Piotr Kropotkin

Comunismo e Anarchia

(1901-1903)

 



Nota

L'interesse di questo scritto risiede in tre aspetti principali: 1. l'avvertenza che il comunismo può essere sia di tipo autoritario che libertario; 2. la messa in luce degli aspetti e delle tendenze di tipo comunista all'interno dello stesso capitalismo industriale; 3. la somiglianza notevole del comunismo sostenuto da Kropotkin con il mutualismo e con altre correnti cooperativistiche in cui individui liberi, associati in comunità volontarie, giocano un ruolo determinante.

Fonte: Pëtr Kropotkin, Communism and anarchy, Freedom, London, Luglio - Agosto 1901.
In Francese: Pëtr Kropotkin, Communisme et anarchie, Les Temps Nouveaux, Paris, 1903 e nella raccolta di scritti, La Science Moderne et l'Anarchie, Paris, 1913 edizione aumentata.

 


 

Il comunismo autoritario

Molti anarchici e pensatori, in generale, pur riconoscendo gli immensi vantaggi che il Comunismo può offrire alla società, considerano però questa forma di organizzazione sociale un pericolo per la libertà e lo sviluppo autonomo degli individui. Anche molti comunisti riconoscono questo pericolo e, preso nel suo insieme, il problema andrebbe affrontato con quell’altro grande tema che il nostro secolo ha prospettato in tutta la sua ampiezza: la relazione dell’individuo con la società. La sua importanza non ha bisogno di essere sottolineata.

Il problema è stato offuscato in vari modi. Quando si parla di comunismo molte persone pensano al  comunismo, più o meno cristiano e monastico, dal carattere autoritario, sostenuto e praticato nella prima metà del secolo diciannovesimo in alcune comunità. Queste comunità presero la famiglia come loro modello e cercarono di formare “la grande famiglia comunista” finalizzata a “riformare l’essere umano”. A questo scopo, oltre a lavorare in comune, esse imposero una pratica di vita strettamente comunitaria, come in una famiglia, con l’isolamento o la separazione della colonia dalla civiltà esistente. Questo finiva per portare ad una totale intromissione dei “fratelli” e delle “sorelle” nella vita intima di ogni membro della colonia.

In aggiunta a ciò, non si sottolineò abbastanza la differenza tra le comunità isolate, fondate durante gli ultimi tre o quattro secoli, e le numerose comunità federate che sorgeranno, con tutta probabilità, in una società che si prepara a compiere una rivoluzione sociale. È quindi necessario esaminare, uno ad uno, cinque aspetti del tema:

1. La produzione e il consumo in comune
2. La vita domestica in comune (coabitazione: è necessario oppure no configurarla sul modello della famiglia attuale?)
3. Le comunità isolate dei giorni nostri
4. Le comunità federate del futuro
5. Il comunismo riduce necessariamente l’individualità? In altre parole, quale è il ruolo dell’individuo in una società comunista.

Un  vasto movimento di idee si è sviluppato nel corso del secolo diciannovesimo sotto la qualifica generale di Socialismo, a partire da Babeuf, Saint-Simon, Fourier, Robert Owen e Proudhon, che hanno espresso le correnti predominanti del socialismo, e a cui sono succedute numerose altre figure in Francia: Victor Considerant, Pierre Leroux, Louis Blanc; in Germania: Karl Marx, Friedrich Engels; in Russia: Nikolay Chernyshevsky, Mikhail Bakunin; ecc, che hanno operato sia nel popolarizzare le idee dei fondatori del socialismo moderno sia nel porle su una base scientifica.

Queste idee, prendendo forma precisa, hanno dato vita a due correnti principali: il comunismo autoritario e il comunismo anarchico. E anche ad una serie di concezioni intermedie volte a trovare una via di mezzo, come ad esempio il capitalismo di stato, il collettivismo, la cooperazione. Tra gli operai queste concezioni hanno prodotto un formidabile movimento che ha cercato di organizzare l'insieme dei lavoratori per mestiere, nella lotta contro il Capitale. Questo movimento è diventato sempre più internazionale a seguito di rapporti frequenti tra lavoratori di differenti paesi. I seguenti tre punti essenziali sono divenuti patrimonio di idee e di azione da parte del movimento operaio e sono penetrati ampiamente nella consapevolezza delle persone:

1. L’abolizione del lavoro salariato, forma moderna dell’antico servaggio.
2. L’abolizione della proprietà individuale dei mezzi di produzione.
3. L’emancipazione dell’individuo e della società dall’apparato politico-burocratico, vale a dire dallo Stato, che interviene per perpetuare la schiavitù economica.

Su questi tre punti tutti sono d’accordo, anche coloro che sono a favore dei “buoni del lavoro” o quelli che, come Paul Brousse [1], vorrebbero che tutti fossero “funzionari”, vale a dire impiegati dello Stato o del Comune. Essi ammettono che, quando sostengono uno di questi punti, lo fanno solo perché non vedono la possibilità di realizzare subito il Comunismo. Per cui accettano dei compromessi come espedienti temporanei, ma il loro scopo finale rimane sempre il Comunismo. E, per quanto riguarda lo Stato, anche il più fervido partigiano dello Stato, del potere, persino della dittatura, riconosce che, con la scomparsa delle classi che esistono attualmente, anche lo Stato cesserà di esistere.

Per questo possiamo affermare, senza esagerazione, quanto importante sia la nostra componente - la componente Anarchica - nell’ambito del Movimento Socialista, e questo nonostante tutte le differenze esistenti tra i vari rami del Socialismo (differenze basate, soprattutto, sul carattere più o meno rivoluzionario dei mezzi di azione scelti da ogni componente). E possiamo anche affermare che tutte le componenti, per voce dei suoi esponenti, riconoscono nell’evoluzione verso il Comunismo Libero e Volontario la finalità del Socialismo. Tutto il resto, come ammettono essi stessi, non sono altro che momenti di passaggio verso questo fine.

Sarebbe inutile soffermarsi su questi momenti di passaggio senza esaminare prima le tendenze dello sviluppo della società moderna.

Produzione e consumo in comune

Di queste differenti tendenze, due, innanzitutto, meritano la nostra attenzione. Una consiste nella crescente difficoltà a determinare la quota da assegnare ad ogni individuo nell’ambito della moderna produzione. L’industria e l’agricoltura sono diventate così complesse, così interconnesse, tutte le imprese sono così dipendenti l’una dall’altra, che il pagamento ad un lavoratore-produttore sulla base dei suoi risultati diventa impossibile quanto più si sviluppa l’industria; è per questo che il versamento di un salario mensile ha, in via generale, sostituito la remunerazione sulla base delle quantità prodotte. I salari, d’altra parte, tendono ad uniformarsi. Di certo, rimane la divisione dell’attuale società borghese in classi e c’è una notevole parte di borghesi che guadagna sempre più pur producendo sempre meno. La stessa classe operaia è divisa in quattro grandi componenti:

1. le donne
2. i lavoratori agricoli
3. i lavoratori comuni
4. i lavoratori specializzati.

Queste divisioni rappresentano quattro diversi livelli di sfruttamento e non sono altro che il risultato dell’organizzazione produttiva messa in atto dalla borghesia.

In una società di persone con pari dignità, in cui tutti possono apprendere un mestiere e in cui cesserà lo sfruttamento delle donne da parte degli uomini e del contadino da parte dell'industriale, queste classi scompariranno. Ma, anche al giorno d’oggi, i livelli salariali all’interno di queste classi tendono a unificarsi. Questo ha fatto dire che “una giornata lavorativa di un marinaio ha lo stesso valore di quella di un gioielliere”, e ha portato Robert Owen a concepire i suoi “buoni del lavoro” pagati a tutti coloro che avevano effettuato un certo numero di ore nella produzione di beni necessari.

Ma se volgiamo lo sguardo a tutti i tentativi fatti in passato in questa direzione, troviamo che, ad eccezione di alcune migliaia di agricoltori negli Stati Uniti, i “buoni del lavoro” non si sono più diffusi dopo i primi decenni del secolo diciannovesimo [2] quando Owen ne aveva sperimentato l’introduzione. Le ragioni di ciò sono state esaminate altrove (vedi il capitolo: Il sistema salariale nel mio libro La conquista del pane, 1892).

D’altra parte, assistiamo ad un gran numero di tentativi di socializzazione parziale che vanno nella direzione del Comunismo. Centinaia di comunità comuniste sono state fondate quasi dappertutto nel corso di questo secolo diciannovesimo e, attualmente, ne conosciamo oltre un centinaio che sono più o meno su basi comuniste. È nella stessa direzione del comunismo - comunismo parziale, diremmo noi - che si indirizzano quasi tutti i numerosi tentativi di socializzazione che vediamo nella società borghese, sia tra individui, sia con riferimento alla socializzazione nell'affrontare problemi da risolvere nell’ambito di un Comune.

Grandi alberghi, navi, case di accoglienza, sono tutti esperimenti nella direzione della socializzazione, messi in atto dalla borghesia. Durante una buona parte del giorno, una persona ha la possibilità di scegliere tra dieci o quindici piatti di cibo, in un grande albergo o su una nave, e non vi è nessuno che controlli quanto un individuo abbia mangiato. Questo modo di organizzare le cose avviene addirittura a livello internazionale; prima di lasciare Parigi o Londra si possono comperare dei buoni (a 10 franchi al giorno) che permettono ad una persona di soggiornare a sua scelta in centinaia di alberghi in Francia, Germania, Svizzera, ecc., tutti facenti parte di una catena internazionale.

La borghesia ha pienamente compreso i vantaggi di un comunismo parziale, associato ad una libertà quasi illimitata dell’individuo per quanto riguarda i consumi. In tutte queste località, pagando una quota mensile fissa, si potrà godere di vitto e alloggio, con la sola eccezione per quanto riguarda degli extra (vino, stanze più spaziose) che sono addebitati separatamente.

L’assicurazione sugli incendi, sui furti e sugli incidenti (soprattutto nei piccoli centri dove la similarità delle situazioni permette di applicare la stessa tariffa a tutti gli abitanti); gli accordi attraverso i quali grandi magazzini inglesi forniranno, dietro pagamento di una quota settimanale, tutto il pesce che una famiglia può consumare; i club; le innumerevoli società di assicurazione contro la malattia, ecc. ecc. Questa massa di istituzioni create durante il diciannovesimo secolo costituiscono delle tendenze verso il Comunismo che riguardano una parte dei nostri consumi totali.

Infine, vi è una vasta serie di istituzioni comunali - acqua, gas, elettricità, abitazioni popolari, treni con tariffe di viaggio uniformi, bagni pubblici, lavanderie comunali, ecc. in cui simili esperienze di consumo socializzato sono praticate su scala crescente.

Tutto ciò non è certamente ancora Comunismo. Lungi da ciò. Ma il principio interno a queste istituzioni è in parte di tipo comunista: con una quota fissa annuale o per giorno (di denaro oggi, di lavoro domani) una persona ha diritto di soddisfare - fatta eccezione per articoli di lusso – una certa categoria di bisogni.

Tali avvicinamenti al comunismo differiscono dal vero comunismo sotto vari aspetti, e soprattutto per i seguenti motivi: (1) il pagamento avviene in denaro invece che sotto forma di lavoro; (2) i consumatori non hanno voce in capitolo nell’amministrazione dell’attività produttiva. Tuttavia, se la tendenza di queste istituzioni fosse ben compresa, non sarebbe difficile anche oggi avviare, a seguito dell'iniziativa di un individuo o di un gruppo, una comunità che introducesse il primo dei principi a cui si è fatto cenno, vale a dire, la produzione e il consumo in comune. Supponiamo che vi sia un territorio di 500 ettari su cui sono costruite 200 piccole abitazioni, ognuna con il suo giardino o un frutteto di un quarto di ettaro. L’amministrazione permette ad ogni famiglia che occupa una abitazione di scegliere, da una lista di 50 piatti preparati ogni giorno, quelli che essa desidera, oppure fornisce alimenti come pane, verdure, carne, caffè, per una preparazione a casa. In cambio si richiede o un versamento annuale di una certa quantità di denaro o un certo numero di ore di lavoro, secondo la scelta del consumatore, da effettuare a vantaggio di uno dei dipartimenti produttivi dell’agglomerato: agricoltura, allevamento del bestiame, cucine, servizi di pulizia. Questo schema si potrebbe mettere in pratica domani se ci fosse una domanda, e ci si dovrebbe chiedere come mai una fattoria/residenza/centro di produzione orticola non sia stato ancora aperto dall'intraprendente gestore di un albergo.

Si potrebbe di certo obiettare che è proprio a questo riguardo, vale a dire l’introduzione di una attività in comune, che i comunisti sono generalmente andati incontro al fallimento. Eppure, questa obiezione non regge. Le cause del fallimento sono state sempre altre.

Innanzitutto, quasi tutte le comunità sono state fondate sulla spinta di un entusiasmo quasi religioso. Alle persone è stato chiesto di diventare “faro dell’umanità”; di sottomettersi agli imperativi di una puntigliosa moralità, di diventare, in un certo qual modo, esseri rigenerati da una vita secondo i dettami del comunismo, di dare tutto il loro tempo, ore di lavoro e di svago, alla comunità, di vivere interamente per la comunità.

Questo significava agire semplicemente come monaci ed esigere dalle persone - senza alcuna necessità - di essere quello che non sono. Solo recentemente abbiamo avuto comunità che sono state fondate da anarchici impegnati nella produzione, senza alcuna pretesa stravagante, e sulla base di motivazioni puramente economiche, per sottrarsi allo sfruttamento capitalistico.

Vita domestica in comune

Il secondo errore è consistito nel desiderare di amministrare la comunità come se fosse una famiglia, di volerne fare “una grande famiglia”. Le persone vivevano tutte nella stessa casa ed erano quindi obbligate ad essere continuamente in contatto con gli stessi “fratelli e sorelle”. È spesso difficile, anche per due veri fratelli, vivere assieme nella stessa casa, e l’esistenza familiare non è sempre armoniosa; per questo, è stato un errore fondamentale imporre a tutti il modello della “grande famiglia” invece di tentare, al contrario, di assicurare ad ogni individuo il massimo di libertà e di vita domestica personale.

Inoltre, una piccola comunità non può perpetuarsi a lungo. “Fratelli e sorelle” obbligati a vedersi di continuo, con una scarsità di nuove esperienze, finiscono per detestarsi l’un l’altro. Se due persone, diventano rivali o semplicemente non si piacciono, esse sono in grado, con le loro divergenze, di portare una comunità alla dissoluzione. Perciò, il mantenere in vita, per molto tempo,  tali comunità sarebbe cosa molto strana, soprattutto se si tiene conto che tutte quelle che sono state fondate fino ad ora si sono isolate dalla società. È una conclusione scontata che una associazione assai ristretta di 10, 20 o 100 persone non può durare più a lungo di tre o quattro anni. Sarebbe persino deplorevole che durasse di più, perché questo vorrebbe solo dire o che tutti gli individui sono caduti sotto l’influsso di uno di loro o che tutti hanno perso la loro individualità. Per cui, dal momento che è certo che, nel giro di tre, quattro o cinque anni, una parte dei membri di una comunità sentirebbe il desiderio di partire, dovrebbero esistere almeno una dozzina o più di comunità federate in modo che coloro che, per un motivo o per l’altro, volessero lasciare una comunità, potessero entrare a far parte di un’altra comunità, ed essere sostituiti da nuovi venuti, provenienti da altre località. Altrimenti, l’alveare comunista deve necessariamente morire oppure (cosa che avviene quasi sempre) cadere nelle mani di un individuo - generalmente il più scaltro dei “fratelli”.

Le comunità isolate dei giorni nostri e le comunità federate del futuro

Infine, tutte le comunità fondate fino ad ora, si sono isolate dalla società. Ma la lotta, una vita fatta di lotte, è cosa di cui un essere umano attivo sente il bisogno, più che di una tavola ricolma di cibo. Il desiderio di vedere il mondo, di sperimentare le sue correnti di vita, di condurre le sue battaglie, è un richiamo pressante per le giovani generazioni. Da questo ne deriva, come sottolineato da Tchaikovsky sulla base della sua esperienza, che i giovani, all’età di 18 o 20 anni, necessariamente abbandonano una comunità ristretta, che non include l’insieme della società.

È necessario poi aggiungere che i governi, di qualsiasi tipo, hanno costituito i peggiori ostacoli per tutte le comunità. Quelle comunità che hanno avuto meno governo o nessun governo (come è mostrato nella Giovane Icaria) [3] sono quelle che hanno avuto più successo, ed è facile capire il perché. L’odio politico è uno dei più violenti nel suo genere. Noi possiamo vivere nella stessa località con i nostri avversari politici se non siamo obbligati a vederli sempre. Ma come è possibile la vita in una piccola comunità dove ci incrociamo ad ogni istante? Il contrasto politico farebbe la sua apparizione durante lo studio, sul posto di lavoro, nei momenti di svago, e la vita diventerebbe impossibile.

Invece, è stato attestato che il lavoro in comune, la produzione in forma comunista, funziona a meraviglia. In nessuna impresa commerciale è stato aggiunto così tanto valore alla terra attraverso il lavoro in comune come è avvenuto in ognuna delle comunità fondate in America e in Europa. Errori di calcolo possono avvenire dappertutto, come si verificano anche in tutte le imprese capitalistiche; ma, sapendo che durante i primi cinque anni dalla sua fondazione, quattro imprese commerciali su cinque fanno bancarotta, occorre riconoscere che nulla di simile o che si avvicina a ciò si è verificato nelle comunità di tipo comunista. Per cui, quando la stampa borghese fa delle battute e parla di offrire agli anarchici un’isola dove fondare la loro comunità, sulla base della nostra esperienza siamo pronti ad accettare l’offerta, posto solo che questa isola sia, ad esempio, l'Île-de-France [Parigi e la sua regione, n.d.t.] e che, sulla base della valutazione del capitale sociale noi riceviamo la nostra parte. Ma, dal momento che sappiamo che né l'Île-de-France né la nostra parte di capitale sociale ci saranno dati, noi ci prenderemo, un bel giorno, sia l’una che l’altro, direttamente, per mezzo di una Rivoluzione Sociale. Parigi e Barcellona nel 1871 [4] non erano molto lontane dall’attuare ciò - e le idee si sono fatte strada da allora.

Il progresso ci permette di vedere innanzi tutto che una città isolata, che proclami la Comune, avrebbe notevoli difficoltà a esistere. L’esperimento, quindi, andrebbe fatto su un territorio - ad esempio, uno degli Stati occidentali degli Stati Uniti d'America, l’Idaho o lo Ohio - come suggeriscono i socialisti americani, ed essi hanno ragione. Su un territorio sufficientemente grande, e non nei limiti di una sola città, dobbiamo un giorno iniziare a praticare il Comunismo del futuro. 

Abbiamo mostrato così tante volte che il Comunismo di Stato è cosa impossibile, per cui è inutile soffermarci ancora sul tema. Per di più, una prova consiste nel fatto che coloro che credono nello Stato, i sostenitori del Socialismo di Stato, non credono affatto nel Comunismo. Un buon numero di loro è interessato alla conquista di una parte del potere nello Stato attuale - lo Stato borghese. Essi non si preoccupano affatto di chiarire se la loro idea di un Socialismo di Stato sia diversa da un sistema di Capitalismo di Stato sotto il quale tutti sarebbero impiegati dello Stato. Se gli si dice che questo è il loro scopo, si mostrano irritati; eppure, essi non spiegano quale altro sistema di società vorrebbero istituire. Dal momento che non credono nella possibilità di una rivoluzione sociale nel prossimo futuro, il loro fine è quello di diventare una componente del governo dello Stato borghese di oggi e lasciano che il futuro decida dove porterà tutto ciò.

Quanto a coloro che hanno tentato di delineare i tratti di un futuro Stato Socialista, costoro rispondono alle nostre critiche affermando che tutto quello che essi vogliono sono uffici di statistica. Ma questo non è che un gioco di parole. D'altronde, attualmente si riconosce che le sole statistiche valide sono quelle fornite dagli individui stessi quando dichiarano la loro età, occupazione e posizione sociale, o fanno la lista di ciò che è stato venduto o comprato, prodotto e consumato.

Le domande da porre agli individui sono generalmente elaborate da volontari (studiosi, società di statistica) e il lavoro degli uffici di statistica consiste attualmente nel far circolare le domande, e tabulare e sommare automaticamente le risposte. Ridurre lo Stato, cioè i governi, a questa funzione e affermare che, per “governo” si intende solo questo, non significa altro, per dirla con tutta sincerità, se non concedere al governo una onorabile ritirata. E, in effetti, dobbiamo ammettere che i Giacobini di trenta anni fa si sono notevolmente ricreduti riguardo ai loro ideali di dittatura e di centralizzazione socialista. Nessuno più osa dire che la produzione e il consumo di patate o di riso devono essere regolati dal Parlamento dello Stato Popolare Tedesco (Volkstaat) a Berlino. Queste idiozie non sono più sostenute.

L’individuo in una società comunista

Lo Stato Comunista è dunque una idea fantasiosa, abbandonata già da un pezzo dai suoi aderenti, ed è adesso venuto il tempo di andare oltre. Un tema molto più importante da esaminare è questo: se il comunismo anarchico o comunismo libertario non porti necessariamente ad una diminuzione della libertà degli individui.

Il fatto è che, in tutte le discussioni sulla libertà, le nostre idee sono rese confuse dalla sopravvivenza del retaggio di secoli passati di asservimento e di oppressione religiosa.

Gli economisti hanno descritto il contratto che si instaura tra il padrone e il lavoratore, e che nasce da rapporti di forza squilibrati, concluso sotto la minaccia di morire di fame, come una condizione di libertà. Gli uomini politici, anche loro, hanno fatto lo stesso con riferimento alla condizione attuale dei cittadini che sono diventati sudditi e contribuenti dello Stato. I moralisti più avanzati, come John Stuart Mill e i suoi numerosi discepoli, hanno definito la libertà come il diritto di fare tutto salvo l’invadere l’altrui spazio di libertà. Il fatto è che il termine “diritto” è un termine poco chiaro, tramandatoci dal passato, che significa o nulla del tutto o qualcosa di troppo. La definizione di Mill ha poi permesso al filosofo Herbert Spencer, a numerosi pensatori e persino a taluni anarchici individualisti, di ricostituire i tribunali e riproporre le punizioni per legge, fino alla pena di morte - il che vuol dire, in ultima analisi, la necessaria reintroduzione dello Stato che essi stessi avevano criticato in modo così ammirevole. L’idea della libera volontà rimane poi celata dietro tutti questi ragionamenti.

Vediamo allora che cos'è la Libertà?

Se mettiamo da parte tutti gli atti non coscienti e prendiamo in esame solo le azioni volute espressamente (essendo solo queste quelle che la legge, la religione e il sistema penale cercano di influenzare) troviamo che ogni azione di questo tipo è preceduta, nel cervello umano, da una qualche riflessione. Ad esempio: Qualcuno pensa tra sé: “Uscirò e farò una passeggiata”. “No, ho un appuntamento con un amico” oppure, “Ho promesso di finire un certo lavoro” oppure ancora, “Mia moglie e i miei figli non vorrebbero restare soli a casa” oppure “Perderò il mio impiego se non vado a lavorare”.

L’ultima riflessione implica la paura di una punizione. Nei primi tre casi l’individuo ha a che fare solo con sé stesso, le sue abitudini di lealtà, le sue simpatie. E in questo consiste tutta la differenza. Noi diciamo che una persona costretta a pensare che deve abbandonare questo o quest’altro proposito per paura di una punizione, non è una persona libera. E affermiamo che l’umanità può e deve liberarsi dalla paura della punizione; che essa può formare una società anarchica nella quale la paura di ricevere una punizione e persino il dispiacere di essere biasimati, scompariranno. Noi avanziamo verso questo ideale.

Ma noi sappiamo anche che non possiamo emanciparci dalle nostre abitudini di lealtà (mantenere la parola data) né dalle nostre simpatie (il timore di ferire le persone che amiamo e che non vogliamo addolorare e nemmeno deludere). A questo riguardo l’essere umano non è mai libero. Robinson Crusoe nella sua isola non era libero. Nel momento in cui ha cominciato a costruire la sua imbarcazione, a coltivare il suo orto o a mettere da parte le provviste per l’inverno, egli era già preso e assorbito dal suo lavoro. Se si fosse sentito pigro, e avesse preferito rimanere sdraiato nella sua grotta, nonostante ciò, dopo un momento di esitazione, sarebbe andato avanti con il suo lavoro. Quando ha avuto la compagnia di un cane, di due o tre capre e, soprattutto, dopo che ha incontrato Venerdì, non era più assolutamente libero nel senso in cui si impiega talvolta questo termine nelle discussioni. Aveva degli obblighi, aveva da pensare all'interesse di altri, non era più quel perfetto individualista che talvolta ci aspettiamo di trovare. Nel momento in cui ha una moglie e dei figli, educati direttamente da lui o affidati ad altri (la società), nel momento in cui ha un animale domestico, o anche solo un orto che richiede di essere innaffiato regolarmente - da quel momento egli non è più colui che può dire “non è compito mio”, non è più l' “egoista”, non è più l' “individualista” che talvolta viene raffigurato come l’esempio classico di essere umano libero. Né sull’isola di Robinson Crusoe e né tanto meno in una qualsiasi società, esiste questa tipologia di individuo. L’essere umano prende e prenderà sempre in considerazione gli interessi degli altri nella misura in cui si stabiliranno dei rapporti di mutuo interesse tra di loro, e tanto più quando queste altre persone faranno conoscere i loro propri sentimenti e desideri.

Per questo non troviamo altra definizione della libertà se non la seguente: la possibilità di agire senza essere influenzati in queste azioni dalla paura di punizioni da parte della società (vincoli fisici, minaccia di patire la fame o persino il biasimo, a meno che ciò non provenga da una persona amica).

Se comprendiamo la libertà in questo senso - e dubitiamo che si possa trovare una definizione più ampia e al tempo stesso più concreta - possiamo affermare che il comunismo può diminuire, persino annullare del tutto la libertà individuale, e in molte comunità comuniste questo è stato tentato; ma può anche accrescere la libertà fino ai suoi massimi livelli.

Tutto dipende dalle idee di base sulle quali si fonda l’associazione. Non è la forma di una associazione che determina l’esistenza della schiavitù; è l’idea della libertà individuale che portiamo con noi all’interno dell’associazione che determina il carattere più o meno libertario di tale associazione.

Questo vale per tutte le forme di associazione. La coabitazione di due individui sotto lo stesso tetto può portare all’assoggettamento di uno al volere dell’altro, come pure alla libertà per entrambi. Lo stesso vale per una famiglia o nel caso dell’attività in comune di due persone che curano un giardino o pubblicano un giornale. Lo stesso può avvenire in riferimento ad associazioni grandi o piccole, in ogni istituzione sociale. Quindi, nel decimo, undicesimo e dodicesimo secolo, troviamo comunità di uguali, formate da persone ugualmente libere - e quattro secoli più tardi vediamo le stesse comunità che vogliono che tutto il potere sia affidato nelle mani di un ecclesiastico. I giudici e le leggi sono rimasti; l’idea del diritto Romano, dello Stato, è diventata dominante, mentre sono scomparse le idee di libertà, di risolvere le dispute per via di arbitrati e di attuare il federalismo nella forma più estesa. Da qui è sorto l’asservimento.

Ebbene, tra tutte le istituzioni o forme di organizzazione sociale che sono state sperimentate fino ad oggi, il comunismo è quella che garantisce la sfera maggiore di libertà individuale - posto che l’idea che dà vita alla comunità sia quella di Libertà, l’Anarchia.

Il comunismo è capace di assumere tutte le forme di libertà o di oppressione, cosa di cui le altre istituzioni sono incapaci. Può produrre una comunità di monaci in cui tutti implicitamente obbediscono agli ordini di un superiore, e può produrre una organizzazione assolutamente libera, lasciando all’individuo una piena libertà d’azione. In questo caso l’associazione rimane in vita solo fino a quando i suoi membri hanno l’intenzione di restare uniti, non imponendo qualcosa a chicchessia, e anzi, disposti tutti a difendere, ampliare ed estendere in ogni direzione la libertà dell’individuo. Il comunismo può essere autoritario (nel qual caso la comunità deperirà ben presto) o può essere anarchico. Lo Stato, al contrario, non può essere altro che autoritario, oppure cessa di esistere in quanto Stato.

Il comunismo garantisce la libertà economica meglio di ogni altra forma di associazione, perché può provvedere al benessere delle persone, persino alla dotazione di beni di lusso, in cambio di alcune ore di lavoro, invece di una lunga giornata di fatiche individuali. Ora, l’avere ogni giorno dieci o undici ore dedicate a sé stessi su sedici ore che costituiscono la parte attiva di una giornata (contando otto ore per il sonno) significa ampliare la libertà dell’individuo, conseguendo ciò che è stato per migliaia di anni uno dei massimi ideali dell’umanità.

Oggi questo può diventare realtà avendo a disposizione i moderni mezzi di produzione, frutto della meccanizzazione. In una società comunista l’individuo può disporre di almeno dieci ore di svago. Questo significa emancipare l’essere umano da uno dei compiti più onerosi che lo affliggono. Costituisce un accrescimento della libertà.

Riconoscere a tutte le persone pari dignità e rinunciare al domino dell’uomo sull’uomo costituisce un altro ampliamento della libertà ad un livello che nessuna altra forma di associazione ha mai concepito, neanche nei suoi sogni. Ciò diventa possibile solo dopo che il primo passo è stato compiuto: quando l’individuo ha la garanzia di disporre dei mezzi di esistenza e non è obbligato a vendere le sue capacità fisiche e mentali a coloro che sono pronti a sfruttarlo.

Infine, occorre riconoscere che la possibilità di una varietà nelle occupazioni costituisce la base di ogni progresso, e per questo bisogna organizzare le cose in modo tale che l’individuo possa essere pienamente libero durante le ore di svago e possa anche cambiare di attività produttiva, sulla base di una educazione che lo prepari a ciò fin dalla prima infanzia. Tutto questo può essere realizzato facilmente in una società comunista. Si tratta, ancora una volta, di emancipare l’individuo e spalancare davanti a lui le porte, per il suo pieno sviluppo, in tutte le direzioni.

Per quanto riguarda il resto, tutto dipende dalle idee sulle quali la comunità è fondata. Sappiamo di una comunità religiosa nella quale alcuni membri erano scontenti e questo appariva chiaramente sui loro volti; un loro confratello era solito rivolgersi a costoro dicendo: “Tu sei triste, e nonostante ciò mostrati allegro altrimenti affliggerai gli altri fratelli e sorelle.” E sappiamo di comunità composte da sette membri uno dei quali chiedeva che si formassero quattro comitati: per il giardinaggio, per le provviste, per la contabilità e per la vendita all’esterno, con poteri assoluti per il presidente di ogni comitato. Sono certamente esistite comunità fondate o dominate da “autorità criminali (un tipo speciale da sottoporre all’attenzione del Signor Lombroso) [5] e un certo numero di comunità sono state avviate da persone folli che richiedevano che l’individuo fosse totalmente assorbito dal gruppo. Ma queste comunità non erano il prodotto del comunismo ma del cristianesimo (eminentemente autoritario nella sua essenza) e del diritto statale romano.

L’idea di base delle persone che sostengono che la società non può esistere senza la polizia e i giudici, vale a dire senza lo Stato, costituisce un pericolo per qualsiasi forma di libertà. Nulla a che vedere con l’essenza del comunismo che consiste nel consumare e produrre senza calcolare esattamente, con precisione matematica, quanto toccherebbe a ciascun individuo. Questa idea è, per l’appunto, una idea di libertà e di emancipazione dai vincoli imposti.

Siamo arrivati quindi alle conclusioni seguenti.

I tentativi di comunismo sono finora falliti perché:
- Erano basati su una spinta di carattere religioso, invece di prendere in considerazione una comunità come un semplice strumento per meglio organizzare la produzione e il consumo.
- Queste comunità si sono formate in isolamento dalla società.
- Erano imbevute di uno spirito autoritario.
- Erano isolate invece di essere federate.
- Richiedevano ai membri uno sforzo lavorativo eccessivo tale da non lasciare loro del tempo libero per lo svago.
- Erano modellate sulla forma della famiglia patriarcale invece di avere come finalità la massima emancipazione possibile dell’individuo.

Il comunismo, essendo principalmente una forma di organizzazione economica, non pregiudica in alcun modo la sfera di libertà garantita all’individuo, colui che promuove nuovi progetti, il ribelle contro ogni cristallizzazione dei costumi. La comunità comunista può essere autoritaria, il che conduce necessariamente alla scomparsa della comunità stessa, oppure può essere libertaria, il che, nel secolo dodicesimo, anche in presenza di un comunismo parziale nei comuni di nuova formazione, portò alla creazione di una civiltà giovane, piena di vigore, una nuova primavera della vita in Europa.

Ad ogni modo, la sola forma duratura del comunismo è quella nella quale, attraverso lo sviluppo di una stretta intesa tra le persone, tutti gli sforzi saranno fatti per ampliare la libertà degli individui in tutte le direzioni.

Con queste condizioni, sotto l’influsso di questa idea, la libertà dell’individuo, cresciuta già notevolmente per via del tempo libero che ha saputo conquistarsi, non sarà limitata in alcuna maniera; non più di quanto si potrebbe sentire limitato qualcuno, al giorno d'oggi, in presenza di una distribuzione del gas sotto il controllo municipale, della consegna di cibi a domicilio da parte di grandi distributori, dell'esistenza dei moderni alberghi, o del fatto che, durante una giornata lavorativa, ci impegniamo a operare accanto a migliaia di altre persone attive come noi.

Con l’anarchia come fine e come mezzo, il comunismo diventa possibile, Senza l’anarchia, il comunismo diventerebbe una schiavitù e non potrebbe esistere.

 


Note

[1] Paul Brousse (1844-1912) esponente della corrente socialista dei “possibilisti” che vedevano la realizzazione del socialismo come un cambiamento progressivo e graduale del sistema economico e istituzionale.

[2] All'inizio del 1832, Robert Owen, assieme ad altri, tentò di introdurre “buoni del lavoro” a Londra e a Glasgow, organizzando negozi che li accettavano. Ma l'esperimento durò solo fino al 1834.

[3] Voyage en Icarie (1840). Racconto scritto da Etienne Cabet in cui si descrive la formazione di una comunità gestita su basi comuniste.

[4] Si fa riferimento alla Comune di Parigi (1871) e ai sommovimenti che portarono alla introduzione in Spagna di un regime democratico.

[5] Cesare Lombroso (1835-1909) medico e criminologo le cui teorie sul carattere ereditario delle tendenze criminali suscitarono parecchio interesse ai suoi tempi e notevoli critiche in epoca successiva.

 


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