Nota
Una serie di riferimenti per una lotta non violenta avente come obiettivo la liberazione degli individui e il pieno sviluppo delle loro comunità che si auto-governano.
Fonte: Bart De Ligt, The Conquest of Violence, 1937.
I metodi non-violenti di lotta non sono specifici ad una persona, ad una razza particolare, ad un certo paese, né ad una sola concezione della vita o visione dell’universo. Nella Conferenza Anti-Imperialista di Bruxelles del 1927 abbiamo sentito lo Zulu Goumed dichiarare che i neri, nella loro lotta per la libertà, non potevano fare di meglio che seguire l’esempio dell’India. E infatti, come potrebbero rivaleggiare con gli armamenti moderni dei bianchi, strumenti bellici intimamente connessi ad una organizzazione sociale e tecnologica a loro del tutto estranea?
Alla Conferenza dei Non-Europei tenuta a Port Elizabeth, Sud Africa, nell’Aprile del 1934, una risoluzione fu approvata nella quale si chiedeva alle popolazioni non-europee di boicottare beni prodotti o venduti da imprese che si rifiutavano di occupare la manodopera locale [1].
Lo stesso Gandhi ha ammesso che egli ha escogitato le sue tattiche non solo a seguito dell’influsso di certe tradizioni religiose Indù, ma anche attraverso:
- le storie del popolo ebreo, di Daniele e dei suoi fratelli
- il Discorso sulla Montagna
- le idee dell’inglese John Ruskin [2]
- gli insegnamenti del russo Lev Tolstoj
- e soprattutto, gli scritti e le azioni di Henry David Thoreau.
E infatti, l’espressione “disubbidienza civile”, con la quale Gandhi qualifica i suoi metodi di lotta, è stata consapevolmente ricavata dalla famosa presentazione che Thoreau fece nel 1848 [3] e nella quale troviamo una classica esposizione delle sue idee riguardanti il rifiuto individuale e collettivo del servizio militare e, in talune circostanze, di qualsiasi prestazione a favore dello stato e del pagamento delle tasse.
Secondo Thoreau, ogni cittadino responsabile dovrebbe ignorare del tutto i poteri statali, le sue leggi e istituzioni, e questo tutte le volte che un interesse umano lo richiede; così facendo, si eviterebbe al governo di commettere dei crimini in momenti critici della storia. La cooperazione con tutti i popoli e tutte le organizzazioni che promuovono il bene, e il rifiuto di cooperare nel preciso momento in cui vi sono possibilità che si favorisca il male, questa è la massima attraverso la quale si può sintetizzare l’approccio di Thoreau e che egli stesso mise in pratica in maniera esemplare.
Le poche centinaia di persone che lo conobbero durante la sua vita, videro in lui un eccentrico idealista se non addirittura un affabile sempliciotto, incapace di affrontare questioni pratiche. Al giorno d’oggi, in Asia, milioni di persone hanno messo in pratica le sue tattiche, semplici ma efficaci, e hanno conseguito risultato sorprendenti.
Thoreau conosceva inoltre - come il suo amico Ralph Waldo Emerson [4] il cui discorso Sulla Guerra (On War) del 1838 dovrebbe essere almeno menzionato qui - il pensiero di quel giovane francese assai dotato, Etienne de la Boétie [5] a cui Emerson ha dedicato una delle sue migliori poesie. Nel suo saggio intitolato Discorso sulla servitù volontaria, l’autore ha fatto luce sull’intero edificio sociale e ha mostrato che un governante ha potere solo nella misura in cui il popolo glielo concede. Il potere dei governanti dura solo fino a quando i sudditi glielo riconoscono, in teoria e in pratica, cioè fino a quando le persone governate acconsentono ad attribuire il loro rispetto a coloro che lo richiedono.
L’autorità ufficiale, il potere che alcuni esercitano legalmente su altri, ha più caratteristiche morali che materiali. Poggia meno sulla violenza che sul rispetto verso colui che esercita il potere, e cioè si basa sulla convinzione che coloro che governano sono legittimati a farlo. Il giorno in cui le masse impareranno a liberarsi della loro venerazione per i capi che li tengono sottomessi, l’autorità delle classi governanti, non più riconosciuta, svanirà di colpo ed esse perderanno immediatamente il loro potere.
Nessun dispotismo, tirannia, dittatura o potere statale di ogni tipo può esistere se non grazie alla sottomissione delle masse. Non appena le persone si rendono conto che le autorità statali sono essenzialmente, per natura, dei parassiti e si riprendono il potere che avevano loro affidato, l’intera piramide sociale crolla. L’unica leva, dichiara la Boétie, che le classi dominanti hanno sopra le masse sottomesse è il diritto che queste stesse masse hanno concesso loro di tenerle in soggezione.
Da chi è composta la polizia, chi sono le spie, e i soldati? È il popolo stesso che, mettendosi al servizio di tutti i rami del potere statale, lotta al suo interno e si logora fino a distruggersi. Quando, con passo pesante, i soldati avanzano sui campi e sulle città, è il popolo stesso che schiaccia il popolo agli ordini dei poteri stabiliti, afferma ancora una volta la Boétie.
Domela Nieuwenhuis [6], un antimilitarista olandese, avrebbe detto, alcuni secoli dopo: “Un popolo in uniforme è il tiranno di sé stesso.”
Un altro pensatore profondamente impressionato dal saggio di la Boétie fu Tolstoj che ne riporta un passaggio notevole nel suo La legge della violenza e la legge dell’amore. Anche nelle Lettere a un Indù, Tolstoj rivela di essere stato grandemente influenzato dal pensiero di la Boétie.
Gustav Landauer, socialista tedesco e amante della libertà, la cui tomba fu una delle prime ad essere distrutta dai nazisti, fece una sintesi appassionante della Servitù Volontaria che divenne il nucleo del suo saggio classico Sulla Rivoluzione.
Sorvoliamo sulla ammirevole storia di azione diretta non-violenta dei Cristiani nei primi secoli e quella delle sette religiose, sia medioevali che moderne, come pure il notevole movimento contro la guerra che è guidato da un numero crescente di preti protestanti in Europa e in America, attualmente oltre un migliaio, una storia che ho già trattato ampiamente in un altro libro [La Paix Créatrice]. Tralascio di trattarla anche perché, se dovessi farlo, i lavoratori delle società occidentali mi direbbero immediatamente: “Questo non ha nulla a che vedere con noi; si tratta di religione.”
Ebbene, allora lasciamo da parte la Cristianità, moderna, medioevale o primitiva, e facciamo riferimento alla Roma pagana. Nel 494 avanti Cristo, anch’essa ci ha offerto un esempio indimenticabile di non-collaborazione. Come ben sappiamo, i plebei - vale a dire, i contadini che, sebbene liberi, erano esclusi dal potere politico - soffrivano terribilmente a causa di leggi ingiuste. I patrizi - cioè i grandi proprietari terrieri che occupavano le cariche dello Stato - godevano di tutti i diritti. Essi possedevano enormi fortune. Invece i contadini erano per la maggior parte poveri ed erano esclusi da tutte le posizioni e funzioni pubbliche.
I patrizi si erano accaparrati tutte le terre precedentemente utilizzate in comune e ricavavano da esse notevoli profitti. Essi continuavano ad obbligare il popolo ad equipaggiarsi a proprie spese per la guerra. Costoro dovevano allora contrarre sempre più prestiti per mantenere le proprie famiglie e, così facendo, si indebitavano sempre più. Schiacciati sotto il peso di tali debiti, erano poi soggetti ad un crudele sistema di incarceramento. Ma, consapevoli che nella società, la ricchezza e il successo degli strati superiori esiste solo grazie al sostegno continuo delle classi più basse, essi decisero ad un certo punto di sottrarre le loro energie ad un sistema sociale così iniquo.
Portati sull’orlo della rovina e allo stremo delle loro forze, abbandonarono Roma per fondare una comunità indipendente sul Monte Sacro, una comunità sine ullo duce (senza alcun capo). Essi non avevano affatto bisogno di capi. Dichiararono poi, che non sarebbero ritornati a Roma fino a quando non fosse stata garantita loro una certa condivisione del potere e delle terre comuni. Livio descrive come avvenne questo esodo, in maniera esemplare ed ordinata, e come questi contadini-soldati organizzarono un accampamento sul Monte Aventino e si installarono là.
Tale secessio in montem (secessione sul monte) deve essere stata fatta più volte. Alla fine, i patrizi furono costretti ad accettare le richieste della plebe perché essi ne avevano bisogno per la guerra. Perciò, nel quarto secolo avanti Cristo, la plebe conseguì notevoli vantaggi di tipo sia economico che politico. Clarence Marsh Case (Non-violent coercion. A study in methods of social pressure, 1923) afferma che questa “secessione”, la prima azione effettiva del proletariato, ha avuto luogo senza disordini o violenze di alcun genere.
[…]
Anche in Livio troviamo una descrizione di come, nel 375 avanti Cristo, la popolazione di Tusculum, sui colli Albani, “evitò la vendetta di Roma, mantenendosi ostinatamente in pace, il che non sarebbe potuto avvenire se avessero fatto ricorso alle armi”. Ci rendiamo allora conto delle differenti forme di lotta non-violenta, sul modello di Gandhi, che si sono manifestate anche nella Roma pagana!
Dobbiamo ammettere che metodi non-violenti non sono affatto estranei al modo di pensare degli occidentali. Mirabeau [7] non ha forse dichiarato di fronte alla Assemblea degli Stati Generali della Provenza: “Fate attenzione a non disprezzare quelle popolazioni che producono tutto, quella gente che, per fare vedere quanto vale, basterebbe che incrociasse le braccia e smettesse di lavorare.”
Mettendo in tal modo a confronto “l’energia dei produttori” con “il parassitismo privilegiato dei nobili” egli ha espresso “nella maniera più potente e suggestiva ciò che è attualmente chiamato lo sciopero generale.” (Jean Jaurès, Histoire Socialiste de la France contemporaine, Tomo I, La Costituante)
Verso la metà dell’Ottocento, il rivoluzionario francese Anselme Bellegarrigue [8], a seguito delle sue esperienze politiche negli Stati Uniti e in Francia, perse qualsiasi fiducia sia nei Governi, la cui natura è intrinsecamente violenta, sia nelle Rivoluzioni, a partire dal momento in cui si risolvono in un bagno di sangue. In un caso come nell’altro, tutto poggia, in ultima analisi, sull’oppressione e sull’assassinio, e una volta caduti in questa trappola non c’è via di scampo. A suo giudizio, le barricate sono di solito erette da coloro che vorrebbero governare al posto e contro coloro che governano attualmente. Facciamola finita con ogni forma di governo e auto-governiamoci in maniera sensata, e da quel momento in poi tutte le barricate saranno per sempre superflue.
“In fin dei conti - afferma Bellegarrigue - non ci sono tiranni ma solo schiavi.” Il movimento socialista è sorto unicamente a seguito di una profonda voglia di libertà per tutta l’umanità. Ma l’esercizio del potere, anche in nome del Socialismo, può solo uccidere la libertà. Un popolo è governato sempre fin troppo.
Questo è il motivo per cui Bellegarrigue ha promosso l’idea del rifiuto del conformarsi, il che si identifica con il principio della non-collaborazione con il potere e della disobbedienza civile. Egli ha sviluppato una intera “teoria della quiete” che dischiude la possibilità di superare anche i regimi più potenti attraverso “l’astensione e la non-reazione”. Tutto deve soccombere prima o poi al potere dell’astensione: i privilegi sociali, le tasse ingiuste, il sistema di controllo, le gerarchie militari. Tutto ciò finisce quando molti non sostengono più un regime violento ed esercitano la loro forza morale.
Bellegarrigue ritornò dall’America in Francia nel 1848. Egli notò subito che l’aspetto tragico delle rivoluzioni è che esse sono sempre private dei loro frutti non appena un governo si installa al potere. Mentre in America c’era un governo abbastanza ridotto nella sua sfera di intervento, in Francia il potere si stava concentrando sempre più nelle mani dello Stato. Nel suo scritto Au Fait ! Au Fait ! (1848) ha mostrato come la burocrazia assorbe tutto quello che il popolo produce. Essa rappresenta il moderno Minotauro [9] che succhia il sangue della gente e inghiotte risorse colossali! Non vi è alcun cambiamento quando i governi socialisti rimpiazzano quelli borghesi, dal momento che lo statismo è la contraddizione flagrante dell’autogoverno, che è l’essenza di ogni vera rivoluzione.
Quindi, i metodi di lotta non violenta non sono appannaggio né di una particolare religione né di una specifica razza o popolazione. In Europa e in America, gli amanti della libertà ne scoprono il valore come lo fanno i mistici Indù, i neri che si ribellano e i bellicosi Sikh [10]. Inoltre, lo sciopero generale, praticato sia dai socialisti inglesi, russi e scandinavi che dagli anarchici e dai sindacalisti francesi, italiani, spagnoli e dell’America del sud, è visto sin dall’inizio del secolo ventesimo come un mezzo tipico di lotta del proletariato ed è, in sé stesso, un metodo di azione a cui sono estranee forme di violenza.
Note
[1] La stessa proposta era stata avanzata da Gandhi in India.
[2] John Ruskin (1819-1900) critico d’arte e critico sociale inglese dell’epoca vittoriana.
[3] Si fa allusione a David Henry Thoreau, On the Duty of Civil Disobedience, discorso presentato nella sala pubblica di Concord, il paese natale di Thoreau, nel 1848. Fu poi pubblicato negli Aesthetic Papers di Mrs. Elizabeth P. Peabody nel 1849 sotto il titolo Resistance to Civil Government.
[4] Ralph Waldo Emerson (1803-1882) filosofo e saggista americano.
[5] Etienne de la Boétie (1530-1563), amico di Montaigne, è famoso per il suo Discours sur la servitude volontaire in cui anticipa molte idee che saranno riprese e sviluppate successivamente dagli anarchici e da tutti gli spiriti liberi.
[6] Domela Nieuwenhuis (1846-1919) predicatore luterano, primo socialista ad entrare nel parlamento olandese, si spostò sempre più verso posizioni anarchiche e antimilitariste.
[7] Honoré Gabriel Riqueti conte di Mirabeau (1749-1791) diplomatico e uomo politico francese. Svolse una parte di primo piano nelle fasi iniziali della Rivoluzione Francese.
[8] Anselme Bellegarrigue (nato il 1813 e morto verso la fine dell’Ottocento) fu un ardente difensore dell’individuo, della sua libertà e promotore di una rivoluzione non violenta.
[9] Minotauro, figura della mitologia greca, con il corpo di uomo e la testa di toro. Il Minotauro si cibava di carne umana, fino a quando non è stato ucciso da Teseo.
[10] Sikh, membro di una religione monoteista che è presente in particolare nella regione del Punjab (India).