Nota
Una presentazione ricca di dati su come i monopoli siano sorti con l'aiuto dello Stato e come i monopolisti abbiano poi ricompensato i governanti statali per l'appoggio ricevuto, fornendo capitali e strumenti materiali atti alla reciproca preservazione.
Fonte: La Science Moderne et l'Anarchie, Parte IV: L'état moderne, Edizione accresciuta 1913.
I monopoli a partire dal secolo XVI
Esaminiamo adesso come lo Stato moderno, che si è formato in Europa dopo il sedicesimo secolo e, più tardi, nelle giovani repubbliche delle due Americhe, ha operato per asservire l'individuo. Dopo aver accettato l'affrancamento personale di alcuni strati della società che, nelle città libere, avevano spezzato il giogo dell'asservimento, lo Stato si preoccupò di mantenere il più a lungo possibile il servaggio per i contadini, e a reintrodurre per tutti la servitù economica sotto una nuova forma, portando i suoi sudditi sotto il giogo dei suoi funzionari e di tutta una nuova classe di privilegiati: la burocrazia, la Chiesa, i proprietari fondiari, i commercianti e i capitalisti. E abbiamo visto come lo Stato ha utilizzato a questo fine l'imposta.
Ora getteremo un occhio su un altro strumento micidiale di cui lo Stato ha saputo così bene servirsi, - la creazione di privilegi e di monopoli a profitto di alcuni soggetti, a scapito di altri. Qui noi vediamo lo Stato nella sua vera funzione, che compie la sua vera missione. Si è messo a realizzarla già fin dall'inizio: è quella stessa che gli ha permesso di costituirsi e di raggruppare sotto la sua egida il padrone, il soldato, il prete e il giudice. È a questo prezzo che il sovrano fu riconosciuto. A questa missione è rimasto fedele fino ai giorni nostri. E se venisse meno ad essa, se cessasse di essere una assicurazione reciproca tra privilegiati, ciò porterebbe alla morte dell'istituzione, di quella escrescenza storica che ha rivestito una forma determinata a questo scopo e che noi chiamiamo Stato.
È stupefacente costatare fino a che punto la formazione di monopoli a vantaggio di quelli che posseggono già privilegi legati alla nascita, oppure alla potenza teocratica o militare, abbia costituito l'essenza intima di quella organizzazione che cominciò a svilupparsi in Europa nel sedicesimo secolo per rimpiazzare quella delle libere città medioevali.
Possiamo prendere in esame qualsiasi nazione: la Francia, l'Inghilterra, gli stati Tedeschi, Italiani, Slavi – dappertutto troviamo questa caratteristica insita nello Stato nascente. È per questo motivo che sarà sufficiente esaminare brevemente lo sviluppo dei monopoli in una sola nazione – l'Inghilterra, ad esempio, dove questo sviluppo è stato meglio studiato – per comprendere e afferrare questo ruolo essenziale dello Stato in tutte le nazioni moderne. Nessuna presenta la benché minima eccezione.
Si nota molto bene, in effetti, come la formazione dello Stato nascente in Inghilterra, a partire dalla fine del sedicesimo secolo, e la formazione di monopoli a favore di soggetti privilegiati, hanno costituito dei fenomeni congiunti.
Già prima del regno di Elisabetta, quando lo Stato inglese era ancora ai suoi inizi, i re Tudors istituivano di continuo dei monopoli per i propri favoriti.
Sotto Elisabetta, quando il commercio marittimo iniziò a svilupparsi, e tutta una serie di nuove industrie furono introdotte in Inghilterra, questa tendenza divenne ancora più marcata. Ogni nuova industria fu eretta come un monopolio, sia a favore di stranieri che pagavano un contributo alla regina, sia a favore di persone della Corte che si voleva ricompensare per la loro fedeltà.
Lo sfruttamento dei giacimenti di allume dello Yorkshire, del sale, delle miniere di stagno e di carbon fossile di Newcastle, l'industria del vetro, la fabbricazione perfezionata del sapone, degli spilli, e via discorrendo – tutto fu costituito in monopoli che impedivano lo sviluppo delle industrie e tendevano ad uccidere i piccoli industriali. Ad esempio, per proteggere le persone della Corte alle quali era stato assegnato il monopolio della produzione di sapone, si arrivò persino a vietare alle famiglie di fare del sapone in casa per il proprio bucato.
Sotto Giacomo I, la creazione di concessioni e la distribuzioni di patenti monopolistiche aumentarono di continuo fino al 1624, quando, alle soglie della Rivoluzione [1], fu emanata una legge contro i monopoli. Ma si trattò di una legge che presentava un duplice risvolto: da una parte condannava i monopoli, dall'altra non solamente preservava quelli esistenti ma ne sanciva di nuovi e di notevole rilievo. E poi, appena promulgata, la legge fu subito disattesa. Facendo leva su uno dei paragrafi che favoriva le vecchie corporazioni cittadine, si istituirono dei monopoli, dapprima in una certa città, per poi estenderli, successivamente, a intere regioni. Dal 1630 al 1650 il governo utilizzò anche lo strumento delle “patenti” per istituire nuovi monopoli.
Fu necessaria la rivoluzione del 1688 [2] per mettere un freno a questa orgia di monopoli. E fu solo nel 1689, quando il nuovo Parlamento (che rappresentava una alleanza tra la borghesia commerciale e industriale e l'aristocrazia fondiaria contro l'assolutismo reale e le sue fazioni) iniziò a operare, che furono prese queste misure contro la istituzioni di monopoli per decreto regio. Gli storici dell'economia arrivano ad affermare che, nel corso di tutto un secolo dopo il 1689, il Parlamento Inglese fu molto attento a non permettere la creazione di monopoli industriali che avessero potuto favorire certi industriali a scapito di altri.
Occorre riconoscere, in effetti, che la Rivoluzione e l'avvento della borghesia al potere portarono a tale risultato e che, in questo modo, alcune grandi industrie, come quella del cotone, della lana, del ferro, del carbone, ecc. poterono svilupparsi senza essere ostacolate dai monopolisti. Esse poterono addirittura crescere fino a diventare industrie a scala nazionale, alle quali prendeva parte una folta schiera di piccoli imprenditori. Il che ha permesso a migliaia di lavoratori di apportare nelle piccole officine tutta una serie di miglioramenti produttivi senza i quali queste industrie non avrebbero potuto perfezionarsi.
Però, nel frattempo, la burocrazia statale iniziava a costituirsi e a consolidarsi. La centralizzazione governativa, che è l'essenza di ogni Stato, avanzava e, ben presto, ricominciò l'istituzione di nuovi monopoli, nell'ambito di nuove sfere economiche. E questa volta su una scala molto più grande rispetto all'epoca dei Tudors. Allora si trattava dell'infanzia, adesso, con lo Stato, si giungeva alla maturità.
Se il Parlamento fu impedito, fino a un certo punto, dai rappresentanti della borghesia locale, di intervenire in Inghilterra anche nei riguardi delle industrie nascenti e di favorire le une a scapito delle altre, la sua attività volta alla formazione di monopoli si indirizzò nell'ambito delle colonie. E qui operò in grande. La Compagnia delle Indie, la Compagnia Hudson-Bay in Canada, divennero dei possedimenti ricchissimi concessi a gruppi di individui. In seguito, le concessioni fondiarie in America, i campi auriferi in Australia, i privilegi per la navigazione marittima, e la confisca in regime di monopolio di nuovi rami di sfruttamento delle risorse divennero, nelle mani dello Stato, dei mezzi per concedere ai propri protetti delle entrate favolose. In questo modo alcune persone ammassarono fortune colossali.
Fedele alla sua doppia composizione, di borghesia nella Camera dei Comuni e di aristocrazia fondiaria nella Camera dei Lords, il Parlamento Inglese si impegnò innanzitutto, durante tutto il XVIII secolo, a proletarizzare i contadini e a consegnare i coltivatori autonomi della terra, con i piedi e le mani legate, sotto il potere dei grandi proprietari fondiari. Per mezzo di Atti di Recinzione (Inclosure Acts), attraverso i quali il Parlamento dichiarava le terre comunali proprietà personale del signore, dopo che costui le avesse in qualche modo recintate, circa 3 milioni di ettari di terre comunali passarono nelle mani dei signori tra il 1709 e il 1869. In generale, il risultato finale delle misure legislative monopoliste del Parlamento Inglese è che un terzo delle terre coltivabili dell'Inghilterra sono attualmente di proprietà di 523 famiglie.
La recinzione era un chiaro e manifesto atto di rapina, ma, nel XVIII secolo lo Stato, rimesso a nuovo dalla Rivoluzione, si sentiva già abbastanza forte per sfidare lo scontento e persino le rivolte dei contadini. Non aveva forse per questo l'appoggio della borghesia? Perché, se il Parlamento dotava in questo modo l'aristocrazia di proprietà fondiarie, esso favoriva anche gli industriali borghesi. Scacciando i contadini dai villaggi nelle città, esso consegnava agli industriali le “braccia” dei contadini affamati. Inoltre, in virtù dell'interpretazione data dal Parlamento alla legge sui poveri, gli agenti al servizio dei fabbricanti di cotone entravano negli ospizi di mendicità (workhouses), vale a dire nelle prigioni dove si rinchiudevano i proletari senza lavoro con le loro famiglie, e da queste prigioni prelevavano schiere di ragazzi che, sotto la qualifica di apprendisti, dovevano lavorare dalle quattordici alle sedici ore al giorno nelle fabbriche tessili. Le città del Lancashire portano ancora, ai giorni nostri, nella sua popolazione, le impronte di questo suo passato. La costituzione fisica di questi fanciulli affamati, presi dagli ospizi per arricchire i borghesi dei centri industriali, e che erano costretti a lavorare sotto la frusta dei sorveglianti, molto spesso dall'età di sette anni, si vede ancora nella popolazione rachitica e anemica di questi borghi.
E questa realtà è durata fino al secolo XIX.
Infine, sempre per aiutare le industrie nascenti in Inghilterra, il Parlamento giunse a soffocare, con misure legislative, le industrie nazionali presenti nelle colonie. Così fu eliminata l'industria dei tessuti che, in India, aveva raggiunto un elevato livello di perfezionamento artistico. In questo modo si consegnava questo ricchissimo mercato alla paccottiglia prodotta in Inghilterra. La tessitura delle stoffe in Irlanda fu eliminata allo stesso modo, per favorire i fabbricanti di cotone di Manchester.
Si vede quindi che, se il Parlamento borghese, ansioso di arricchire i suoi sostenitori attraverso lo sviluppo di grandi industrie nazionali, si oppose durante il XVIII secolo al fatto che alcuni industriali o alcuni rami distinti dell'industria inglese fossero favoriti a scapito di altri, esso rimediò alla cosa contribuendo alla proletarizzazione della grande massa della popolazione agricola e consegnando le colonie allo sfruttamento più ignobile di potenti monopolisti. Al tempo stesso, nei casi in cui era possibile, il Parlamento preservava e favoriva persino in Inghilterra i monopoli sulle miniere, istituiti un secolo prima, come pure il monopolio dei mastri carbonai di Newcastle che durò fino al 1844, o anche quello delle miniere di rame che si protrasse fino al 1820.
I monopoli nel secolo XIX
Nella prima metà del secolo XIX, nuovi monopoli cominciarono a sorgere sotto la protezione della legge, e rispetto ai quali i precedenti monopoli non erano che giochi d'infanzia.
L'attenzione degli affaristi si concentrò innanzitutto sulle ferrovie e sulle grandi linee di navigazione transoceanica, sovvenzionate dallo Stato. Fortune colossali furono ammassate in poco tempo in Inghilterra e in Francia, con l'appoggio di “concessioni” ottenute da privati e da compagnie per la costruzione di linee ferrate, generalmente con la garanzia di determinati guadagni.
A questo si aggiunsero le grandi società metallurgiche e minerarie sorte per fornire alle compagnie ferroviarie i binari, i ponti in ferro o acciaio, le locomotive e le carrozze, e il combustibile. Tutte arrivarono a ottenere introiti favoloso e ad effettuare enormi speculazioni sui terreni acquisiti. Seguirono infine le grandi società per la costruzione di navi da guerra in ferro e soprattutto per la produzione del ferro, dell'acciaio e del rame che sarebbero serviti per gli strumenti bellici, così come la produzione di questi stessi strumenti di guerra – corazzate, cannoni, fucili, sciabole, ecc.; e poi le grandi imprese per l'apertura di canali (Suez, Panama, ecc.) e infine quello che è stato chiamato “lo sviluppo” dei paesi in ritardo nell'industrializzazione. I milionari si fabbricavano allora a tutto vapore, per mezzo di lavoratori semi-affamati che venivano fucilati senza pietà o che si inviava ai lavori forzati non appena facessero il benché minimo tentativo di rivolta.
La costruzione di una vasta rete ferroviaria in Russia (iniziata negli anni 1860), nelle penisole Europee, negli Stati Uniti, in Messico, nelle Repubbliche dell'America del Sud – tutto ciò rappresentò delle fonti di ricchezze inaudite, accumulate per mezzo di un vero brigantaggio sotto la protezione dello Stato. Si parlava di miserie quando, un tempo, un signore feudale depredava qualche carovana di mercanti che passavano vicino al suo castello! Adesso, erano centinaia di milioni di greggi umani che erano taglieggiati dagli affaristi con la connivenza aperta degli Stati, dei governi – sia autocratici, che parlamentari o repubblicani.
Ma non è finita. Ben presto si aggiunsero la costruzione di navi per la marina mercantile, sovvenzionata dai diversi Stati, le linee di navigazione anch'esse sovvenzionate, i cavi sottomarini e i telegrafi, il taglio di istmi e lo scavo di gallerie, l'abbellimento delle città iniziato sotto Napoleone III, e infine, dominando tutto ciò come la Tour Eiffel domina le abitazioni circostanti, i prestiti degli stati e le banche protette!
Tutta questa danza di miliardi divenne materia di “concessioni”. La finanza, il commercio, la guerra, gli armamenti, l'istruzione – tutto fu utilizzato per istituire dei monopoli, per fabbricare dei miliardari.
E non si cerchi di giustificare questi monopoli dicendo che, in questo modo, si arriva, comunque, a dar vita ad una quantità di opere utili. Perché, per ogni milione di capitale utilmente impiegato in queste opere, i fondatori delle varie compagnie fecero figurare spese maggiorate di tre, quattro, cinque, talvolta dieci milioni supplementari, di cui fu gravato il debito pubblico. Basta solo ricordarsi di Panama [3], dove i milioni erano inghiottiti per tenere a galla le Compagnie, e soltanto la decima parte del denaro versato dagli azionisti era utilizzata davvero per i lavori di taglio dell'istmo. Ma quello che si faceva nel caso del canale di Panama è stato fatto in tutti gli interventi, senza eccezione, in America, nelle Repubbliche degli Stati Uniti, come nelle monarchie Europee. “Quasi tutte le nostre compagnie ferroviarie e imprese similari, ha scritto Henry George [4] nel suo Progress and Poverty, sono sovraccaricate in questo modo. Là dove era stato impiegato un dollaro, sono state emesse obbligazioni per due, tre, quattro, cinque e persino dieci dollari; ed è su queste some fittizie che sono pagati gli interessi e i dividendi.”
E se fosse solo questo! Quando si formano queste grandi compagnie, il loro potere sulle moltitudini di persone è tale che le si può paragonare a quelle dei briganti che un tempo controllavano le strade e prelevavano un tributo su ogni viaggiatore, fosse un semplice pedone o il capo di una carovana di mercanti. E per ogni miliardario che sorge con l'aiuto dello Stato, sono milioni in denaro che cadono a pioggia nei ministeri.
Il saccheggio delle ricchezze nazionali che è stato fatto e che si fa ancora con il consenso e l'assistenza dello Stato – soprattutto là dove vi sono ancora delle ricchezze naturali da accaparrare – è del tutto nauseante. Basta vedere, ad esempio, il caso della ferrovia Trans-Canadese per farsi una idea di questo saccheggio autorizzato dallo Stato. Tutto ciò che vi è di meglio in fatto di terreni ai bordi dei grandi laghi dell'America del Nord, o nelle grandi città lungo i fiumi, appartiene alla compagnia che ha ricevuto il privilegio di costruire questa linea. Una striscia di terreno, di sette chilometri e mezzo di larghezza, ai due lati del tracciato, e che si estende per tutta la lunghezza della linea ferroviaria, fu regalata ai capitalisti che intrapresero la costruzione della ferrovia Trans-Canadese. E quando questa linea, avanzando verso occidente, ha attraversato degli spazi poco produttivi, una porzione equivalente a questa striscia era concessa un po' dappertutto alla stessa compagnia, laddove vi erano terreni fertili che avrebbero ben presto raggiunto un elevato valore. Là dove lo Stato distribuiva gratuitamente delle terre ai nuovi coloni, le terre concesse alla compagnia Trans-Canadese erano ripartite in lotti di un miglio quadrato, poste come le caselle nere di una scacchiera, nel bel mezzo delle terre che lo Stato dava ai coloni. Al giorno d'oggi, i quadrati appartenenti allo Stato e che sono stati dati agli emigrati, sono tutti abitati; per cui le terre date alla compagnia Trans-Canadese valgono ora centinaia di milioni di dollari. E, per quanto riguarda il capitale ottenuto dalla Compagnia per costruire la linea, si ritiene, secondo un giudizio ampiamente condiviso, che esso rappresenti tre o quattro volte la somma realmente investita.
Dovunque noi volgiamo lo sguardo, è sempre la stessa cosa, per cui è difficile individuare una sola grande fortuna dovuta solamente all'impresa stessa, senza l'aiuto di qualche pratica monopolistica di origine statale. Per quanto concerne gli Stati Uniti, come già fatto notare da Henry George, ciò è assolutamente impossibile.
Allo stesso modo, l'immensa fortuna dei Rothschild è dovuta interamente ai prestiti ottenuti dai re presso il banchiere, fondatore della famiglia, al fine di fare guerra ad altri re o per combattere contro i propri sudditi.
La fortuna non meno colossale dei duchi di Westminster è interamente dovuta al fatto che i loro antenati ottennero, per grazia del re, i terreni sui quali è costruita attualmente buona parte di Londra. E queste ricchezze continuano ad esistere solo perché il parlamento inglese, contrariamente ad ogni senso della giustizia, non vuole affrontare il tema dell'assurda appropriazione del suolo inglese da parte dei lords.
Quanto alle fortune dei grandi miliardari americani – gli Astor, i Vanderbilt, i Gould, quelli dei trusts del petrolio, dell'acciaio, delle miniere, delle ferrovie, e persino dei fiammiferi, ecc., - tutti hanno origine nei monopoli generati dallo Stato.
In una parola, se qualcuno facesse un giorno il conto delle ricchezze che sono state accaparrate dai finanzieri e dagli affaristi, sulla base dei privilegi e dei monopoli istituiti dagli stati; se qualcuno arrivasse a valutare le ricchezze in tal modo sottratte al pubblico da tutti i governi – parlamentari, monarchici e repubblicani – per concederle a dei privati in cambio di tangenti più o meno occulte, i lavoratori ne sarebbero sbalorditi e disgustati. Si tratta di cifre inaudite, difficilmente concepibili per tutti coloro che vivono del loro magro salario.
Accanto a queste cifre, risultato del saccheggio legalizzato, quelle cautamente riportate nei manuali di economia politica sono delle bagatelle, delle briciole. Quando gli economisti vogliono farci credere che all'origine del Capitale si trovano i miseri denari tesaurizzati a furia di privazioni dai padroni sui ricavi dei loro stabilimenti industriali, o questi signori sono degli ignoranti, oppure essi coscientemente affermano il falso. La rapina, l'appropriazione, il saccheggio, con l'aiuto dello Stato, delle ricchezze comuni, sulla base dell'interesse dei potenti – questa è la vera fonte delle immense fortune accumulate ogni anno dai padroni e dai borghesi.
Ma voi fate riferimento, potrebbe dire qualcuno “all'accaparramento delle ricchezze nelle terre vergini, nei paesi recentemente acquisiti alla civiltà industriale del XIX secolo. Quello che voi dite non è più il caso, si aggiungerà, per i paesi, per così dire, più maturi riguardo alla loro vita politica, come l'Inghilterra e la Francia.”
Ebbene, nei paesi più avanzati nella loro vita politica avviene esattamente lo stesso. I governanti di questi stati trovano sempre delle occasioni nuove per spogliare i cittadini a vantaggio dei loro protetti. La questione di Panama, che è servito ad arricchire tanti affaristi, non è stata forse una realtà del tutto francese? Non si è trattato forse dell'applicazione dell'invito, attribuito a Guizot [5] dell'Arricchitevi!. E accanto alla vicenda di Panama, che finì in uno scandalo, non ne abbiamo avuti ancora centinaia di altri che fioriscono anche ai nostri giorni? [6] Non dobbiamo fare altro che pensare al Marocco, all'avventura in Tripolitania, a quella di Yalou in Corea, al saccheggio della Persia, ecc. Queste azioni di truffa ad alto livello si compiono ancora tutti i giorni, e non finiranno se non dopo la rivoluzione sociale.
Il Capitale e lo Stato sono due fenomeni che crescono in parallelo. L'uno sarebbe impossibile senza l'altro e, per questo motivo, devono essere combattuti assieme, l'uno e l'altro al tempo stesso. Lo Stato non sarebbe mai arrivato a costituirsi e ad acquisire la potenza che ha al giorno d'oggi, e neppure quella che ebbe nella Roma degli imperatori, nell'Egitto dei Faraoni, in Assiria, ecc., se non avesse favorito, come ha fatto, la crescita del capitale fondiario e industriale e lo sfruttamento – innanzitutto delle tribù dei popoli dediti alla pastorizia, e poi dei coltivatori agricoltori, e in seguito, dei lavoratori dell'industria. E così, proteggendo, con la frusta e con la spada, coloro ai quali concedeva la possibilità di accaparrarsi le terre e di procurarsi (dapprima con il saccheggio e poi con il lavoro forzato dei vinti) alcuni strumenti per la coltivazione del suolo o per ottenere dei prodotti industriali; e poi costringendo coloro che non possedevano nulla a lavorare per coloro che possedevano tutto (le terre, gli attrezzi, gli schiavi), così si è formata a poco a poco questa terribile organizzazione che si chiama Stato. E, come il capitalismo non avrebbe mai raggiunto la sua forma attuale senza l'assistenza costante, ragionata e continua dello Stato, così lo Stato, da parte sua, non avrebbe mai raggiunto questa enorme potenza, questo potere di assorbire tutto, questa possibilità di tenere nelle sue mani l'intera esistenza di ogni singolo cittadino, come avviene attualmente, se non avesse operato in maniera cosciente, paziente e sistematica, a costituire il Capitale. Senza l'aiuto del Capitale, il potere dei re non sarebbe mai riuscito ad affrancarsi dalla Chiesa, e senza l'aiuto del capitalista lo Stato non avrebbe mai potuto mettere le mani su tutta l'esistenza dell'uomo moderno, dai suoi primi passi a scuola fino alla tomba.
Ecco perché quando si dice che il capitalismo data dal XV o XVI secolo, questa affermazione potrebbe essere considerata come avente una certa utilità, in quanto serve ad affermare il parallelismo tra la crescita dello Stato e quella del Capitale. Ma lo sfruttamento del capitale esisteva già là dove si trovavano i primi germi di proprietà esclusiva del suolo, là dove il diritto di alcuni individui specifici di far pascolare il bestiame su un certo terreno e, più tardi, la possibilità di coltivare la terra utilizzando dei servi o dei salariati, erano pratica stabilita. A questo punto, possiamo vedere il capitale che compie già la sua opera nociva presso i popoli di pastori (i Mongoli, i Buriati) che escono a malapena dalla fase tribale. In effetti, è sufficiente che il commercio esca da quella fase tribale (durante la quale nulla poteva essere venduto da un membro della tribù ad un altro membro), è sufficiente che il commercio diventi pratica individuale, perché si produca di già il capitalismo. E non appena lo Stato (che viene dall'esterno o che si sviluppa all'interno della tribù) mette le mani sulla gente della tribù con le imposte e i suoi funzionari, come è avvenuto per le tribù mongole, allora il proletariato e il capitalismo sono cosa fatta, ed essi cominciano inevitabilmente la loro evoluzione. È proprio per consegnare le popolazioni della Cabilia, del Marocco, gli Arabi della Tripolitania, i Fallah che coltivano il suolo in Egitto, i Persiani, ecc. come prede dei capitalisti importati dall'Europa o degli sfruttatori locali, che gli Stati europei effettuano attualmente le loro conquiste in Africa e in Asia. E in questi paesi, recentemente conquistati, si può vedere nel vivo, quanto lo Stato e il Capitale siano intimamente legati, come l'uno produce l'altro, come essi determinino in maniera reciproca la loro evoluzione parallela.
Note
[1] La Rivoluzione Inglese o Guerra Civile Inglese fu un conflitto che durò dal 1642 al 1651 tra i fautori del Parlamento e i sostenitori del re.
[2] La Gloriosa Rivoluzione o Rivoluzione del 1688 portò alla deposizione del re Giacomo II di Inghilterra e all'ascesa al trono di Guglielmo III e di sua moglie Maria II, figlia di Giacomo. Uno dei risultati della rivoluzione fu la promulgazione di una Carta dei Diritti (Bill of Rights, 1689) che limitava i poteri del re.
[3] Lo scandalo di Panama (1892) in Francia è stato un affare di corruzione legato alla costruzione del canale di Panama che ha coinvolto numerosi uomini politici e industriali (tra cui Ferdinand de Lesseps, promotore del Canale di Suez) durante l'epoca della Terza Repubblica (1870-1940). Uno dei risultati fu la rovina di centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori.
[4] Henry George (1839-1897) economista e giornalista americano, fautore di una filosofia nota sotto il nome di Georgismo che sosteneva che i benefici derivanti dall'uso del suolo spettassero a tutti gli abitanti della terra e che quindi fosse necessario introdurre una tassa sul valore dei terreni (land value tax) i cui proventi dovessero essere ripartiti tra tutti.
[5] François Guizot (1787-1874) storico e uomo di stato francese. È diventato famoso il suo invito « Enrichissez-vous… » contenuto nella frase di un discorso pronunciato davanti alla Camera dei Deputati nel 1843: “Éclairez-vous, enrichissez-vous, améliorez la condition morale et matérielle de notre France.”
[6] Le pratiche affaristiche a spese della comunità sono continuate nel corso del secolo XX. Si veda a questo riguardo, Jean-Noël Jeanneney, L'argent caché. Milieux d'affaires et pouvoirs politiques dans la France du XX siècle, Seuil, 1984