Anselme Bellegarrigue

L’anarchia è l’ordine

(1850)

 


Nota

Questa è la prima parte di un Manifesto che l’autore ha redatto con la speranza di chiarire, una volta per tutte, che l’anarchia è ordine volontario e che qualsiasi potere esterno imposto è una forma di disordine che genera sempre più disordine e sfocia spesso nella guerra civile.

Fonte: Anselme Bellegarrigue, Manifeste de l'anarchie, in L'anarchie, Journal de l'Ordre - n°1, aprile 1850.

 


 

Se mi preoccupassi del significato che si assegna comunemente a certe parole, dal momento che un errore volgare ha fatto del termine anarchia un sinonimo di guerra civile, io avrei orrore del titolo che ho posto all’inizio di questo testo, in quanto ho orrore della guerra civile.

Al tempo stesso io mi onoro e mi lusingo di non avere mai fatto parte di un gruppo di cospiratori né di un battaglione di rivoluzionari; me ne onoro e mi lusingo perché ciò serve a chiarire, da una parte, che sono abbastanza onesto da non ingannare il popolo e, dall’altra, che sono stato abbastanza capace da non lasciarmi ingannare da individui assetati di potere. Io ho visto passare davanti a me, non dico senza provare qualche brivido, ma quanto meno con la più grande serenità, i fanatici e i ciarlatani, compatendo gli uni e disprezzando totalmente gli altri. E quando, avendo formato la mia personalità a non entusiasmarsi se non all'interno della logica circoscritta di un sillogismo, ho voluto, a seguito di lotte sanguinose, fare la somma del benessere che mi aveva apportato ogni persona caduta negli scontri, mi sono ritrovato con uno zero assoluto. Ora zero significa nulla di nulla.

Io ho orrore del nulla, e quindi ho orrore della guerra civile.

Se ho scritto ANARCHIA sulla testata di questo giornale è dunque per non lasciare a questo termine il significato che gli è stato attributo, del tutto a torto, come chiarirò ben presto, dalle cricche di governo. Invece, io voglio restituirgli le caratteristiche etimologiche che gli sono proprie.

L’anarchia è la negazione dei governi [intesi come poteri imposti all’individuo – N.d.T.]. I governi, di cui noi siamo i sudditi sotto tutela, non hanno chiaramente trovato nulla di meglio se non farci crescere nella paura e nell’orrore di una loro scomparsa. Ma, dal momento che, a loro volta, i governi sono la negazione degli individui o del popolo, è ragionevole che il popolo, divenuto consapevole riguardo alle verità essenziali, riversi sul suo proprio nulla tutto l’orrore che aveva provato per il nulla dei suoi tutori.

L’anarchia è un vocabolo antico [1], ma esso esprime per noi una idea del tutto moderna, o piuttosto, un interesse moderno, in quanto l’idea è figlia dell'interesse. La storia ha definito anarchica la condizione di un popolo al cui interno si trovavano parecchi governi che si contendevano il potere su tutti. Ma una cosa è la situazione di un popolo che, volendo essere governato, manca di governo perché ne ha troppi, e altra cosa è la situazione di un popolo che, volendo governarsi da sé, manca di governo proprio perché non ne vuole più alcuno. L’anarchia nei tempi antichi è stata davvero la guerra civile perché esprimeva la rivalità dei governi per il potere, la lotta delle caste governative e non l'assenza di un potere dominante.

La nozione moderna di verità sociale assoluta o di democrazia pura ha aperto tutta una serie di conoscenze o di interessi che capovolgono radicalmente i termini dell’equazione tradizionale. Così, l’anarchia, che dal punto di vista di una monarchia assoluta, significa guerra civile, non è nient’altro, in una democrazia pura, che l’espressione vera dell’ordine sociale. 

In effetti:

Chi dice anarchia, dice negazione del governo;

Chi dice negazione del governo, dice affermazione del popolo;

Chi dice affermazione del popolo, dice libertà individuale;

Chi dice libertà individuale, dice sovranità personale;

Chi dice sovranità personale, dice equità;

Chi dice equità, dice solidarietà o fraternità;

Chi dice fraternità, dice ordine sociale;

Dunque, chi dice anarchia, dice ordine sociale.

Invece:

Chi dice governo, dice negazione del popolo;

Chi dice negazione del popolo, dice affermazione del potere politico;

Chi dice affermazione del potere politico, dice dipendenza degli individui;

Chi dice dipendenza degli individui, dice supremazia di una casta;

Chi dice supremazia di una casta, dice ingiustizie e privilegi;

Chi dice ingiustizie e privilegi, dice antagonismi;

Chi dice antagonismi, dice guerra civile;

Dunque, chi dice governo, dice guerra civile.

Io non so se quello che ho qui esposto è qualcosa di nuovo, o di strano, o di allarmante. Non lo so né mi interessa saperlo.

Quello che so è che io, senza timore alcuno, posso mettere in gioco le mie argomentazioni contro tutti i discorsi governativi, bianchi e rossi, del passato, del presente e del futuro. La verità è che, su questo tema, che è quello di un essere umano libero, estraneo alle ambizioni, energico nell’impegno, sdegnoso delle imposizioni, ribelle alla sottomissione, io sfido tutte le tesi del funzionariato statale, tutti i filosofi delle riscossioni forzate, e tutti i pennivendoli dell’imposta monarchica o repubblicana, che si chiami progressiva, proporzionale, fondiaria, capitalista, patrimoniale o sui consumi.

Sì, l’anarchia è l’ordine perché il governo è la guerra civile.

Quando la mia mente penetra al di là dei miserevoli dettagli su cui poggiano le polemiche quotidiane, io trovo che le lotte intestine, che, nel corso della storia, hanno decimato l’umanità, hanno un’unica causa, e cioè quella di voler conservare o rovesciare un governo.

Nel discorso politico, sgozzarsi a vicenda ha sempre significato divorarsi sulla durata o sull’avvento di un governo. Indicatemi un luogo in cui ci si uccide in massa e apertamente, e io vi farò vedere che un governo è alla testa del massacro. Se voi cercate di spiegare la guerra civile senza far riferimento ad un governo che vuole installarsi o ad un governo che non vuole andarsene, voi perderete il vostro tempo e non troverete nulla.

Il motivo è semplice.

Si istituisce un governo. Nel momento stesso della sua istituzione ha i suoi capi e, di conseguenza, i suoi seguaci, e nell’attimo stesso in cui ha i suoi seguaci, ha anche i suoi avversari. Ora, i germi della guerra civile sono fecondati da questo solo fatto, perché non potete minimamente fare in modo che il governo, investito di ogni potere, agisca nei confronti dei suoi avversari come farebbe nei riguardi dei suoi seguaci. Voi non potete far sì che i favori che può elargire siano ripartiti alla pari tra amici e nemici. Voi non potete impedire che gli uni siano coccolati e che gli altri non siano combattuti. Impossibile quindi che da questa disparità di trattamento non sorga, presto o tardi, un conflitto tra la fazione dei privilegiati e quella degli oppressi. In altri termini, con l’istituzione di un governo non potete evitare il favoritismo che genera il privilegio, che provoca le divisioni, che creano gli antagonismi, che determinano la guerra civile.

Dunque, il governo è la guerra civile.

Ora, basta appartenere o ai seguaci o agli avversari del governo per far sorgere un conflitto tra i cittadini. Se si dimostra che, al di fuori dell’amore o dell’odio che si ha nei confronti del governo, la guerra civile non ha alcun motivo di esistere, questo equivarrebbe a dire che, per stabilire la pace, basterebbe che i cittadini rinunciassero, da una parte, ad essere i seguaci, e dall’altra, ad essere gli avversari del governo.

Ma, smetterla di attaccare o di difendere il governo per rendere impossibile la guerra civile, questo si traduce in nient’altro che nel non tenere più conto del governo, nel metterlo tra i rifiuti, nell’eliminarlo al fine di sviluppare l'ordine sociale.

Quindi, se eliminare il governo vuol dire, da una parte, introdurre l’ordine, dall’altra significa porre le basi dell’anarchia. Dunque, l’ordine e l’anarchia sono realtà parallele.

In sostanza: l’anarchia è l’ordine.

 


 

Nota

[1] Nella sua Antropologia da un punto di vista pragmatico (1798) Immanuel Kant dà del termine anarchia la seguente definizione: “l'anarchia è la norma e la libertà senza un potere dominante”.

 


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