Giovanni Tenorio

Secessioni, democrazie e panarchia

(2017)

 



Nota

Un'altra conversazione che con estrema chiarezza ci fa comprendere la bellezza e funzionalità della panarchia in presenza di spinte secessionistiche e aspirazioni di autonomia personale.

 


 

L – Caro padrone, non ci sto capendo nulla!

DG – Non me ne meraviglio, quando mai hai capito qualcosa?

L – Grazie del complimento. Molto gentile, come sempre!

DG – Eh via, quanto sei permaloso! Scherzavo. Lo sai che ultimamente ho apprezzato alcune tue aperture mentali. Ma, venendo al sodo, che cosa non capisci?

L – Tutta questa faccenda delle secessioni, in particolare quello che sta succedendo in Catalogna. Voi avete ironizzato, come sempre, sulla democrazia e le sue contraddizioni. Ma mi pare che il problema rimanga, in tutta la sua gravità. Ci sono territori che anelano a separarsi dallo Stato-nazione di cui fanno parte: ne hanno diritto oppure no? E se sì, in quali forme e secondo quali procedure?

DG – Il problema è mal posto: non sono i territori a volersi separare, ma le persone che li abitano.

L – Cambia poco, è più o meno la stessa cosa. Se un popolo se ne vuole andare, è chiaro che vuol tenersi il territorio dove abita. Pensiamo a una casa bifamiliare. Fino a ieri le due famiglie sono andate d’amore e d’accordo, prendendo le decisioni insieme e dividendosi le spese per le parti comuni. A un certo punto una delle due famiglie decide di far da sé, sospendendo ogni collaborazione con l’altra. E’ chiaro che si separa tenendosi ben stretta la sua porzione di casa.

DG – Il paragone non calza. Sarebbe appropriato se tutti gli abitanti di un territorio volessero sottrarsi al governo centrale. Ma se è solo una maggioranza, sia pur cospicua, a volerlo fare, cadiamo nel solito dilemma dell’ideologia democratica, che confonde un voto maggioritario con una fantomatica volontà popolare. Ma la volontà è solo dei singoli individui, non dei popoli. Di fatto, una maggioranza opprime una minoranza.

L – Meglio scontentare una minoranza che una maggioranza.

DG – Così è meglio detto. Ma sarebbe molto meglio non scontentare nessuno, gettando alle ortiche il concetto di nazione. Tutto il problema parte di lì…

L – Ecco, comincio a non capire. Vi prego, non irritatevi…

DG – No, ascoltami bene. Facciamo un passo indietro. Vediamo che cos’è successo, nel campo delle ideologie politiche, dopo il crollo del sistema sovietico, ovvero con la falsificazione del paradigma comunista. I marxisti duri e puri hanno pensato che quello storicamente attuatosi non era vero marxismo. Bisogna quindi lottare per costruire un sistema di libertà ed eguaglianza sostanziali, corrispondente alla vera democrazia, ben diversa da quella “borghese”. Luciano Canfora è su questa linea. Altri, in ambito liberale, hanno pensato alla fine della Storia. In un certo senso s’è operata una sorta di selezione darwiniana che ha portato alla sopravvivenza del più forte: nel nostro caso, al modello liberal-democratico. Quindi, fine di tutti conflitti internazionali e inizio di una perpetua convivenza pacifica. Fine della Storia come preconizzava Hegel; al capolinea, però, non c’è né lo Stato prussiano né la società comunista, ma lo Stato “borghese”, corroborato da forti iniezioni di socialdemocrazia. È la linea di Francis Fukuyama. Infine, in ambito libertario, s’è parlato di disgregazione degli Stati centralisti, fondati su un falso concetto di nazione, imposto dall’alto con la violenza. Si riscoprono gli autentici sentimenti di nazionalità, basati sul consenso popolare, e su questa base si rivendica il diritto di secessione. È un primo passo verso il superamento dello Stato. Stati piccoli sono Stati poco oppressivi, economicamente aperti, a bassa fiscalità perché in concorrenza fra loro per attrarre investimenti e capitale umano. Un piccolo Stato è una sorta di condominio, con proprietà individuali e una proprietà comune, segnata da confini valicabili solo col consenso dei partecipanti. È la linea dell’ultimo Rothbard.

L – A Canfora direi: aspetta e spera. A Fukuyama: guardati intorno, e vedi un po’ se la Storia è finita. Ne è cominciata un’altra, e piuttosto brutta. La nascita dell’estremismo islamista, che minaccia proprio le democrazie “borghesi”, è un problema mondiale non da poco. La crisi succeduta al crollo del sistema bancario e finanziario USA mette in discussione un modello economico che sembrava invulnerabile, con le banche centrali in funzione di regolatori della moneta e del credito. Il sistema socialdemocratico, anziché corroborare le democrazie, ne ha gonfiato il burocratismo e l’inefficienza, nonché l’oppressione fiscale. Quanto a Rothbard non era lui ad affermare che tra le libertà naturali c’è quella di muoversi liberamente, e che come si muovono le merci, così si muovono gli uomini?

DG – Caro Leporello, si invecchia, purtroppo, e si diventa un po’ citrulli. Alla razionalità si affianca il sentimento, che spesso fa aggio su quella. È per questo che i nonni concedono, irrazionalmente, ai nipotini quanto, razionalmente, non avrebbero mai concesso ai figli. Quello di “nazionalità” è un bel sentimento romantico. Il mito della piccola patria, del focolare domestico, delle tradizioni familiari, dei racconti della nonna, delle filastrocche, del dialetto natio. Tutte cose belle, intendiamoci, a patto di non ipostatizzarle, facendo della “Nazione” una realtà organica, che vuole, ragiona e sente. Il sentire, il volere e il ragionare sono degli individui, non delle nazioni. È stato proprio il principio di nazionalità, nell’Ottocento, a inquinare il pensiero liberale, originariamente cosmopolita, dando origine a quelle guerre di indipendenza che hanno disgregato antichi imperi e portato alla formazione degli Stati nazionali. Sappiamo dove ha condotto il nazionalismo: all’esasperazione del colonialismo e alla guerra mondiale.

L – Se ho ben capito, nella disgregazione degli odierni Stati nazionali opererebbe un medesimo principio: anziché secedere da un impero si secede da un grande Stato nazionale per formarne uno più piccolo, con le sue leggi e i suoi confini…

DG – Bravo! Nella sostanza non cambia nulla. La stessa cosa di prima, in scala ridotta. Solo che una volta per difendere la nazionalità magari si prendevano le armi e si faceva la guerra, mettendosi sotto l’ombrello di una potenza con velleità egemoniche o espansionistiche, come capitò in Italia con il Piemonte dei Savoia. Il Belgio era da tempo riuscito a costituirsi come Stato a sé, staccandosi dai Paesi Bassi, grazie all’intervento della Francia di Filippo II d’Orleans. Fu il minacciato intervento armato di Russia, Francia e Inghilterra, oltre al sostegno di volontari provenienti da tutta Europa, a consentire la costituzione di uno Stato ellenico indipendente dall’Impero Ottomano, prima in forma di repubblica e poi di monarchia.

L – Oggi invece si secede a suon di referendum. Magari da un’istanza sovrannazionale, come ha fatto il Regno Unito dall’UE, con la Brexit. O come potrebbe fare la Scozia dal Regno Unito. E come sta tentando di fare la Catalogna dalla Spagna.

DG – Proprio così. E sai qual è il paradosso? Che spesso i nuovi staterelli vorrebbero rimanere nella UE, o addirittura rinsaldare i rapporti con quella. Se le autorità della UE, in proposito, sono reticenti o addirittura riluttanti, dipende dal fatto che la UE, tutto sommato, è ancora una confederazione di Stati pienamente sovrani, a dispetto della moneta unica (vigente solo nella cosiddetta Eurozona) e di organismi istituzionali comuni. Quel giorno che diventasse una vera federazione, con un vero governo centrale, non avrebbe difficoltà ad accogliere staterelli nati da secessioni: il territorio dello Stato federale nel suo complesso resterebbe intatto.

L – Un bel paradosso. Nell’Ottocento si sono formati Stati nazionali grazie alla disgregazione di Stati imperiali. Oggi gli staterelli nati dalla disgregazione degli Stati nazionali vogliono unirsi a un nuovo impero! Altro che fine della Storia! E neppure Storia che si ripete. Storia che si capovolge!

DG – Un po’ si capovolge e un po’ si ripete. Pensa alla Lega Lombarda (quella vera, non la caricatura di Bossi). Como e Lodi se ne staccarono. Preferirono unirsi all’imperatore Barbarossa piuttosto che rimaner sottomessi all’egemonia di Milano.

L – Pensate un pochino se, in una eventuale Lombardia indipendente, proprio Lodi e Como, o magari anche Bergamo, dove si parla un dialetto incomprensibile al resto dei lombardi, volessero secedere dal governo di Milano, rinforzando i loro vincoli con la UE. Questa sì sarebbe Storia che si ripete.

DG – Certo, ma in forma di farsa.

L – Conclusione?

DG – L’unica soluzione è la panarchia. Ognuno stia con chi vuole, senza dover cambiare territorio. In Spagna, uno che vuol stare con Barcellona stia con Barcellona, uno che vuol stare con Madrid stia con Madrid. Nel Regno Unito, uno che vuol stare con Londra stia con Londra, uno che vuol stare con Edimburgo stia con Edimburgo. In Europa, uno che vuol stare con la UE, stia con la UE, uno che vuol starsene fuori, se ne stia fuori.

L – In somma, non è la nazione a legarsi a un territorio, ma un individuo a legarsi a una nazione, dovunque abiti.

DG – Bravo! Vedi che se vuoi, anche se hai la testa un po’ dura, capisci tutto e bene?

 


[Home] [Top]