per uno scopo elevato, hanno poi nel calore della mischia smarrito ogni controllo sopra loro stessi, han perduto di vista lo scopo e son diventati dei feroci massacratori. E, come lo dimostrano fatti recenti, molti anarchici non sono sfuggiti a questo terribile pericolo della lotta violenta. Irritati dalle persecuzioni, ammattiti dagli esempi di cieca ferocia che dà ogni giorno la borghesia, essi han cominciato ad imitare l’esempio dei borghesi; ed allo spirito d’amore è subentrato lo spirito di vendetta, lo spirito di odio. E l’odio e la vendetta essi, al par dei borghesi, han chiamato giustizia. Poi, per giustificare quegli atti, che pur potevano spiegarsi come effetti delle orribili condizioni del proletariato e servire come una ragione di più per invocare la distruzione di un ordine di cose che produce così tristi risultati, alcuni han cominciato a formulare le più strane, le più fanatiche, le più autoritarie teorie; e non badando alla contraddizione, le han presentate come un nuovissimo progresso dell’idea anarchica.

Essi, che poi nello stesso tempo si dicono deterministi e negano ogni responsabilità, si son dati a ricercare i responsabili dello stato di cose attuale, e li han trovati non solo nei borghesi coscienti che fanno il male sapendo di farlo, non solo nella massa dei borghesi che son borghesi perché son nati così e non si sono mai domandati il perché della loro situazione, ma anche nella massa dei lavoratori, che subendo l’oppressione senza ribellarsi ne sono il principale sostegno; e per tutti han conchiuso … alla pena di morte. E vi ha anche chi ha delirato di non so quale “responsabilità potenziale” per conchiudere al massacro delle donne gravide e dei fanciulli! Essi, che a ragione contestano il diritto ai giudici borghesi di applicare anche un’ora di carcere, si fanno arbitri della vita e della morte altrui ed arrivano a dire che si ha diritto di uccidere chi non pensa come noi! Pare incredibile e molti non vorranno credervi. Eppure, poche settimane fa, ognuno ha potuto leggere in un giornale “anarchico” parole come queste: “ A Barcellona è scoppiata una bomba in una processione religiosa lasciando sul terreno 40 morti e non sappiamo quanti feriti. La polizia ha arrestato più di 90 anarchici con la speranza di metter le mani sull’eroico autore dell’attentato”. Nessuna ragione di lotta, nessuna scusa, niente; è eroico aver ucciso donne, fanciulli, uomini inermi perché erano cattolici! Questo è peggio della vendetta: è il furore morboso dei mistici sanguinari, è l’olocausto sanguinoso sull’ara di un Dio…o di una idea, che è poi lo stesso.

O Torquemada! O Robespierre!

Mi affetto a dire che la grande massa degli anarchici spagnoli ha protestato contro l’atto insano. Ma v’è pure di quelli che si dicono anarchici ed esaltano l’atto; e ciò basta perché i governi fingano di confonderci tutti in un fascio, ed il pubblico ci confonda davvero.

Gridiamolo forte e sempre: gli anarchici non debbono, non possono essere dei giustizieri, essi sono dei liberatori. Noi non odiamo nessuno; noi non lottiamo per vendicarci, né per vendicare gli altri; noi vogliamo l’amore fra tutti, la libertà per tutti.

Poiché le fatalità sociali attuali e l’ostinata resistenza della borghesia, costringono gli oppressori a ricorrere all’ultimo espediente della forza fisica, non retrocediamo innanzi alla dura necessità e prepariamoci ad usarne vittoriosamente. Ma non facciamo vittime inutili, nemmeno tra i nemici. Lo scopo stesso per cui lottiamo ci astringe ad essere buoni ed umani anche nel furore della battaglia; anzi non si capisce come potremmo voler lottare per uno scopo qual è il nostro, se buoni ed umani non fossimo. E non dimentichiamo che una rivoluzione liberatrice non può uscire dal massacro e dal terrore, che furono e saranno sempre generatori di tirannia.

D’altra parte un errore, opposto a quello in cui cadono i terroristi, minaccia il movimento anarchico. Un po’ per reazione contro l’abuso che in questi ultimi anni si è fatto della violenza, un po’ per la sopravvivenza delle idee cristiane, e soprattutto per l’influenza della predicazione mistica di Tolstoj, alla quale il genio e le alte qualità morali dell’autore dan voga e prestigio, incomincia ad acquistare una certa importanza fra gli anarchici il partito della resistenza passiva, il quale ha per principio che bisogna lasciare opprimere e vilipendere se stesso e gli altri piuttosto che far del male all’aggressore. È quello che è stato chiamato l’anarchia passiva.

Poiché alcuni, impressionati dalla mia avversione contro la violenza inutile o dannosa, han voluto attribuirmi, non so troppo se per lodarmi o per denigrarmi, delle tendenze verso il tolstoismo, io profitto dell’occasione per dichiarare che, secondo me, questa dottrina, per quanto appaia sublimemente altruista, è in realtà la negazione dell’istinto e dei doveri sociali. Un uomo può, se è molto … cristiano, soffrire pazientemente ogni sorta di angherie senza difendersi con tutti i mezzi possibili, e restare forse un uomo morale. Ma non sarebbe egli, in pratica e quantunque senza volerlo, un terribile egoista, se lasciasse opprimere gli altri senza tentare di difenderli? Se per esempio preferisse che una classe fosse ridotta alla miseria, che un popolo fosse calpestato dall’invasore, che un uomo fosse offeso nella vita o nella libertà, piuttosto che ammaccar la pelle dell’oppressore? [1]

È curioso osservare come i terroristi ed i tolstoisti, appunto perché sono gli uni e gli altri dei mistici, arrivano a conseguenze pratiche presso che uguali. Quelli non esiterebbero a distruggere mezza umanità pur di far trionfare l’idea: questi lascerebbero che tutta l’umanità restasse sotto il peso delle più grandi sofferenze piuttosto che violare un principio.

Per me, io violerei tutti i principii del mondo pur di salvare un uomo: il che sarebbe poi infatti rispettare il principio, poiché, secondo me, tutti principii morali e sociologici si riducono a questo solo: il bene degli uomini, di tutti gli uomini.

 


 

Nota

[1] L'immagine di passività che Malatesta attribuisce a Tolstoj può applicarsi forse a qualcuno dei suoi sostenitori ma non certo a Tolstoj stesso. In molti dei suoi scritti egli si fa portavoce di un impegno concreto di lotta. Per Tolstoj occorre “combattere il Governo con il pensiero, la parola, le azioni, il propio comportamento nella vita di tutti i giorni”. E questo è il proprio il contrario di una accettazione passiva del potere statale.

 


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