Pëtr Kropotkin

La concezione anarchica

(1905)

 


 

Nota

Questo testo è stato scritto da Kropotkin come articolo per l'undicesima edizione della Encyclopaedia Britannica. In esso troviamo una sintesi della concezione anarchica esposta da uno dei suoi maggiori pensatori e sostenitori.

Fonte: Pëtr Kropotkin, Anarchism, in Roger N. Baldwin, ed., Kropotkin's Revolutionary Pamphlets, Dover Publications, New York, 1970.

 


 

Anarchia (dal Greco αν, e αρχη, contrario al dominio) è il nome dato ad un principio o teoria di vita e di condotta nel cui ambito si concepisce una società senza stato. In tale società l’armonia tra i membri si consegue non attraverso la sottomissione ad un decreto o l’obbedienza ad un potere superiore ma con liberi accordi conclusi tra i vari gruppi, territoriali e professionali, che si formano liberamente, per finalità di produzione e di consumo, come pure per la soddisfazione di una varietà infinita di bisogni ed aspirazioni di un essere civile.

In una società sviluppata su queste linee, le associazioni volontarie, che già iniziano a coprire tutti i campi dell’attività umana, si estenderebbero ancora di più fino a sostituire lo stato in tutte le sue funzioni. Esse rappresenterebbero una fitta rete composta da una varietà infinita di gruppi e federazioni di ogni tipo e grado, locali, regionali, nazionali e internazionali, temporanee o più o meno permanenti, per ogni possibile scopo: produzione, consumo e scambio, comunicazione, sanità, educazione, reciproca protezione, difesa del territorio, e via dicendo; e inoltre, per il soddisfacimento di un numero crescente di bisogni scientifici, artistici, letterari e di socialità.

Inoltre, tale società non costituirebbe nulla di immutabile. Al contrario – come si vede nel complesso della vita organica – l’armonia sarebbe il prodotto di un equilibrio, sempre in fase di aggiustamento e perfezionamento, tra la moltitudine di forze e tendenze; e questi aggiustamenti sarebbero più facili da conseguire in quanto nessuna delle forze in gioco godrebbe di una protezione speciale da parte dello stato.

Se, come si sostiene, la società fosse organizzata sulla base di questi principi, l’essere umano non sarebbe limitato nel libero esercizio dei suoi poteri concernenti l'attività produttiva da un monopolio capitalista, perpetuato dallo stato; né sarebbe limitato nell’esercizio della sua volontà dalla paura di punizioni, o dall’obbedienza a persone o entità metafisiche, le quali entrambe portano a scoraggiare l’iniziativa e ad asservire l’intelletto. L’essere umano sarebbe allora guidato nelle sue azioni dalla sua comprensione della realtà, che necessariamente genererebbe in lui l’impressione di una dinamica fatta di libere azioni e reazioni tra il suo essere e le concezioni etiche relative al suo ambiente. L’individuo sarebbe allora in grado di conseguire il pieno sviluppo di tutte le sue facoltà, intellettuali, artistiche e morali, senza essere ostacolato da un agire estenuante a vantaggio del monopolista, o dal servilismo e torpore della mente di un gran numero di persone. Egli sarebbe capace di raggiungere la piena individualizzazione, cosa che non è possibile né sotto il sistema corrente di individualismo, né sotto un qualche sistema di socialismo di stato nel cosiddetto Volkstaat (stato popolare).

Gli autori anarchici, inoltre, considerano la loro concezione non una utopia, costruita su degli a priori, dopo che alcuni desiderata sono stati assunti come postulati. Essa deriva invece da una analisi delle tendenze che sono già operative, e questo sebbene il socialismo di stato possa attualmente riscuotere un certo favore presso i riformatori. Il progresso delle tecniche moderne, che semplifica in modo meraviglioso la produzione di tutto ciò che è necessario per vivere; il crescente spirito di indipendenza, e la rapida diffusione della libera iniziativa e della libera conoscenza in tutti i rami di attività – inclusi quelli che erano considerati un tempo la sfera di intervento esclusivo della chiesa e dello stato – tutto ciò sta rafforzando costantemente la tendenza al superamento dello stato.

Per quanto riguarda le loro concezioni economiche, gli anarchici, in comune con tutti i socialisti di cui essi costituiscono l’ala più avanzata, sostengono che il sistema attualmente prevalente di proprietà privata della terra, e la produzione capitalistica effettuata unicamente alla ricerca del profitto, rappresentano un monopolio che cozza contro i principi di giustizia e contro il dettato dell’utilità. Essi costituiscono l’ostacolo principale che impedisce che le moderne tecniche di produzione siano introdotte per il beneficio di tutti, così da dar vita ad un generale benessere. Gli anarchici considerano il sistema salariale e il modo di produzione capitalistico come un impedimento al progresso. Ma sottolineano anche il fatto che lo stato era, e continua ad essere, lo strumento principale che consente a pochi di monopolizzare la proprietà della terra, e ai capitalisti di appropriarsi di una parte sproporzionata del sovrappiù prodotto durante l’anno. Di conseguenza, mentre si combatte l’attuale monopolio della terra, e con esso il capitalismo, gli anarchici lottano con lo stesso vigore contro lo stato in quanto massimo sostenitore di tale sistema. Non questa o quella forma di stato, ma lo stato in sé stesso, che sia una monarchia o una repubblica retta dal sistema referendario di democrazia diretta.

Lo Stato in quanto organizzazione, avendo rappresentato, nell’antichità e nei tempi moderni, (l’Impero Macedone, l’Impero Romano, gli Stati dell’Europa moderna sorti sulle rovine dei comuni autonomi) lo strumento per costituire dei monopoli a vantaggio delle minoranze dominanti, non può essere impiegato come il mezzo per la distruzione di tali monopoli. Gli anarchici considerano perciò che il trasferire allo stato tutte le risorse della vita economica, la terra, le miniere, le ferrovie, le banche, le assicurazioni, e via discorrendo, come pure la gestione di tutti i rami dell’industria in aggiunta a tutte quelle funzioni che si sono già concentrate nelle sue mani (istruzione, regolamentazione dei culti, difesa del territorio, ecc.) porterebbe alla creazione di un nuovo strumento di tirannia. Il capitalismo di Stato accrescerebbe soltanto i poteri della burocrazia e del capitalismo. Il vero progresso consiste in una decentralizzazione continua sia territoriale che funzionale, nello sviluppo dello spirito di iniziativa locale e personale, e di libere federazioni, partendo da entità semplici fino a raggiungere formazioni più complesse, al posto dell’attuale piramide gerarchica che parte dal centro per arrivare fino alla periferia.

In comune con molti socialisti, gli anarchici riconoscono che, come avviene per ogni evoluzione in natura, il lento sviluppo della società è accompagnato, di tanto in tanto, da periodi di evoluzione accelerata che sono chiamati rivoluzioni; ed essi pensano che l’era delle rivoluzioni non si sia ancora conclusa. Periodi di rapide trasformazioni seguiranno periodi di lenta evoluzione, e questi periodi occorre saperli utilizzare non per ampliare i poteri dello stato, ma per ridurli attraverso l’organizzazione, in ogni località o comune, di gruppi, sorti dal basso, di produttori e consumatori, come pure di federazioni regionali ed eventualmente anche internazionali, composte da tali gruppi.

In virtù dei principi fin qui esposti, gli anarchici si rifiutano di prendere parte all’attuale organizzazione statale e di sostenerla apportandovi nuove energie. Essi non cercano di formare partiti politici in Parlamento, e invitano gli operai a fare lo stesso. Conseguentemente, a partire dalla fondazione dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori nel 1864-1866, essi hanno cercato di promuovere le loro idee direttamente tra le organizzazioni di lavoratori e di indurre queste associazioni a impegnarsi in una lotta diretta contro il capitale, senza riporre alcuna fede nel parlamento e nelle sue leggi.

 

Lo sviluppo storico dell’anarchia

La concezione di una società anarchica qui abbozzata, e la tendenza, che rappresenta la sua espressione dinamica, sono realtà sempre esistite presso gli esseri umani, in opposizione alla concezione e alla tendenza di una gerarchia governativa. Ora l’una ora l’altra realtà hanno preso il sopravvento in periodi diversi nel corso della storia. Alla prima tendenza dobbiamo l’evoluzione, effettuata dalle masse stesse, di quelle istituzioni, il clan, la comunità di villaggio, le associazioni di arti e mestieri, le città libere del Medioevo, attraverso le quali le masse hanno fatto resistenza contro le invasioni dei conquistatori e delle minoranze avide di potere. La stessa tendenza si è fatta valere con notevole energia nei grandi movimenti religiosi del Medioevo, soprattutto in quelli della riforma e dei suoi predecessori. Al tempo stesso si è chiaramente espressa negli scritti di alcuni pensatori, a partire dai tempi di Lao-Tze, sebbene, dato il suo carattere non-scolastico e la sua origine popolare, abbia avuto, come era prevedibile, una accoglienza minore presso le classi colte che non la tendenza opposta.

Come è stato sottolineato dal Prof. Adler nella sua Geschichte des Sozialismus und Kommunismus (Storia del Socialismo e del Comunismo), Aristippus (nato intorno al 430 avanti Cristo), uno dei fondatori della scuola Cirenaica, già ai suoi tempi insegnava che il saggio non deve cedere allo stato la sua libertà e, rispondendo ad una domanda postagli da Socrate, affermava di non desiderare di appartenere né alla classe che governa né a quella che è governata. Ad ogni modo, tale atteggiamento sembra essere stato dettato semplicemente da un atteggiamento epicureo per quanto riguarda la vita delle masse.

L’esponente migliore della filosofia anarchica nell’antica Grecia è stato Zeno (342-267 o 270 avanti Cristo), nato a Creta, e iniziatore della filosofia Stoica, che ha sviluppato la sua concezione di una comunità libera senza governo, in contrasto con l’utopia statale di Platone. Egli ha rifiutato l’onnipotenza dello Stato, il suo intervenire e irreggimentare, e ha proclamato la supremazia della legge morale dell’individuo, facendo notare già a quei tempi che, mentre l’istinto necessario di conservazione porta l’essere umano a pensare a sé, la natura ha fornito un correttivo dotando l’individuo di un altro istinto – quello della sociabilità. Le persone, una volta divenute abbastanza ragionevoli da seguire le proprie inclinazioni naturali, formeranno una federazione al di là delle frontiere e costituiranno un insieme cosmopolita. Non avranno bisogno né di corti di giustizia né di polizia, non avranno templi né luoghi di culto, e non utilizzeranno il denaro in quanto gli scambi saranno sotto forma di liberi doni. Sfortunatamente, gli scritti di Zeno sono andati distrutti e le sue idee ci sono note solo attraverso citazioni frammentarie. Tuttavia, il fatto che le sue formulazioni siano simili a taluni testi correnti, mostra quanto profonda sia la tendenza della natura umana di cui egli è stato l'espressione. 

Nell’epoca medioevale troviamo le stesse idee sullo stato espresse dall’illustre vescovo di Alba, Marco Girolamo Vida, nel suo primo dialogo De dignitate reipublicae (Ferd. Cavalli, in Mem. dell'Istituto Veneto, xiii.; Dr E. Nys, Researches in the History of Economics). Ma è soprattutto in parecchi movimenti dei primi Cristiani, a partire dal nono secolo in Armenia, e nelle predicazioni dei primi Hussiti, in particolare Chojecki, e dei primi Anabattisti, in special modo Hans Denk (cf. Keller, Ein Apostel der Wiedertäufer) che troviamo le stesse idee espresse con vigore – con particolare accento posto sull’aspetto morale.

Rabelais e Fénelon nelle loro utopie hanno espresso idee simili, che erano correnti anche nel diciottesimo secolo presso gli Enciclopedisti Francesi, come si può ricavare da alcune frasi che si trovano negli scritti di Rousseau, nella Prefazione di Diderot al Viaggio di Bougainville, e via dicendo. Tuttavia, con ogni probabilità, tali concezioni non potevano essere diffuse a causa della rigida censura imposta dalla Chiesa cattolica.

Queste idee sono state espresse in seguito durante la grande Rivoluzione Francese. Mentre i Giacobini fecero di tutto per centralizzare il potere nelle mani del governo, emerge adesso, da documenti recentemente pubblicati, che le masse popolari, nei loro comuni e sezioni municipali, effettuarono un lavoro costruttivo. Esse si appropriarono del diritto di eleggere i giudici, dell’organizzazione dell’approvvigionamento di vettovaglie e materiali per l’esercito, come pure, per le città di grandi dimensioni, si occuparono dell’impiego dei disoccupati, della gestione dell’assistenza, e di altro ancora. Cercarono persino di istituire un rapporto diretto tra tutti i 36.000 comuni di cui è composta la Francia attraverso l’intermediazione di un corpo speciale, al di fuori dell’Assemblea Nazionale (si veda Sigismund Lacroix, Actes de la commune de Paris).

È stato Godwin, nella sua Enquiry concerning Political Justice (2 volumi, 1793) che per primo ha formulato la concezione politica ed economica dell’anarchia, anche se non ha dato tale nome alle idee sviluppate in quella sua notevole opera. Le leggi, egli scrisse, non sono il prodotto della saggezza dei nostri antenati: esse sono il risultato delle loro passioni, delle loro paure, delle loro gelosie e ambizioni. Il rimedio da esse offerto è peggiore dei mali che pretendono di curare. Se e solo se tutte le leggi e tutti i tribunali fossero aboliti, e le decisioni nelle dispute fossero lasciate a persone ragionevoli scelte a tale scopo, una vera giustizia prenderebbe piede gradualmente. Per quanto riguarda lo stato, Godwin ne ha apertamente chiesto l’abolizione. Una società, egli ha scritto, può benissimo esistere senza un governo: le comunità dovrebbero allora essere piccole e del tutto autonome. Con riferimento alla proprietà, Godwin affermò che i diritti di ognuno a godere di “ogni sostanza capace di contribuire al benessere di un essere umano” dovrebbero essere regolati soltanto dalla giustizia: il bene in questione deve andare “a colui che ne ha più bisogno.” Egli era quindi a favore del comunismo. Tuttavia, non se la sentì di mantenere tale opinione. In seguito, Godwin riscrisse il capitolo sulla proprietà e nella seconda edizione del suo testo (8 volumi, 1796) attenuò le sue idee comuniste.

Proudhon è stato il primo a utilizzare nel 1840 (Qu'est-ce que la propriété? primo saggio) il termine anarchia, facendo riferimento ad una società senza stato. Il nome di “anarchici” è stato comunemente assegnato dai Girondini, durante la Rivoluzione Francese, a quei rivoluzionari che non ritenevano che gli obiettivi della Rivoluzione fossero stati realizzati con la fine della monarchia, e che volevano che una serie di misure di ordine economico fossero prese (l’abolizione dei diritti feudali senza indennizzo, la restituzione alle comunità di villaggio delle terre comunali recintate a partire dal 1699, la limitazione delle proprietà terriere ad un massimo di 120 acri, una tassa progressiva sul reddito, l’organizzazione nazionale degli scambi sulla base di un giusto valore, misure tutte che hanno ricevuto una prima realizzazione pratica, e altri provvedimenti ancora).

Proudhon era favorevole ad una società senza governanti, e ha utilizzato il termine anarchia per descriverla. Egli rifiutava, come ben si sa, tutti gli schemi di comunismo, sulla cui base l’umanità intera sarebbe stata irreggimentata in strutture o caserme comuniste, come pure tutti gli schemi di socialismo di stato o di assistenza statale che erano sostenuti da Louis Blanc e dai collettivisti. Quando egli ha proclamato nel suo primo saggio sulla proprietà che “La Proprietà è un Furto” egli faceva riferimento solo alla proprietà concepita attualmente, sulla base della giurisprudenza romana, caratterizzata dal “diritto di uso e di abuso”; invece, per quanto riguarda i diritti di proprietà intesi nel senso circoscritto di possesso, egli vi vedeva la migliore difesa contro le intromissioni statali. Al tempo stesso, non voleva espropriare con la forza gli attuali proprietari della terra, delle abitazioni, delle miniere, delle fabbriche, eccetera.  Preferiva conseguire lo stesso scopo facendo sì che il capitale non potesse guadagnare un interesse; e questo si proponeva di conseguirlo attraverso la creazione di una banca nazionale che basasse il suo funzionamento sulla fiducia reciproca di tutti coloro che erano impiegati nella produzione, i quali si sarebbero messi d’accordo per scambiare tra di loro i beni prodotti secondo il valore di costo, per mezzo di assegni il cui ammontare indicava le ore di lavoro richieste per produrre ogni specifico bene. Con un tale sistema, che Proudhon ha descritto con il termine “Mutualismo”, tutti gli scambi di servizi sarebbero stati strettamente equivalenti. Inoltre, ad una tale banca sarebbe stato concesso di prestare denaro senza interesse, chiedendo solo l’1%, o anche meno, per coprire i costi di amministrazione. In tal modo, essendo ognuno posto nella condizione di prendere a prestito il denaro necessario, ad esempio, per comperare una casa, nessuno sarebbe stato più disposto a pagare una rendita annuale per l’uso dell'abitazione. Così, senza un esproprio violento, una “liquidazione sociale” generale sarebbe stata resa possibile. Lo stesso procedimento si sarebbe applicato nel caso di miniere, ferrovie, fabbriche e via dicendo.

In una società di questo tipo lo stato diventerebbe inutile. Le relazioni più importanti tra le persone si baserebbero sul libero accordo e sarebbero regolate da semplici strumenti contabili. Le dispute sarebbero risolte attraverso arbitrati. Una critica penetrante dello stato e di tutte le possibili forme di governo centrale, e una profonda comprensione di tutti i problemi economici, queste sono state le ben note caratteristiche dell’opera di Proudhon.

È degno di nota che il mutualismo francese ha avuto in Inghilterra un precursore in William Thompson che fu un mutualista prima di diventare un comunista, e negli aderenti al suo pensiero, John Gray (A Lecture on Human Happiness, 1825; The Social System, 1831) e J. F. Bray (Labour's Wrongs and Labour's Remedy, 1839). Il mutualismo ha avuto anche un precursore in America. Josiah Warren, nato nel 1798 (vedi W. Bailie, Josiah Warren, the First American Anarchist, Boston, 1900), era un membro della colonia New Harmony fondata da Robert Owen. Egli riteneva che il fallimento di quel progetto fosse dovuto principalmente alla soppressione dell’individualità e alla mancanza di iniziativa e responsabilità personale. Egli affermava che questi difetti erano intrinsechi ad ogni schema basato sull’autorità e sulla comunanza dei beni. Sosteneva quindi la necessità di una piena libertà individuale. Nel 1827 aprì, a Cincinnati, un piccolo negozio che fu il primo “Equity Store” (Magazzino del Commercio Equo) e che le persone chiamarono “Time Store” perché si basava sullo scambio di ogni sorta di prodotti in rapporto al tempo impiegato per produrli. “Il costo come misura del prezzo” e, di conseguenza, “no interesse” era il motto del suo negozio e, successivamente, del suo “Equity Village” fondato vicino New York e che esisteva ancora nel 1865. Anche la “House of Equity” di Mr. Keith, fondata a Boston nel 1855, è una iniziativa degna di attenzione.

Mentre le idee di Proudhon sull’economia, e soprattutto quelle riguardo al mutualismo bancario, hanno trovato sostenitori e persino una applicazione pratica negli Stati Uniti, la sua concezione sociale anarchica ha avuto scarsa eco in Francia dove hanno dominato il socialismo cristiano di Lamennais e quello dei Fourieristi, oltre al socialismo statale di Louis Blanc e a quello dei seguaci di Saint-Simon. Queste idee hanno tuttavia trovato un certo sostegno temporaneo nella sinistra hegeliana in Germania, con Moses Hess nel 1843 e Karl Grün nel 1845, che si dichiararono entrambi a favore dell’anarchia. Oltre a ciò, negli anni 1840, tra i lavoratori svizzeri, Wilhelm Marr espresse la sua opposizione al comunismo autoritario di Wilhelm Weitling.

Per quanto riguarda l’individualismo anarchico, esso trovò anche in Germania la sua espressione compiuta in Max Stirner (Kaspar Schmidt), i cui scritti degni di nota (Der Einzige und sein Eigentum e gli articoli per la Rheinische Zeitung) sono rimasti ignorati fino a quando sono stati portati a conoscenza da John Henry Mackay.

Il professore V. Basch, in una penetrante introduzione al suo interessante libro, L'Individualisme anarchiste: Max Stirner (1904), ha mostrato come lo sviluppo della filosofia tedesca da Kant a Hegel, assieme all’assoluto di Schelling e allo spirito di Hegel, provocarono necessariamente l'affermazione dello stesso assoluto nel campo dei ribelli quando iniziò la rivolta anti-hegeliana. Questo è stato fatto da Stirner che ha propugnato non solo una rivolta completa contro lo stato e contro l’asservimento che il comunismo autoritario vorrebbe imporre a tutti, ma anche la liberazione assoluta dell’individuo da tutti i vincoli sociali e morali, la riabilitazione dell’IO, la supremazia dell’individuo, l’amoralità completa e l’associazione degli egoisti. La conclusione finale di quella sorta di individualismo anarchico è stata indicata dal professor Bash. Si sostiene che lo scopo di ogni civiltà superiore non è quello di permettere a tutti i membri della comunità di svilupparsi in maniera normale, ma di consentire che solo certi individui meglio dotati possano svilupparsi pienamente, anche a costo della felicità e della sopravvivenza della massa dell’umanità. Si tratta quindi di un ritorno verso il più comune individualismo, come sostenuto da minoranze che si pretendono superiori e alle quali l’essere umano deve, in realtà, proprio l’esistenza dello stato e di tutto ciò che questi individualisti combattono. Il loro individualismo arriva al punto da finire in una negazione della loro posizione di partenza, per non dire poi altro della impossibilità per l’individuo di conseguire un vero e pieno sviluppo in presenza della oppressione delle masse da parte di “meravigliose aristocrazie”. L’individuo rimarrebbe un essere parziale. Questo è il motivo per il quale questo indirizzo di pensiero, nonostante un sostegno indubbiamente giusto a favore del completo sviluppo di ogni individualità, trova ascolto solo presso una limitata cerchia di artisti e letterati.

 

L’anarchia nella Associazione Internazionale dei Lavoratori

Un calo generale nella diffusione delle idee di tutte le componenti del socialismo fece seguito, come ben si sa, alla sconfitta della insurrezione dei lavoratori di Parigi nel giugno del 1848 e alla caduta della Repubblica. Tutta la stampa socialista fu ridotta al silenzio durante il periodo della reazione che durò venti anni. Ciò nonostante, persino il pensiero anarchico iniziò a fare qualche progresso, in particolare negli scritti di Anselme Bellegarrigue, Ernest Coeurderoy, e soprattutto di Joseph Déjacque (Les Lazaréennes, L'Humanisphère, una utopia anarco-comunista, recentemente scoperta e ristampata). Il movimento socialista si riprese solo dopo il 1864, quando alcuni lavoratori francesi, tutti mutualisti, incontrandosi a Londra, durante l’Esibizione Universale, con i sostenitori di Robert Owen, fondarono l’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Questa associazione si è sviluppata molto rapidamente e ha adottato una strategia di lotta economica diretta contro il capitalismo, senza mischiarsi nelle agitazioni politico-parlamentari. Tale strategia è stata mantenuta fino al 1871. Tuttavia, dopo la guerra Franco-Tedesca, quando l’Associazione Internazionale è stata messa al bando a seguito dell’insurrezione della Comune, i lavoratori tedeschi che avevano ricevuto il diritto di voto per il parlamento imperiale di nuova istituzione, insistettero per modificare la tattica dell’Internazionale e iniziarono a costruire un partito politico Social-Democratico. Ciò ha ben presto portato ad una divisione all’interno della Associazione Internazionale dei Lavoratori, e le federazioni latine, Spagnola, Italiana, Belga e del Jura Svizzero (la Francia non poteva essere rappresentata), costituirono tra di loro una unione Federale che ruppe interamente con il Consiglio Generale dell’Internazionale dominato da Marx. All’interno di queste federazioni si è sviluppato ora quello che può essere descritto come un pensiero anarchico moderno. Dopo che le qualifiche di “federalisti” e “anti-autoritari” sono state utilizzate per qualche tempo da tali federazioni, l'appellativo di “anarchici”, che i loro avversari hanno con insistenza utilizzato nei loro confronti, è prevalso ed è stato infine adottato.

Bakunin divenne ben presto lo spirito guida di queste federazioni latine per lo sviluppo dei principi dell’anarchia, con una serie di scritti, opuscoli e lettere. Egli voleva l’abolizione totale dello stato che, come risulta dai suoi scritti, è un prodotto della superstizione, appartiene ad una condizione inferiore della civiltà, rappresenta la negazione della libertà e rovina anche quello che fa in nome del benessere generale. Lo stato ha rappresentato un male storicamente necessario, ma anche la sua completa estinzione sarà, prima o poi, ugualmente necessaria. Rifiutando qualsiasi insieme di leggi statali, anche quando esse sono il prodotto del suffragio universale, Bakunin esigeva per ogni nazione, ogni regione e ogni comune, la piena autonomia, posto che non rappresentasse una minaccia per i suoi vicini, e la piena indipendenza per ogni individuo, aggiungendo che un essere umano diventa veramente libero solo quando e nella misura in cui tutti gli altri individui sono esseri liberi. Le libere federazioni dei comuni darebbero vita a libere nazioni.

Per quanto riguarda la sua concezione economica, Bakunin si definiva, assieme ai suoi compagni federalisti dell’Internazionale, un “anarchico collettivista”, non nel senso in cui si definivano Vidal e Pecqueur negli anni 1840, o i seguaci della moderna Social-Democrazia, ma per esprimere una situazione reale in cui tutti i mezzi necessari alla produzione sono posseduti in comune dai gruppi di lavoro e dalle libere comunità, mentre il modo di compensare il lavoratore, che sia comunista o altro, sarà deciso autonomamente da ogni gruppo. La rivoluzione sociale, che tutti i socialisti, a quei tempi, annunciavano vicina, sarebbe stata il mezzo per realizzare queste nuove condizioni.

La Federazione del Jura, quella spagnola, quella italiana e le sezioni dell’Associazione Internazionale dei lavoratori, come pure i gruppi anarchici francesi, tedeschi e americani, sono stati, nel corso degli anni successivi, i centri principali del pensiero anarchico e della sua diffusione. Tutti costoro si astennero dal partecipare alla politica parlamentare, e si mantennero sempre in stretto contatto con le organizzazioni dei lavoratori. Tuttavia, nella seconda metà degli anni ottanta e all’inizio degli anni novanta del secolo diciannovesimo, quando l’influenza degli anarchici iniziò a farsi sentire negli scioperi, nelle manifestazioni in occasione del Primo Maggio, in cui si promuoveva l’idea di uno sciopero generale per una giornata di otto ore, e nella propaganda anti-militarista nell’esercito, violente persecuzioni si levarono contro di loro, specialmente nei paesi Latini (inclusa la tortura fisica nel Castell de Montjuïc a Barcellona) e negli Stati Uniti (con l’esecuzione di 5 anarchici a Chicago nel 1887). Contro questi processi gli anarchici risposero con atti di violenza che furono seguiti, a sua volta, da ulteriori esecuzioni fisiche ordinate dall’alto, e da nuovi atti di risposta commessi dal basso. Questa dinamica ha generato nel pubblico, in generale, l’impressione che la violenza sia l’aspetto caratterizzante dell’anarchia, una immagine che i sostenitori dell’anarchia rifiutano, sostenendo che, in realtà, la violenza è uno strumento a cui tutte le parti sociali fanno ricorso nella misura in cui la loro attività è oggetto di repressione, e allorché leggi eccezionali ne mettono fuori legge i sostenitori.

L’anarchia ha continuato a svilupparsi, sia nella direzione del Mutualismo di Proudhon, sia, e principalmente, come comunismo anarchico, a cui si è aggiunta una terza componente, l’anarchia cristiana di Lev Tolstoj, e poi una quarta che potrebbe essere qualificata come anarchia nell’ambito della letteratura e a cui hanno dato vita alcuni scrittori moderni di primo piano.

Le idee di Proudhon, soprattutto per quanto riguarda il mutualismo creditizio, in relazione con le idee di Josiah Warren, hanno trovato un largo seguito negli Stati Uniti, formando in un certo qual modo una scuola di cui i maggiori esponenti sono Stephen Pearl Andrews, William Greene, Lysander Spooner (che ha iniziato a scrivere articoli nel 1850, e il suo testo non ultimato, Natural Law, era molto promettente), e parecchi altri i cui nomi sono reperibili nella Bibliographie de l’anarchie di Max Nettlau.

Una posizione prominente tra gli anarchici individualisti in America è stata presa da Benjamin R. Tucker, il cui giornale Liberty ha iniziato le pubblicazioni nel 1881; le sue concezioni sono un misto tra Proudhon e Herbert Spencer. Partendo dall’affermazione che gli anarchici sono, in realtà, degli egoisti, e che ogni gruppo di individui, sia esso una associazione segreta composta da poche persone o il Congresso degli Stati Uniti d’America, si sente in diritto di opprimere tutti una volta che ha il potere di fare ciò, egli sostiene che una simile ed uguale libertà dovrebbe essere la regola. Ne consegue che il “badare ognuno al proprio interesse” è la sola legge morale dell’anarchia. Tucker sviluppa tale idea sostenendo che una applicazione generale e completa di questi principi sarebbe benefica e non comporterebbe alcun pericolo in quanto i poteri di ogni individuo risulterebbero limitati dall’esercizio di pari diritti da parte di tutti gli altri. Egli poi (seguendo Herbert Spencer) ha mostrato la differenza esistente tra l’invadere i diritti di qualcuno e la resistenza a questa invasione; tra il dominare e il difendersi. Il primo caso è sempre condannabile, sia che risulti essere l’invasione da parte di un criminale nei confronti di un individuo, o di una persona potente nei confronti di tutti, o di tutti nei confronti di uno solo. Invece, la resistenza all’invasione è giustificabile e necessaria. Per la loro auto-difesa, sia il cittadino da solo che il gruppo hanno il diritto di utilizzare la violenza, anche la punizione capitale. Tucker, quindi, segue le posizioni di Spencer e, come lui, apre un varco (a giudizio di chi scrive) [Kropotkin era simpatizzante del comunismo anarchico e critico dell'individualismo. N.d.T.] per ricostituire, con il pretesto della “difesa”, tutte le funzioni dello stato. La sua critica della situazione presente è molto dettagliata, e la sua difesa dei diritti degli individui estremamente potente. Per quanto riguarda la sua concezione economica, B. R. Tucker segue Proudhon.

L’anarchia individualista dei Proudhoniani d’America trova, tuttavia, poco seguito tra le masse dei lavoratori. Coloro che professano quella concezione sono soprattutto degli “intellettuali”. Costoro assai presto si rendono conto che l’individualizzazione tenuta in così alta stima non è conseguibile attraverso gli sforzi del singolo e, o abbandonano le fila degli anarchici e sono attratti dall’individualismo liberale degli economisti classici, o si rifugiano in una sorta di amoralità epicurea, o abbracciano una teoria del super-uomo, simile a quella di Stirner e Nietzsche. La stragrande maggioranza dei lavoratori anarchici preferisce le idee del comunismo anarchico che si sono evolute gradualmente a partire dal collettivismo anarchico dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori. A questo ramo appartengono, per citare solo gli esponenti più conosciuti dell’anarchia, Elisée Reclus, Jean Grave, Sébastien Faure, Emile Pouget in Francia; Errico Malatesta e Emilio Covelli in Italia; Ricardo Mella, Anselmo Lorenzo, e gli autori per lo più sconosciuti di molti scritti eccellenti in Spagna; John Most tra i tedeschi; August Spies, Albert Parsons e i loro seguaci negli Stati Uniti, e così via; mentre Domela Nieuwenhuis occupa una posizione intermedia in Olanda. La maggior parte degli scritti anarchici che sono stati pubblicati a partire dal 1880 appartengono anch’essi a questa visione, mentre un certo numero di anarchici comunisti hanno aderito al cosiddetto movimento sindacalista. Con questo nome si designa in Francia il movimento non-politico dei lavoratori impegnato in una lotta diretta contro il capitalismo e che, recentemente, è divenuto molto importante in Europa.

In quanto aderente dell’anarco-comunismo, l’autore del presente scritto si è impegnato durante parecchi anni a sviluppare le seguenti idee: mostrare l’intima e logica connessione che esiste tra la moderna filosofia delle scienze naturali e l’anarchia; mettere l’anarchia su una base scientifica attraverso lo studio delle tendenze che sono attualmente evidenti nella società e che possono indicare la sua ulteriore evoluzione; e porre le basi di una etica anarchica. Per quanto riguarda la sostanza stessa dell’anarchia, lo scopo di Kropotkin è stato quello di mostrare che il comunismo – almeno parzialmente – ha più probabilità di essere realizzato del collettivismo, soprattutto nelle comunità che prendono l’iniziativa in questa direzione, e che il comunismo, libero o anarchico, è la sola forma di comunismo che ha la possibilità di essere accettata nelle società civilizzate. Il comunismo e l’anarchia sono perciò i due termini di una evoluzione che si completano l’uno con l’altro, l’uno rendendo l’altro possibile e accettabile. L’autore ha inoltre cercato di indicare come, durante un periodo rivoluzionario, una grande città – qualora i suoi abitanti ne abbiano accettato l’idea – potrebbe organizzarsi sulla base del comunismo libero. La città farebbe in modo che ogni abitante disponesse di una abitazione, di cibo e indumenti in quantità corrispondente a ciò di cui è dotata attualmente solo la classe media, e questo in cambio di mezza giornata o 5 ore di lavoro; e come tutte quelle cose considerate un lusso potrebbero essere ottenute da tutti se una persona si attivasse, durante il resto della giornata, in ogni sorta di libere associazioni, perseguendo ogni varietà di possibili scopi – educativi, letterari, scientifici, artistici, sportivi, e via dicendo. Al fine di mostrare la veridicità della prima di queste affermazioni, l’autore ha analizzato le possibilità offerte da una unione del lavoro manuale nell’agricoltura con quello nell’industria, entrambi associati ad attività intellettuali. E per evidenziare i principali fattori dell’evoluzione umana, egli ha analizzato la parte svolta nella storia dalle agenzie popolari di mutuo appoggio e il ruolo storico tenuto dallo stato.

Pur senza definirsi anarchico, Lev Tolstoj, assieme ai suoi predecessori nei movimenti popolari religiosi del quindicesimo e sedicesimo secolo, come Chojecki [Petr Chelčický], [Hans] Denk, e molti altri, ha preso posizione da anarchico nei confronti dello stato e dei diritti di proprietà, arrivando alle sue conclusioni mosso dallo spirito generale che pervade l’insegnamento di Cristo e dai dettami necessari della ragione. Con tutta la forza del suo talento egli ha espresso (specialmente nel testo Il Regno di Dio è in Noi) una critica profonda della chiesa, dello stato e delle leggi, soprattutto di quelle attuali sulla proprietà. Tolstoj ha descritto lo stato come il dominio dei più malevoli, sostenuti dalla forza bruta. I banditi, egli ha detto, sono meno pericolosi di un governo ben organizzato. Tolstoj ha effettuato una critica dettagliata dei pregiudizi attuali riguardo ai presunti benefici conferiti agli esseri umani dalla chiesa, dallo stato e dalla ripartizione esistente della proprietà; sulla base degli insegnamenti di Cristo ha ricavato la regola della non resistenza e della condanna assoluta di tutte le guerre. Le sue argomentazioni religiose sono, ad ogni modo, così armoniosamente unite ad una osservazione spassionata dei mali presenti, che le parti di impronta anarchica della sua opera costituiscono un richiamo anche per il lettore non religioso.

Sarebbe impossibile descrivere qui, attraverso un breve abbozzo, la penetrazione, da una parte, delle idee anarchiche nella letteratura moderna, e, dall’altra, dell’influenza che le idee libertarie dei migliori scrittori del giorno d’oggi hanno esercitato sullo sviluppo dell’anarchia. Bisognerebbe consultare i dieci grandi volumi del Supplément Littéraire al giornale La Révolte e poi i Temps Nouveaux, che contengono le riproduzioni dei lavori di centinaia di autori moderni che esprimono idee anarchiche, per realizzare quanto l’idea anarchica sia collegata a tutti i movimenti di idee dei nostri tempi. I testi di J. S. Mill Liberty, Herbert Spencer, Individual versus the State, Marc Guyau, Morality without Obligation or Sanction, e Alfred Fouillée, La morale, l'art et la religion, le opere di Multatuli (Eduard Douwes Dekker), Richard Wagner, Art and Revolution, gli scritti di Nietzsche, Emerson, W. Lloyd Garrison, Thoreau, Alexander Herzen, Edward Carpenter e via discorrendo; e, nel campo della letteratura, i drammi di Ibsen, la poesia di Walt Whitman, Guerra e Pace di Tolstoj, Paris e Le Travail di Zola, gli ultimi lavori di Dimitry Merezhkovsky, e una infinità di opere di scrittori meno noti, sono piene di idee che mostrano quanto il pensiero anarchico sia strettamente congiunto con tutte le concezioni che si indirizzano, nell’ambito del pensiero moderno, nella stessa direzione di una liberazione dell’essere umano dalle catene statali come pure da quelle del capitalismo.

 


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