Emma Goldman

Il posto dell’individuo nella società

(1940)

 



Nota

Emma Goldman leva alta la sua voce celebrando l'individuo come l'iniziatore e l'autore di ogni impresa e invenzione esistente sulla faccia della terra. Lo stato e la società sono astrazioni a cui i governanti vogliono sacrificare l'individuo. Ma, nonostante tutti gli ostacoli: “La ricerca della libertà da ogni costrizione è eterna. Essa deve continuare e continuerà, per sempre.”

Fonte: Emma Goldman, The Place of the Individual in Society, Chicago, 1940.

 


 

Le menti delle persone sono in uno stato confusionale perché le fondamenta stesse della nostra civiltà sembrano vacillare. Molti non hanno più fiducia nelle istituzioni esistenti, e i più intelligenti si rendono conto che il capitalismo industriale viene meno agli scopi che si era prefisso di raggiungere.

Il mondo cerca una via d’uscita. Il parlamentarismo e la democrazia sono fenomeni in declino. Si cerca la salvezza nel Fascismo e in altre forme di governo «forte».

La lotta tra opposte idee che si sta conducendo a livello mondiale riguarda problemi sociali che richiedono urgentemente una soluzione. Il benessere dell’individuo e la sorte dell’umana società dipendono da una corretta risposta a quei problemi. La crisi, la disoccupazione, la guerra, il disarmo, le relazioni internazionali e altro ancora, sono tra quei problemi.

Lo Stato, il governo con le sue funzioni e i suoi poteri, è diventato adesso il tema di interesse vitale di ogni essere umano pensante. Gli sviluppi politici in tutti i paesi civilizzati hanno posto all’attenzione delle persone taluni interrogativi. Dobbiamo avere un governo forte? La democrazia e il governo parlamentare sono da preferire, oppure il Fascismo o un qualche tipo di dittatura, monarchica, borghese o proletaria, rappresentano la soluzione agli assilli e alle difficoltà che affliggono la società attuale?

In altre parole, dobbiamo curare i mali della democrazia con dosi maggiori di democrazia, o dobbiamo tagliare il nodo Gordiano del governo popolare con la spada della dittatura?

Io sono contraria sia all’una che all’altra ipotesi. Sono contro la dittatura e il Fascismo così come sono contro il regime parlamentare e la cosiddetta democrazia politica.

Il Nazismo è stato giustamente qualificato come un attacco alla civiltà. Questa caratterizzazione si applica, con pari forza, a qualsiasi forma di dittatura; in effetti, si applica a qualsiasi tipo di autorità oppressiva e coercitiva. Infatti, che cosa è la civiltà nel senso vero del termine? Qualsiasi progresso è stato essenzialmente un ampliamento delle libertà dell’individuo con una corrispondente diminuzione del potere esercitato su di lui da forze esterne. Questo vale sia nell’ambito della sfera materiale che in quello della politica e dell’economia. Nel mondo fisico l’essere umano ha progredito nella misura in cui ha sottomesso le forze della natura e le ha rese utili a sé. L’uomo primitivo ha compiuto un passo sulla strada del progresso quando ha prodotto il fuoco e ha vinto il buio, e quando ha padroneggiato il vento o incanalato l’acqua.

Che ruolo ha svolto il potere o il governo nello sforzo umano di miglioramento, nelle invenzioni e nelle scoperte? Praticamente nessuno, o, almeno, non ha dato alcun contributo utile. È sempre stato l’individuo che ha realizzato qualsiasi prodigio in queste sfere di attività, e di solito nonostante i divieti, le persecuzioni, le interferenze da parte dell’autorità, umana e divina.

Parimente, nella sfera politica, la strada del progresso consiste nell’allontanarsi sempre più dal potere del capo tribù o del clan, del principe e del re, del governo, dello Stato.

Dal punto di vista economico il progresso ha significato un maggiore benessere per un sempre più ampio numero di persone. Dal punto di vista culturale ha costituito il prodotto finale di ogni altra conquista - maggiore autonomia, politica, intellettuale, psichica.

Visto da questa prospettiva, il problema del rapporto tra gli esseri umani e lo Stato assume un senso del tutto diverso. Non si tratta di vedere se la dittatura sia preferibile alla democrazia, se il Fascismo Italiano sia superiore all’Hitlerismo. Una domanda di più ampio raggio e di maggiore portata si pone: è il governo politico, è lo Stato, un fattore benefico per il genere umano, e in che modo esso influisce sull'individuo nello schema sociale delle cose?

L’individuo è la vera realtà esistenziale. Un universo in sé stesso, l’individuo non esiste per lo Stato né per quella astrazione chiamata «società» o «nazione», che è solo un insieme di individui. L’essere umano, l’individuo, è sempre stato e necessariamente è la sola fonte e la sola forza che anima l’evoluzione e il progresso. Il processo civilizzatore è consistito in una lotta continua dell’individuo o di un gruppo di individui contro lo Stato e persino contro la «Società», e cioè contro la maggioranza soggiogata e ipnotizzata dallo Stato e dal culto dello Stato. Le più grandi battaglie dell’essere umano sono state intraprese contro gli ostacoli posti da altri esseri e contro i blocchi artificiali imposti alle singole persone al fine di paralizzarne la crescita e lo sviluppo. Il pensiero umano è stato sempre falsato dagli usi e costumi, e da una educazione erronea e fuorviante, nell’interesse di coloro che godono del potere e dei privilegi. In altre parole, dallo Stato e dalle classi dominanti. Questo conflitto, costante e incessante, ha costituito la storia dell’umanità.

L’individualità può essere descritta come la presa di coscienza dell’individuo, di chi è e di come vive. Essa è intrinseca ad ogni essere umano ed è una componente della crescita. Lo Stato e le istituzioni sociali vanno e vengono, ma l’individualità rimane e persiste. La vera essenza dell’individualità è l’espressione della personalità; il senso di dignità e di indipendenza rappresentano il terreno su cui essa fiorisce. L’individualità non è quella cosa impersonale e meccanicistica che lo Stato tratta come un «individuo». L’individuo non è semplicemente il risultato dei caratteri ereditari e dell’ambiente, della dinamica di causa ed effetto. Egli è questo e anche molto di più e molto altro. L’essere umano vivente non può essere definito; egli è la sorgente di tutto ciò che esiste e di tutti i valori; egli non è una semplice parte di questo o di quello, ma un insieme, un individuo-tutto, che cresce, che cambia e che continua ad essere sempre un tutto.

L’individualità non va confusa con le varie idee e concetti di Individualismo; e ancor meno con quel “rude individualismo” (rugged individualism) [1] che è solo un celato tentativo di schiacciare l'individuo e la sua individualità. Questo cosiddetto Individualismo, che si presenta come laissez-faire nella sfera sociale ed economica, si traduce poi nello sfruttamento di classe delle masse attraverso imbrogli legali, svilimento morale e indottrinamento sistematico allo spirito servile che va sotto il nome di “educazione”. Questo “individualismo” corrotto e perverso rappresenta la camicia di forza dell’individualità. Ha trasformato la vita in una corsa degradante per conseguire dei premi sotto forma di beni materiali, prestigio sociale e dominio sugli altri. La sua massima formula di saggezza è: «che ognuno pensi a sé e tanto peggio per gli altri».

Questo “rude individualismo” ha condotto come risultato, nell’epoca moderna, alle più grandi forme di asservimento, ai più volgari divari di classe, gettando nell'indigenza milioni di persone [2]. Il “rude individualismo” ha significato un “individualismo” totale per i padroni, mentre la gente era inquadrata e confinata in una casta inferiore, al servizio di una ristretta cerchia di “superuomini” interessati solo al loro esclusivo vantaggio. L’America è forse la rappresentante più evidente di questo tipo di individualismo, nel cui nome la tirannia politica e l’oppressione sociale sono difese e sostenute come se fossero delle virtù. Al tempo stesso, ogni aspirazione e ogni tentativo da parte delle persone di conquistarsi la libertà e l’opportunità sociale di vivere a modo proprio, sono denunciati come “non-Americani” e dannosi, nel nome di quello stesso individualismo. 

Vi è stato un tempo quando lo Stato era una entità ignota. In questa condizione naturale l’essere umano conduceva la sua esistenza senza che vi fosse lo Stato o un governo organizzato. Le persone vivevano in piccole comunità; lavoravano la terra e praticavano l’artigianato. L’individuo e, in seguito, la famiglia, rappresentava l’unità della vita sociale, e ognuno era libero e alla pari con il suo vicino. A quei tempi la società umana non era uno Stato ma una associazione volontaria per la protezione e il benessere reciproci. Gli anziani e le persone di maggiore esperienza erano le guide e i consiglieri della gente. Essi davano una mano nella gestione degli affari, non per dirigere e dominare l’individuo.

Il governo politico e lo Stato apparvero in una fase di gran lunga posteriore, emergendo dal desiderio dei più forti di avvantaggiarsi sui più deboli, o di pochi di prevalere sui molti. Lo Stato, ecclesiastico o secolare, serviva per dare una apparenza di legalità e di diritto alle malefatte di alcuni nei confronti di molti. Dare forma giuridica a questi soprusi era necessario per dominare più facilmente la gente, perché nessun governo può esistere senza il consenso delle persone, consenso manifesto, tacito o inteso come implicito. Il costituzionalismo e la democrazia sono le forme moderne di questo presunto consenso. Esso viene inoculato attraverso l’indottrinamento chiamato «educazione», a casa, in chiesa, e in ogni fase della vita delle persone.

Questo consenso consiste nel credere in un potere esterno e nella necessità della sua esistenza. Alla base sta la dottrina che l’essere umano è malevolo, immorale, e del tutto incompetente e ignorante riguardo a ciò che è bene per lui. Su queste convinzioni si fondano tutti i governi e tutte le oppressioni. Dio e lo Stato esistono e sono sostenuti perché si crede in questo dogma.

Eppure, lo Stato non è altro che una etichetta. Una astrazione. Alla pari di altre simili concezioni - la nazione, la razza, il genere umano - non ha una realtà organica. Chiamare lo Stato un organismo rivela una malsana tendenza a trasformare le parole in feticci.

Lo Stato è un termine che si applica all’apparato legislativo e amministrativo attraverso il quale certi affari della gente sono gestiti, in maniera pessima, per dirla in tutta sincerità. Non vi è nulla di sacro, puro o misterioso riguardo a ciò. Lo Stato non ha una coscienza o una missione morale superiore a quella che potrebbe avere una agenzia affaristica che gestisce una miniera o una ferrovia.

Lo Stato non esiste più di quanto possano esistere gli dèi o i diavoli. Essi sono il riflesso e la creazione dell’essere umano che è la sola realtà. Lo Stato non è altro che una proiezione umana, la proiezione della sua opacità, ignoranza, paura.

La vita inizia e finisce con l’essere umano, l’individuo. Senza di lui non vi è razza, umanità, Stato. Neppure la «società» è possibile senza l’essere umano. È l’individuo che vive, respira, soffre. Il suo sviluppo, i suoi progressi, sono il risultato di una lotta continua contro i feticci che egli stesso ha generato e, in particolare, il feticcio «Stato».

In passato l’autorità religiosa modellava la vita politica sull’immagine della Chiesa. L’autorità dello Stato, i «diritti» dei governanti provenivano dall’alto; il potere, come la fede, aveva caratteristiche divine. I filosofi hanno scritto pagine su pagine per certificare la santità dello Stato; alcuni l’hanno persino rivestito con la prerogativa dell’infallibilità e gli hanno assegnato attributi quasi divini. Taluni sono arrivati a considerare lo Stato come un essere «sovrumano», la realtà suprema, l’«assoluto». [3]

Lo spirito di ricerca era condannato come un fatto blasfemo. Il servilismo era lodato come massima virtù. Sulla base di tali precetti e ammaestramenti, alcune cose sono state assunte come auto-evidenti, come verità sacre, a seguito di un martellamento persistente e ripetuto.

Ogni progresso è stato essenzialmente un processo di smascheramento della «divinità» e del «misterioso», di ciò che era ritenuto sacro, delle «verità» eterne. Il progresso ha operato una eliminazione graduale delle idee astratte, e una sostituzione, al suo posto, del reale, del concreto. In breve, i fatti invece delle fantasie, la conoscenza invece dell’ignoranza, la luce invece del buio.

Quella lenta e faticosa liberazione dell’individuo non è stata compiuta con l’aiuto dello Stato. Al contrario, è attraverso un conflitto continuo, una lotta mortale con lo Stato, che sono state guadagnate anche le più piccole porzioni di autonomia e di libertà. L’umanità ha pagato in termini di tempo e di sangue per assicurarsi quel poco che ha strappato da re, zar e governi.

L’essere umano è stato la grande eroica figura di quel lungo Golgota [4]. È sempre stato l’individuo, spesso del tutto solo, altre volte assieme e in cooperazione con altri simili, che ha lottato e sofferto nel corso di una lunga battaglia contro la repressione e l’oppressione, contro i poteri che lo rendono servo e lo degradano.

Ancor più e ancor meglio: è stato l’essere umano, l’individuo, che per primo si è ribellato contro l’ingiustizia e lo svilimento della persona; è stato l’individuo che, per primo, ha concepito l’idea della resistenza nei confronti di condizioni che ne impedivano lo sviluppo. In breve, è stato sempre l’individuo che è l’autore delle idee come pure delle azioni di liberazione.

Si fa qui riferimento non solo alle lotte politiche, ma all’intero spettro della vita e degli sforzi umani, in tutti i tempi e sotto tutte le latitudini. È sempre stato l’individuo, l’essere dotato di un intelletto forte e di una forte volontà di essere libero, che ha preparato la strada a tutti i progressi umani, ad ogni passo verso un mondo più libero e migliore, nelle scienze, nella filosofia, nelle arti, come pure nell’industria. Il suo genio lo ha lanciato verso nuove altezze, concependo l’impossibile, visualizzandone la realizzazione e contagiando altri con il suo entusiasmo per attuarlo e conseguirlo. Con riferimento alla società, l'individuo è sempre stato il profeta, il visionario, l’idealista, colui che ha sognato di un mondo che rassomigliasse ai desideri del suo animo e operasse come un faro sulla strada di realizzazioni sempre più grandi.

Lo Stato, qualsiasi governo, in qualunque forma, carattere o colore - sia esso assoluto o costituzionale, monarchico o repubblicano, fascista, nazista o bolscevico - è per sua propria natura conservatore, statico, intollerante e opposto ai cambiamenti. Qualunque trasformazione esso subisca, è sempre il risultato di pressioni esercitate su di lui, pressioni abbastanza forti da spingere i governanti a sottomettersi pacificamente o, “in altro modo”, vale a dire attraverso una rivoluzione. Inoltre, il conservatorismo, intrinseco al governo, al potere di ogni tipo, non può non diventare inevitabilmente reazionario. E questo per due ragioni: primo, perché è nella natura del governo non solo conservare il potere che ha, ma anche rafforzarlo, ampliarlo e perpetuarlo, a livello nazionale e internazionale. Più si rafforza il potere, più grande è lo Stato e la sua sfera di influenza, meno può accettare che una pari autorità o potere politico esista accanto ad esso. L'atteggiamento mentale del governo esige che la sua influenza e il suo prestigio crescano costantemente, all’interno e all’esterno, e perciò sfrutta qualsiasi opportunità per accrescerli. Questa tendenza è motivata dagli interessi finanziari e commerciali che sostengono il governo e che sono da esso rappresentati e aiutati. La fondamentale ragione d’essere di ogni governo, di fronte alla quale gli storici del passato hanno volontariamente chiuso gli occhi, è diventata adesso fin troppo ovvia perché possa essere ignorata anche dagli studiosi.   

L’altro fattore che spinge i governi a diventare sempre più conservatori e reazionari è la loro insita sfiducia nei confronti dell’individuo e la paura delle individualità. L’attuale schema politico e sociale non può permettersi di tollerare l’individuo e la sua costante ricerca di innovazione. Perciò, come “autodifesa”, lo stato sopprime, perseguita, punisce e addirittura priva l’individuo della sua vita. Per compiere ciò è sostenuto da qualsiasi istituzione favorevole alla preservazione dell’ordine esistente. Lo Stato fa ricorso ad ogni forma di violenza e di pressione, e i suoi sforzi sono sostenuti dalla “indignazione morale” della maggioranza che è contro gli eretici, i dissidenti sociali e i ribelli politici - una maggioranza manipolata per secoli a venerare lo Stato, addestrata alla disciplina e all’obbedienza, e sottomessa dal timore e dalla venerazione dell’autorità, in casa, a scuola, in chiesa e nella stampa.

Il baluardo più forte a difesa del potere è rappresentato dal conformismo. Divergere dalle credenze delle masse è il massimo dei crimini. La sempre più estesa meccanizzazione della vita moderna ha aumentato enormemente il conformismo. Esso è presente dappertutto, nelle abitudini sociali, nei gusti, nel modo di abbigliarsi, nei pensieri e nelle opinioni. Il concentrato maggiore di ottusità è chiamato “opinione pubblica”. Pochi hanno il coraggio di opporsi ad essa. Colui che rifiuta di sottomettersi è immediatamente etichettato come un tipo “strano”, un “diverso”, e bollato come un elemento di disturbo del confortevole ristagno che è la vita moderna.

Forse, ancor più dell’autorità costituita, è proprio il conformismo e l’omologazione che vessa di più l’individuo. La sua propria “unicità”, “separatezza” e “differenziazione” lo rendono un estraneo non solo nel suo luogo di nascita, ma anche tra le mura domestiche. Spesso in misura ancora maggiore rispetto allo straniero che si adatta alle regole stabilite.

Nel vero senso della parola, la propria terra natale, con il suo retroterra di tradizioni, impressioni ricevute in giovane età, reminiscenze e altre cose simili che sono care alla persona, non è sufficiente a far sì che una persona sensibile si senta a casa sua. Una certa atmosfera di “appartenenza”, la consapevolezza di essere un “tutt’uno” con le persone e l’ambiente circostante, sono aspetti più importanti per sentirsi a casa propria. Questo vale nelle relazioni all’interno della propria famiglia, della ristretta sfera a livello locale, come pure in riferimento ad un lungo periodo della propria esistenza e delle proprie attività, che fa sì che uno sia comunemente identificato con un certo paese. L’individuo, la cui visione abbraccia l’intero mondo, spesso si sente sperduto e spaesato, non in sintonia con l’ambiente circostante, e questo proprio nella sua terra natia.

Anteriormente alla Prima Guerra Mondiale, l’individuo poteva almeno fuggire la noia rappresentata dalla nazione e dalla famiglia. Il mondo intero si apriva alle sue voglie e alle sue ricerche [5]. Adesso il mondo è diventato una prigione, e la vita una reclusione continua e solitaria. Questo è vero soprattutto a partire dall’avvento delle dittature di destra e di sinistra.

Friedrich Nietzsche ha definito lo Stato un gelido mostro [6]. Come avrebbe chiamato questa bestia ripugnante sotto le spoglie della dittatura? Il governo non ha mai concesso ampio spazio all’individuo; ma i campioni della nuova ideologia statale gliene concedono ancor meno. «L’individuo è nulla» essi dichiarano, e «la collettività è ciò che conta». Solo la completa capitolazione dell’individuo può soddisfare l’appetito insaziabile delle nuove divinità.

In maniera abbastanza strana, i sostenitori più vociferi di questo nuovo vangelo si trovano tra gli intellettuali inglesi e americani. Proprio ora essi esprimono la loro passione per la «dittatura del proletariato». Soltanto in teoria, di certo. In pratica preferiscono ancora alcune libertà nei propri rispettivi paesi. Essi vanno in Russia per una breve visita o come commessi viaggiatori della “rivoluzione”, ma si sentono più sicuri e più a loro agio nel proprio paese. 

Forse non è la mancanza di coraggio che trattiene questi bravi inglesi e americani nelle loro terre natie piuttosto che nel paese del sol dell’avvenire. Sotto sotto, in maniera inconscia, potrebbe nascondersi la sensazione che l’individualità rimane l’aspetto fondamentale di ogni associazione umana, soppresso e perseguitato ma mai sconfitto e, nel lungo periodo, vittorioso.

Il “genio umano” che è un altro modo di chiamare la personalità e l’individualità, si fa strada attraverso il buio dei dogmi, le mura spesse della tradizione e delle usanze, sfidando tutti i tabù, annullando il potere opprimente, affrontando le ingiurie e la morte, per essere poi, alla fine, salutato come profeta e martire dalle generazioni future. Se non fosse per il “genio umano”, questa qualità intrinseca e persistente dell’individualità, saremmo ancora a vagare nelle foreste primordiali.

Pëtr Kropotkin ha mostrato quali risultati meravigliosi ha conseguito questa forza unica rappresentata dall’individualità umana quando è rafforzata dalla cooperazione con altre individualità. La teoria di Darwin della lotta per la vita, teoria parziale e del tutto inadeguata, ha ricevuto da quel grande scienziato e pensatore anarchico la sua integrazione sotto l’aspetto biologico e sociologico. Nella sua penetrante opera, Mutual Aid (Il Mutuo Appoggio), Kropotkin mostra che nel regno animale, come pure nella società umana, la cooperazione - in contrasto con le lotte e le contese intestine - ha operato per la sopravvivenza e l’evoluzione della specie. Egli ha fatto vedere, con degli esempi presi dalla storia, che solo l’aiuto reciproco e la cooperazione volontaria - non lo Stato onnipotente e distruttore - possono costituire le basi per una esistenza individuale e associativa libera.

Attualmente l’individuo è una pedina dei fanatici della dittatura e dei parimente ossessionati fanatici dell’individualismo duro e puro. La scusa dei primi è che essi offrono un nuovo obiettivo. Gli altri non pretendono nemmeno di presentare qualcosa di nuovo. In realtà, il “rude individualismo” non ha imparato nulla e nulla ha dimenticato. Sotto la sua guida, lo scontro brutale per la sopravvivenza fisica continua imperterrito anche se la necessità della sua presenza è del tutto scomparsa. In realtà, la lotta viene fatta proseguire in maniera manifesta proprio perché non ve ne è affatto bisogno. Non ne è prova la sovrapproduzione? La crisi economica a livello mondiale non è forse una dimostrazione eloquente che la lotta per l’esistenza è fomentata dalla cecità dell’“individualismo rude” anche a rischio della propria distruzione?

Una delle insane caratteristiche di questa lotta è la negazione completa della relazione tra il produttore e quello che egli produce. Il lavoratore medio non ha un punto di contatto personale con l’industria nella quale lavora ed è un estraneo rispetto al processo di produzione di cui rappresenta una componente di tipo meccanico. Come ogni altro ingranaggio della macchina, è sostituibile in ogni momento con altri esseri umani similmente spersonalizzati.

L’intellettuale proletario, sebbene pensi scioccamente di essere un agente libero, non si trova in una situazione migliore. Anche per lui ci sono poche possibilità di scelta o di autonomia nell’ambito della sua particolare attività, come per colui che svolge un lavoro manuale. Considerazioni materiali e il desiderio di un prestigio sociale maggiore sono, di solito, i fattori che fanno abbracciare una attività intellettuale. In aggiunta a ciò, vi è la tendenza a seguire le orme della tradizione familiare, e allora si diventa dottori, avvocati, insegnanti, ingegneri, ecc. Il solco già tracciato richiede meno sforzo e originalità. Ne consegue che quasi tutti sono fuori posto nell’attuale schema delle cose. Le masse tirano avanti, in parte perché i loro sensi sono stati resi ottusi da un lavoro monotono che uccide la creatività, e anche perché devono guadagnarsi da vivere. Questo è vero ancor più se si fa riferimento all’attuale sovrastruttura politica. Non vi è spazio, in questo ingranaggio, per la libera scelta di un pensiero e di una attività autonomi. C’è posto solo per marionette che votano e pagano le tasse.  

Gli interessi dello Stato e quelli dell’individuo differiscono e si contrappongono in maniera fondamentale. Lo Stato e le istituzioni politiche ed economiche che esso sostiene possono esistere solo modellando l’individuo ai fini particolari di tali entità: addestrandolo a rispettare «la legge e l’ordine», insegnandogli l’obbedienza, la sottomissione e la fede, che non va messa in discussione, e istruendolo nella saggezza e giustizia del governo. In particolare, ingiungendogli di essere fedele e di sacrificarsi completamente quando lo Stato glielo ordina, come in caso di guerra. Lo Stato colloca sé stesso e i suoi interessi persino al di sopra delle esigenze della religione e di Dio [7]. Esso punisce scrupoli religiosi o di coscienza, combattendo ogni forma di individualità, perché non c’è individualità senza libertà, e la libertà è la più grave minaccia al suo potere. 

La lotta dell’individuo contro queste tremende avversità è quanto mai difficile - spesso pericolosa per la sua vita e la sua incolumità - in quanto non sono il vero o il falso che fungono da criterio per i suoi oppositori. Non è la validità o utilità del suo pensare o agire che suscita contro di lui la forza dello Stato e della “pubblica opinione”. La persecuzione che subisce l’innovatore o colui che protesta è stata sempre ispirata dalla paura, da parte dell’autorità costituita, che la sua infallibilità venga posta in dubbio e il proprio potere minato alla base. 

La vera liberazione dell’essere umano, a livello individuale e collettivo, consiste nella sua emancipazione dal potere e dalla fede stessa nel potere. Tutta l’evoluzione umana è consistita in una lotta in quella direzione e per quell’obiettivo. Non sono le invenzioni o i congegni meccanici che rappresentano lo sviluppo. La capacità di viaggiare alla velocità di cento miglia all’ora non è segno di persona civilizzata. La vera civiltà si misura attraverso l’individuo, l’unità di ogni forma di vita sociale; si misura attraverso la sua individualità e nella misura in cui la persona è libera di crescere e svilupparsi senza essere impedita da un potere invasivo e coercitivo.

Dal punto di vista sociale, il parametro della civiltà e della cultura è il grado di libertà e di opportunità economiche di cui gode l’individuo; è l’unità e la cooperazione sociale, anche a livello internazionale, di cui egli dispone, al di fuori di decreti o altri ostacoli artificiali imposti da taluni; è l’assenza di caste privilegiate e la presenza di libertà e di dignità umane. In breve, la vera emancipazione dell’individuo consiste nella civiltà e nella cultura.

L’assolutismo politico è stato abolito perché gli esseri umani hanno capito, nel corso del tempo, che il potere assoluto è un male che distrugge. Ma questo vale per qualsiasi potere, che sia il potere basato sul privilegio, sul denaro, sulla religione, sulla politica o sulla cosiddetta democrazia. Per quanto riguarda i suoi effetti sulla individualità, importa poco il carattere specifico della coercizione - che sia nera come il Fascismo, bruna come il Nazismo o pretenziosamente rossa come il Bolscevismo. È il potere in sé stesso che corrompe e degrada sia il padrone che lo schiavo, e non fa differenza che il potere sia esercitato da un autocrate, dal parlamento o dai soviet. Più dannoso del potere di un dittatore è quello di una classe. Il potere più terribile di tutti è la tirannia della maggioranza [8].

Il lungo processo della storia ha insegnato che la divisione e i conflitti significano morte, e che l’unità e la cooperazione fanno progredire la causa dell’essere umano, ne moltiplicano l’energia e ne sviluppano il benessere. Lo spirito del governo ha sempre operato contro l'applicazione alla società di questa lezione vitale, eccetto nei casi in cui tornava utile allo Stato e lo aiutava nei suoi particolari interessi. Questo spirito anti-progresso e anti-sociale, proprio dello Stato e delle caste privilegiate, è responsabile dello scontro feroce tra gli esseri umani. L’individuo e anche gruppi più ampi di individui stanno iniziando a rendersene conto, al di sotto dei mascheramenti operati dall’ordine stabilito delle cose. Individui e gruppi non sono più così accecati, come in passato, dal bagliore e dal luccichio dell’idea di Stato, e dalle “fortune” che arreca il “rude individualismo”. L’essere umano tende verso relazioni umane di più ampio raggio che solo la libertà può offrire. E la libertà, quella vera, non è un semplice pezzo di carta chiamato “costituzione”, “diritti legali” o “legge”. Non è una astrazione che deriva dalla non-realtà nota sotto il nome di «Stato». Non è un che di negativo, come l'essere libero da qualche cosa, perché con tale libertà si può morire di fame. La libertà reale, quella vera, è qualcosa di positivo: è la libertà di fare qualcosa; è la libertà di essere. In sintesi, la libertà di cogliere opportunità presenti e operanti.

Questa sorta di libertà non è un dono: è il diritto naturale dell’essere umano, di ogni essere umano. Non può essere data, non può essere conferita attraverso la legge o per decreto governativo. Il disporre di essa, l’aspirazione ad essa, è parte integrante dell’individuo. Il rifiuto di ogni forma di coercizione ne rappresenta l'espressione istintiva. La ribellione e la rivoluzione sono i tentativi più o meno consapevoli di conseguirla. Queste due manifestazioni, individuali e sociali, sono le espressioni fondamentali dei valori dell’essere umano. Per coltivare questi valori, la comunità deve rendersi conto che la risorsa più grande e più duratura è rappresentata dal singolo e cioè dall’individuo.

Nella religione, come in politica, alcuni parlano di astrazioni e pensano di avere a che fare con realtà concrete. Ma quando si arriva a trattare il reale e il concreto, molte persone sembrano incapaci di rapportarsi ad esso. Questo potrebbe ben derivare dal fatto che la realtà è troppo terra terra, troppo grezza, per entusiasmare l’animo umano, che può essere trascinato solo da fenomeni fuori dell’ordinario. In altre parole, l’Ideale è ciò che accende l’immaginario e gli animi delle persone. Vi è bisogno di un qualche ideale per scuotere l’individuo dall’inerzia e dalla monotonia della sua esistenza e trasformare un servo abietto in una figura eroica. 

A questo riguardo, naturalmente, si presenta l’obiezione del marxista che è diventato più marxista dello stesso Marx. Per costui, l’uomo è una semplice marionetta nelle mani di quella metafisica Potenza chiamata determinismo economico o, più volgarmente, lotta di classe. La volontà dell’essere umano, individuale e collettiva, la sua vita psichica e il suo orientamento mentale non hanno quasi alcun peso per il nostro marxista e non contano nella sua concezione della storia umana.

Nessuno studioso dotato di intelligenza negherà l’importanza del fattore economico nella crescita della società e nello sviluppo dell’umanità. Ma solo un gretto e cocciuto dogmatismo può continuare a restare cieco di fronte al ruolo importante che hanno le idee che sorgono dal pensiero e dalle aspirazioni dell’individuo.

Sarebbe inutile e improduttivo cercare di pesare un fattore e opporlo ad un altro nell’ambito dell’umana esperienza. Nessun fattore singolo, nell'insieme del comportamento individuale o sociale, può essere designato come quello che ha una importanza decisiva. Sappiamo troppo poco, e forse non sapremo mai abbastanza, della psicologia umana per soppesare e misurare i valori relativi di questo o quell'aspetto nel determinare la condotta umana. Costruire simili dogmi dando loro connotazioni sociali è puro settarismo. Eppure, forse, ciò ha la sua funzione perché, proprio il tentativo di imporre questo dogma, ha mostrato l’esistenza della volontà umana e ha smentito i marxisti.

Per fortuna, anche alcuni marxisti si stanno rendendo conto che non tutto è bene nel credo marxiano. Dopo tutto, Marx era un essere umano - fin troppo umano - e quindi niente affatto infallibile. L’applicazione pratica del determinismo economico in Russia sta aiutando a fare piazza pulita nelle menti dei marxisti più intelligenti. Questo lo si può vedere nella modifica dei valori marxiani che sta avvenendo tra i socialisti e anche tra i comunisti in alcuni paesi europei. Essi stanno lentamente prendendo coscienza che la loro teoria ha ignorato l’elemento umano, den Menschen come si legge in un giornale socialista. Per quanto importante sia il fattore economico, esso non è sufficiente da solo. Il rinnovamento dell’umanità richiede l’ispirazione e la spinta energica di un ideale. 

Questo ideale io lo vedo nell’Anarchia. Per essere chiari, non nei travisamenti così popolari dell’Anarchia come sono diffusi dagli adoratori dello Stato e del potere. Per Anarchia intendo la filosofia di un nuovo ordine sociale basato sulla libera espressione dell’individuo e sulla libera associazione di individui autonomi.

Di tutte le teorie sociali solo l’Anarchia proclama fermamente che la società esiste per l’essere umano e non l’essere umano per la società. Il solo legittimo scopo della società consiste nel soddisfare i bisogni e far progredire le aspirazioni dell’individuo. Solo realizzando ciò la società può giustificare la sua esistenza e contribuire al progresso e alla cultura.

I partiti politici e gli uomini che si azzuffano selvaggiamente per il potere esprimeranno il loro disprezzo nei miei confronti, come se io fossi una persona che non è affatto in sintonia con i tempi. Io accetto l’accusa, con serenità. Mi conforta il fatto di sapere che i loro strepiti isterici non possono durare nel tempo. La loro esaltazione non è di lunga durata. 

La voglia di liberazione da qualsiasi dominio e potere esterni, questa voglia che caratterizza l’essere umano non sarà mai acquietata dalle loro stupide perorazioni.

La ricerca della libertà da ogni costrizione è eterna. Essa deve continuare e continuerà, per sempre.

 


 

Note

[1] Rugged Individualism. Una espressione utilizzata spesso dal presidente degli USA Herbert Hoover che intendeva sostenere l'idea che le persone dovessero essere in grado di provvedere a sé stesse senza ricorrere a eccessivi interventi governativi. Questo invito però era formulato in presenza di privilegi per le classi possidenti e di controlli repressivi sui lavoratori.

[2] Emma Goldman fa probabilmente riferimento, in particolare, alla grande crisi economica iniziata con il crollo della Borsa di New York (ottobre 1929) e continuata nel decennio 1930 e che gettò sul lastrico milioni di persone in tutto il mondo.

[3] Per Hegel lo Stato è la realizzazione dell'idea etica, l'espressione della razionalità assoluta, e il massimo dovere dell'individuo è di appartenere allo Stato. (Si veda: Lineamenti della filosofia del diritto, 1820)

[4] Il Golgota è il luogo, poco fuori Gerusalemme, dove Gesù è stato crocifisso. È inteso qui come sinonimo di calvario. 

[5] È solo a seguito della Prima Guerra Mondiale che tutti gli Stati hanno introdotto, su scala generale, documenti (passaporti) necessari per spostarsi da un territorio statale all'altro, e che hanno limitato notevolmente il movimento delle persone. Si veda al riguardo:  John Torpey, The Invention of Passport. Surveillance, Citizenship and the State, Cambridge University Press, Cambridge, 2000.

[6] Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra (1885): «Stato» si chiama il più freddo di tutti i mostri. È freddo anche nel mentire; e la menzogna ch’esce dalla sua bocca è questa: «Io, lo Stato, sono il popolo!»

[7] Sigmund Freud aveva già espresso simili idee all'indomani dello scoppio della Prima Guerra Mondiale: “Il singolo cittadino può con orrore convincersi in questa guerra di ciò che solo raramente gli avverrebbe di pensare in tempo di pace - che lo Stato ha proibito all'individuo la pratica del male, non perché desideri abolirla, ma perché vuole monopolizzarla, come fa per la vendita di sale tabacco. Uno Stato belligerante si permette ogni misfatto, ogni atto di violenza, che disonorerebbe l'individuo.” (Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, 1915).

[8] “La tirannia della maggioranza” è un concetto elaborato da Tocqueville (De la Démocratie en Amérique, 1835) e reiterato poi da Proudhon: “La democrazia non è altra cosa che la tirannia della maggioranza, la più esecrabile di tutte le tirannie”. (Solution du problème social, 1848).

 

 


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