Gian Piero de Bellis

Oltre l'anarchia

(2024)

 


 

Nota

Questo scritto breve è il risultato di letture ed esperienze dirette nel corso di parecchi anni. L'intenzione è di utilizzarlo come Appendice alla antologia Libertaria che ho curato per l'editore d.

Questa antologia tematica raccoglie, in cinque volumi, alcuni testi essenziali dei pensatori e attivisti anarchici e anti-autoritari del diciannovesimo e ventesimo secolo.

 


 

Premessa

La storia dell'anarchia (come concezione teorica e azione pratica) è stata purtroppo segnata anche da una serie di deplorevoli deformazioni e misfatti.
Nella sua fase iniziale (prima metà dell'Ottocento) abbiamo soprattutto una denuncia forte e chiara contro qualsiasi forma di dominio da parte di un potere esterno in via di espansione, vale a dire lo Stato. Nelle parole di Proudhon, il primo a definirsi anarchico,

"Chiunque mi metta la mano addosso per governarmi è un usurpatore e un tiranno, e io lo dichiaro mio nemico." (Les Confessions d'un Révolutionnaire, 1849).

Alcuni anni più tardi, nel 1872, un piccolo gruppo di anarchici espulsi dall’Internazionale dei Lavoratori dominata da Karl Marx si riunì a Saint-Imier (Jura Svizzero) per formulare in termini molto chiari la propria posizione antiautoritaria.

La concezione antiautoritaria era, essenzialmente, un invito a promuovere una varietà di stili di vita personali e una pluralità di forme di organizzazione sociale, senza imporre o farsi imporre alcunché. In questo modo, gli stili di vita e le organizzazioni sociali congeniali a ciascuno sarebbero stati adottati e praticati dai singoli individui e dalle comunità che si sarebbero formate volontariamente. Al tempo stesso ognuno avrebbe ignorato e accettato come realtà non minacciose, in quanto non autoritarie, la pratica di differenti stili di vita e forme di organizzazione comunitaria. Questa varietà non solo sarebbe auspicabile ma anche necessaria in sistemi sociali complessi, come evidenziato da William Ross Ashby nel suo testo An Introduction to Cybernetics (1956) attraverso la formulazione della “legge della varietà necessaria” (law of requisite variety).

Purtroppo, anche all'interno del movimento anarchico, alcuni individui hanno iniziato a considerare le proprie idee e prassi come le migliori e le uniche adatte a tutti. Quindi, coloro che si proclamavano anarchici si sono, quasi fin dall’inizio, divisi e suddivisi in anarco-comunisti, anarco-collettivisti, anarco-mutualisti, anarco-individualisti, e nuove etichette (anarco-capitalisti, anarco-nazionalisti) sono emerse e si sono aggiunte con il passare del tempo.

Questo ha dato origine al sorgere di fazioni e attriti, imposizioni e scomuniche, nella peggiore tradizione propria a tutti gli individui e gruppi assetati di potere sugli altri.

 

Anarchia senza aggettivi

Nel 1890 un anarchico nato a Cuba, Fernando Tarrida del Mármol, propose una soluzione per superare il settarismo e la presentò in una lettera ai compagni francesi con la formula "Anarchia senza aggettivi" (1890, in Libertaria, vol. I). Nel corso del tempo questa posizione fu accettata e promossa da molti altri anarchici, tra cui Max Nettlau ed Errico Malatesta.

Tuttavia, il virus del settarismo si era infiltrato così fortemente nel movimento, dominato oramai da alcuni individui prepotenti e autoritari, che si arrivò al punto che gli anarco-comunisti rifiutarono la partecipazione degli anarco-individualisti a un Congresso. Allora Max Nettlau, il famoso storico del pensiero e della pratica anarchica, commentò che ciò significava la fine dell'anarchia come movimento antiautoritario.

Durante la guerra civile spagnola, in cui gli anarchici ebbero un ruolo importante, l'anarco-collettivismo fu considerato la soluzione da applicare a tutti nella sfera sociale ed economica. Ne conseguì che la guerra civile non fu solo una lotta sanguinosa tra movimenti politici definiti di destra e di sinistra, ma anche uno scontro, spesso violento, all'interno delle varie componenti della sinistra (anarchici, comunisti, trotzkisti, socialisti), con numerosi atti di sanguinosa repressione. Per imporre le loro idee, alcuni anarchici formularono addirittura l'idea di una dittatura anarchica, sul modello della dittatura del partito bolscevico predicata e praticata da Lenin (si veda il resoconto di Vernon Richards, Insegnamenti della rivoluzione spagnola, 1957).

Non c'è quindi da stupirsi che la concezione e il movimento anarchico abbiano subito, in seguito, una profonda crisi. Nel 1985, Bob Black in un articolo che gli anarchici non amano né leggere né citare (Gli “anarchici” come ostacolo per l’anarchia, Libertaria Vol. I) affermava a chiare lettere:

“La mia riflessione ponderata, dopo anni di osservazione e, talvolta, di lacerante attività nell’ambito anarchico, è che gli anarchici rappresentano la causa principale - e ho il sospetto, una causa sufficiente – per cui l’anarchia rimane qualcosa che non ha la benché minima possibilità di essere realizzata.”

Da allora, la situazione è andata peggiorando ulteriormente e quindi si dovrebbe proporre una soluzione ancor più radicale di quella suggerita da Tarrida del Mármol, in linea con quanto evidenziato da Bob Black.

 

Anarchia senza anarchici

Nel 2000, David Graeber scrisse un articolo (Sei un anarchico? La risposta potrebbe sorprenderti! Libertaria Vol. I) in cui esprimeva l'idea molto plausibile che "gli esseri umani sono, in circostanze ordinarie, ragionevoli e onesti quanto è permesso loro di essere, e possono organizzare sé stessi e le loro comunità senza bisogno che sia detto loro come fare". Per Graeber, coloro che accettano e praticano questa idea, e condividono anche la convinzione, tante volte confermata dai fatti storici, che "il potere corrompe" sono, in realtà, anarchici senza rendersene conto.

Per promuovere e praticare l'anarchia non c’è dunque bisogno di individui che sfoggino l'etichetta di anarchici e che proclamino a gran voce di esserlo. C’è semplicemente necessità di persone oneste che non vogliono vivere sfruttando e dominando gli altri. E, nella realtà dei fatti, la grande maggioranza degli individui è così. Graeber elenca alcuni casi di anarchia pratica senza bisogno di anarchici di professione:

“Ogni volta che tratti un altro essere umano con considerazione e rispetto, sei un anarchico. Ogni volta che risolvi le tue differenze con gli altri arrivando a un compromesso ragionevole, ascoltando ciò che ognuno ha da dire piuttosto che lasciando che una persona decida per tutti gli altri, ti stai comportando da anarchico. Ogni volta che hai l'opportunità di costringere qualcuno a fare qualcosa, ma decidi di appellarti al suo senso della ragione o della giustizia, tu sei un anarchico. Lo stesso vale ogni volta che condividi qualcosa con un amico, o decidi assieme a lui chi laverà i piatti, o fai qualsiasi cosa prestando attenzione a ciò che è giusto.”

Detto ciò, ritengo che attualmente, nel XXI secolo, occorra compiere un passo ulteriore, che si rivela essere il passaggio più radicale e forse quello definitivo.

 

Anarchia senza anarchia

Il termine anarchia, a causa della propaganda di Stato e delle azioni violente di alcuni sedicenti anarchici, ha assunto, nel corso del tempo, connotazioni molto negative. Ladri, rapinatori, assassini, hanno talvolta giustificato le loro azioni qualificandole come atti di ribellione anarchica. Molti di questi atti sono stati commessi da individui impulsivi e deliranti che hanno assunto il ruolo di vendicatori, come Émile Henry che, il 12 febbraio 1894, lanciò una bomba al Caffè Terminus della Gare Saint Lazare di Parigi uccidendo una persona e ferendone altre venti.

Commentando questo tragico episodio il romanziere e giornalista Octave Mirebau scrisse:

"Un nemico mortale dell'anarchia non avrebbe potuto agire meglio di questo Émile Henry, quando ha lanciato la sua inspiegabile bomba in mezzo alla gente tranquilla e anonima che era venuta al caffè per bere un boccale prima di andare a letto [...].
Émile Henry dice, afferma e proclama di essere un anarchico. È possibile. [...] Di questi tempi è di moda che i criminali si dichiarino anarchici [...] Ogni partito ha i suoi criminali e i suoi pazzi, perché ogni partito ha i suoi uomini" (Le Journal, 19 febbraio 1894).

Per via di questi atti inconsulti, sfruttati ad arte dalla propaganda di stato, il termine "anarchia", ha assunto connotazioni fuorvianti e poco gradevoli. Per cui, nel corso del tempo, alcuni hanno proposto nomi diversi per qualificare la stessa concezione e aspirazione, ossia la fine, per tutti e dappertutto, del dominio e dello sfruttamento.

In Spagna, Rafael Farga i Pellicer, tipografo e attivista, sembra essere stato colui che ha inventato il termine "acracia" (dal greco ἀ-κρατία, "assenza di" "potere"). Nel gennaio 1886 uscì a Barcellona il primo numero di una rivista intitolata Acracia. La redazione era composta oltre che da Rafael Farga i Pellicer, da Anselmo Lorenzo, Ricardo Mella e Fernando Tarrida del Mármol. In effetti, l'assenza di Kratos (potere) più che di Arké (autorità) qualifica in modo più appropriato la fine di un'entità dominante (lo Stato) e l'aspirazione alla libertà per tutti.

Un altro termine introdotto da alcuni anarchici è quello di "Libertaire". Esso compare per la prima volta in una lettera scritta nel 1857 da Joseph Déjacque e indirizzata a Proudhon. In quella lettera l'autore condannava l'atteggiamento di arrogante superiorità che Proudhon aveva mostrato nei confronti di una donna, Jenny d’Héricourt, che aveva "osato" criticarlo in un articolo pubblicato nel dicembre 1856 sulla Revue Philosophique e intitolato M. Proudhon et la question des femmes ("Il signor Proudhon e la questione femminile"). Nella sua lettera-pamphlet (De l'Être-Humain mâle et femelle) Joseph Déjacque rimproverava l'atteggiamento misogino di Proudhon e lo qualificava di liberale e non di libertario.

Il termine Libertaire fu usato dallo stesso Déjacque per una pubblicazione apparsa a New York nel giugno 1858 e pubblicata fino al febbraio 1861 (Le Libertaire. Journal du Mouvement Social). Lo stesso titolo è stato utilizzato da Sébastien Faure per un giornale distribuito in Francia a metà degli anni Novanta del XIX secolo.

Purtroppo, nessuno di questi termini è riuscito a sostituire la parola anarchia, che sopravvive forse anche a causa della sua funzione ambivalente. Per lo Stato come strumento di propaganda che incute paura e disprezzo; per gli autoproclamati anarchici come segno della loro superiorità in quanto esponenti dell'ideologia più radicale e più terrificante dell’agone politico.

Tuttavia, consciamente o inconsciamente, si avverte un profondo bisogno di andare oltre il termine anarchia che è spesso espressione di infantilismo e di esibizionismo, e di recuperare il vero significato che sta dietro la parola. Ciò potrebbe essere fatto abbandonando, una volta per tutte, quell'ambiguo e fuorviante qualificativo.

- Ambiguo. Il termine "anarchia" può essere interpretato da alcuni come mancanza di principi (arké in greco significa anche principio, origine, causa prima). Taluni, quindi, postulano il concetto aberrante di super-io, vale a dire dell’individuo che non si sente vincolato da alcuna regola morale, pronto a soddisfare solo la sua volontà e i suoi capricci. Questo è ciò che Camillo Berneri ha definito il "cretinismo anarchico".

- Fuorviante. Molti interpretano il termine "anarchia" come forza di distruzione dell'attuale "ordine". Quanto alla proposizione positiva di nuovi modelli sociali, la stragrande maggioranza degli anarchici associano il termine anarchia ad altri "ismi" (ad es. comunismo, collettivismo). Così facendo essi non si rendono conto l'anarchia non ha allora nulla di nuovo da proporre oltre alle vecchie minestre ideologiche convenzionali somministrate, o meglio imposte, a tutti.

Dovremmo quindi passare da un termine negativo (an) a un termine positivo, chiarendo però il fatto che la proposizione positiva rappresentata dal nuovo termine non vuol essere altro che un metodo per promuovere la varietà (a ciascuno il suo). Questo sbocco era nelle intenzioni di parecchi esponenti classici dell'idea che pensavano che, dopo aver eliminato dominio e privilegi, ogni essere umano avrebbe riempito lo spazio della sua vita con desideri, aspirazioni, progetti, realizzazioni personali, senza bisogno, e anzi rifiutando, una forma unica, comune a tutti, di organizzazione personale e sociale.

Un possibile sostituto al termine anarchia potrebbe essere quello di panarchia, una concezione che l'anarchico Max Nettlau ha riscoperto, apprezzato e presentato in un suo articolo del 1909 (Panarchia. Un'idea dimenticata del 1860). L'idea alla base della panarchia è che le persone dovrebbero essere libere di formare comunità volontarie non territoriali ovunque vivano e qualora lo desiderino. Quindi, su uno stesso territorio potrebbero sorgere molte comunità volontarie, con le loro regole e forme di organizzazione, così come esistono molte confessioni religiose, molti fornitori di servizi, molte imprese commerciali, associazioni, club e così via, che non si ostacolano tra di loro e che sono tutti più o meno rispettosi gli uni degli altri.

Detto questo, è più probabile, e sarebbe anche meglio, che tutti questi termini (anarchia, panarchia) scomparissero e rimanessero solo le espressioni che ritraggono le aspirazioni concrete e le realtà auspicabili degli individui, cioè comunità volontarie ed esseri umani autonomi. In effetti, come non esiste un termine specifico che qualifica la tolleranza religiosa, ma la pratichiamo in maniera scontata, lo stesso dovrebbe avvenire per quanto concerne la tolleranza politica.

E allora, una civiltà veramente universale, composta da una miriade di forme non-autoritarie di organizzazione personale e sociale, potrebbe finalmente emergere ed essere promossa da ciascuno e da tutti.

 


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