Fred Schulder

Anarchia e Organizzazione

(1898)

 


 

Nota

L'anarchia intesa come pari libertà per tutti di organizzarsi o auto-organizzarsi secondo i propri desideri e le proprie esigenze. Per questo non vi è affatto opposizione ma piena compenetrazione tra i due termini di anarchia e organizzazione.

Fonte: Fred Schulder, The relation of anarchism to organization. Testo letto di fronte al pubblico del Franklin Club, Cleveland, Ohio, il 18 settembre 1898.

 


 

Il tema che ho scelto per la discussione di questo pomeriggio è la relazione tra anarchia e organizzazione.
Per una proficua discussione è necessario avere una idea chiara del significato dei termini principali che saranno qui utilizzati.

Organizzazione è stata definita come l'assumere una struttura organica – la formazione o lo sviluppo di organi.

Ora, un organo è una componente capace di assolvere una qualche funzione particolare, che è essenziale per l'esistenza dell'insieme. Quindi, dal punto di vista sociologico, l'organizzazione è l'associazione di individui e una sistemazione o costituzione di questo insieme in parti, ognuna delle quali svolge una funzione essenziale per la vita dell'insieme.

I termini organizzazione ed evoluzione hanno press'a poco lo stesso significato, eccetto che evoluzione è un vocabolo di significato più generale. L'evoluzione è una serie di cambiamenti, sulla base della legge di natura, da una situazione diffusa, uniforme e indefinita, ad una concentrata, multiforme e ben definita. L'evoluzione è innanzitutto frutto della instabilità di ciò che è omogeneo. Qualsiasi aggregato omogeneo deve perdere inevitabilmente la sua omogeneità attraverso l'esposizione differenziata delle sue parti a forze esterne che incidono su di esso. Questa trasformazione dalla omogeneità alla eterogeneità è notevolmente facilitata dalla moltiplicazione degli effetti. Ogni componente che si differenzia diventa la fonte di ulteriori differenziazioni in quanto, crescendo diversamente da altre parti, diventa una sorgente di reazioni differenziate nei confronti delle forze esterne; così facendo, alla diversità delle forze in gioco, si aggiunge la diversità degli effetti prodotti. Infine, la crescente marcata distinzione delle parti che accompagna lo sviluppo di differenze tra le parti, è causata dalla separazione di unità miste sotto l'azione di forze capaci di influenzarne i movimenti; una forza che agisce su unità differenti tenderà a separare le unità difformi l'una dall'altra e ad associarle con unità tra loro simili. Applicando a questa dinamica il principio della sopravvivenza del più adatto – cioè, che la sopravvivenza e la continuazione in vita è possibile solo per quelle forme o combinazioni che sviluppano un certo adattamento all'ambiente circostante – possiamo chiaramente vedere che la funzione di ogni parte differenziata deve necessariamente essere essenziale alla vita della combinazione in evoluzione. E questo perché, laddove vi è assenza di adattamento, questo movimento (evoluzione) è contrastato e alla fine sovrastato da forze esterne antagoniste, e ha luogo un movimento opposto (dissoluzione).

Ho qui esposto brevemente le cause e la direzione dell'evoluzione in modo da mostrare, non solo l'importanza ma anche la necessità dell'organizzazione. Infatti, si vedrà che l'organizzazione procede secondo le stesse inevitabili regole che caratterizzano l'evoluzione, non solo quella di tutti gli esseri viventi, ma anche delle comunità, delle società e dell'umanità in generale. Abbiamo qui la trasformazione da una condizione diffusa ad una concentrata, dall'uniforme al multiforme, dall'indefinito al definito. L'organizzazione è la legge della vita e dello sviluppo. È vero che nell'unione sta la forza, ma nell'organizzazione vi è ancora più energia.

Ora, quale è la relazione tra anarchia come teoria sociale e l'organizzazione sociale? Se si può dimostrare che la relazione è quella di opposizione, allora l'anarchia, opponendosi all'organizzazione, o all'evoluzione, favorirebbe la disorganizzazione e la dissoluzione. Sarebbe allora condannata come concezione contraria al progresso – non scientifica. L'anarchia, invece di essere una teoria dello sviluppo sociale e della vita, sarebbe una teoria di distruzione sociale e di morte.

Ma esaminiamo meglio le cose. L'anarchia può essere definita come la concezione che la libertà di ogni individuo dovrebbe essere limitata solo dalla pari libertà di ogni altro individuo. Si potrebbe obiettare che il termine “anarchia” è spesso utilizzato nel senso di “confusione” o di “assenza di principi-guida”. A coloro che avanzano questa obiezione rispondo che, quando vogliamo giudicare una teoria, dobbiamo prima imparare a comprendere i termini utilizzati da coloro che hanno sviluppato tale teoria; altrimenti, non stiamo giudicando la teoria in sé stessa, ma solo l'uso corretto o scorretto di taluni termini. L'anarchia quindi, secondo la definizione data, si oppone all'organizzazione solo e se l'organizzazione nega la pari libertà. Ma se l'organizzazione è promossa sulla base di un accordo che garantisce pari libertà, allora la concezione anarchica è favorevole allo sviluppo dell'organizzazione. E se l'organizzazione non è né contraria né favorevole alla pari libertà, allora la posizione degli anarchici è neutrale riguardo ad essa.

Noi anarchici non riscontriamo nulla, nell'organizzazione in sé stessa, che costituisca una negazione della pari libertà per tutti. Gli esseri umani possono e, laddove lo trovino vantaggioso, in effetti si associano e si organizzano, senza essere forzati a farlo da qualcun altro sotto minaccia, o attraverso un atto diretto di violenza fisica, o indiretto, di rapina. E una tale organizzazione sopravvivrà in una situazione di libertà, fino a quando gli individui che ne fanno parte lo troveranno vantaggioso. La società, nel suo complesso, è una organizzazione. Nessuno studioso di sociologia può fare a meno di riconoscere lo sviluppo da una condizione diffusa, uniforme e indefinita ad una concentrata, multiforme e ben definita. Si può affermare che l'organizzazione è nel suo stadio iniziale, ma lo sviluppo sta procedendo tanto velocemente quanto le forze antagoniste lo permetteranno.

All'interno di questo organismo rappresentato dalla società, esistono numerosi organismi, più piccoli, alcuni dei quali sono: l'organismo industriale, vale a dire la formazione organica per la produzione e la circolazione della ricchezza; la chiesa; le società organizzate per la ricerca scientifica; le società formate per la discussione di temi di comune interesse (come questo club, per fare un esempio). E potrei andare avanti ancora per un pezzo nella mia enumerazione. Tutti questi organismi, all'interno delle società organizzate, sono forme volontarie, vale a dire anarchiche, per quanto riguarda la loro formazione. Per cui appare chiaro che l'anarchia non si oppone affatto all'organizzazione.

“Ma – si chiederà qualcuno – lo Stato non è anch'esso un organismo?”

“Sì”, risponderò io.

“E l'anarchia non si oppone allo Stato?”

“Sì”, risponderò io ancora più enfaticamente.

“Allora, non ne consegue che l'anarchia si oppone all'organizzazione?”

Lasciatemi allora indicare la ben nota regola della logica che afferma che ciò che è vero in un caso particolare non implica sia vero in tutti i casi. Il fatto che l'anarchia si opponga allo Stato, che è una organizzazione, non implica affatto che l'anarchia si opponga all'organizzazione – cioè al principio stesso dell'organizzazione.

La concezione anarchica ha una componente distruttiva come pure una costruttiva. Essendo l'anarchia la concezione che sostiene il godimento da parte di tutti di una pari libertà, è necessariamente opposta a tutto ciò che distrugge questa pari libertà, e, sotto la qualifica generale di “governo centrale”, pone tutte quelle istituzioni distruttive che agiscono proprio a tal fine. Con il termine governo centrale gli anarchici fanno riferimento ad un organismo che invade la libertà individuale anche quando essa non è invasiva nei confronti di altri. Io devo insistere sul fatto che, nella nostra discussione, il termine “governo centrale” sia impiegato con tale significato; e se, criticando le mie affermazioni, qualcuno di voi lo usasse con un significato differente, allora non state criticando quanto da me espresso ma solo qualcosa di vostra invenzione.

Si può, tuttavia, sostenere che, anche in questo senso, il governo centrale è definito solo in maniera imperfetta fino a quando noi non sappiamo ciò che costituisce e ciò che non costituisce una invasione della pari libertà delle persone, in ogni possibile caso. Io ammetto che esiste qui una difficoltà – che una linea non può essere tracciata in maniera del tutto categorica. Ma, diciamocelo chiaramente, coloro che avanzano questa obiezione, hanno forse da suggerire una soluzione? I loro tribunali, che amministrano una cosiddetta giustizia, hanno mai scoperto dove tracciare il confine? Hanno forse scoperto ciò che, come argomentazione contro una certa teoria sociale, si pretende essere introvabile? O, al contrario, hanno perpetrato delle invasioni alla pari libertà delle persone, così evidenti che anche la mente più ottusa non può non percepirle ed esprimere ad alta voce la sua ripugnanza? Invece, in una situazione di libertà, questo problema si attenuerà sempre più. Le persone si renderanno sempre più conto della loro reciproca dipendenza, e questa crescerà progressivamente con lo sviluppo dell'organismo sociale. E, coscienti di questa reciproca dipendenza, i singoli regoleranno queste piccole differenze sulla base della loro razionalità – un fatto spesso ostacolato dallo Stato.     

Ora, riprendiamo a trattare il punto principale: l'anarchia è necessariamente opposta a tutti i governi centrali. Lo Stato è essenzialmente una istituzione governativa centrale (vale a dire, invasiva) non solo nel suo agire rispetto ad altri organismi, ma anche nel modo di strutturarsi; esso invade la libertà dei suoi stessi membri. Quello che gli anarchici obiettano allo Stato, non è il fatto della organizzazione ma quello della direzione.

Eliminate dallo Stato la direzione invasiva, e nessun anarchico avrà da obiettare a ciò che resta. [1]

Dal momento che l’organizzazione accresce enormemente la forza e l’efficienza di chi è organizzato, l’anarchico vede nel governo centrale organizzato - vale a dire nella forma organizzata di invadenza - il tipo di aggressione che provoca i maggiori guasti e danni. La concezione che poggia sul godimento di una uguale libertà per tutti implica necessariamente la proprietà incondizionata dell’individuo sul suo proprio essere; da ciò ne consegue logicamente che l’individuo è proprietario anche di ciò che ha prodotto. La sottrazione al produttore del suo prodotto, senza il suo consenso, è definita dall’anarchico con il termine RAPINA.  Per questo l’anarchico si oppone alla rapina, a qualsiasi rapina. E, ancora una volta, egli individua nella rapina organizzata perpetrata dallo Stato, la sua forma più nefasta.

Attraverso l’apparato strumentale dello Stato, alcuni individui si trovano ad acquisire il monopolio nello sfruttamento di talune opportunità, alcune delle quali sono del tutto necessarie per la produzione di ricchezza, e altre molto utili a tale fine. Queste opportunità concernono la libertà nell’uso del suolo, la libertà di commercio, la libertà nell’impiego di qualsiasi mezzo di scambio accettato dalle persone, la libertà di inventare o di copiare, ecc. Il monopolio di queste opportunità è impensabile in assenza di governo. Il monopolio in tutti questi aspetti permette, a quanti lo detengono, di estrarre dal produttore un tributo giustificato dal fatto che gli si permette di utilizzare ciò che è stato monopolizzato. Questo tributo è fissato in una porzione del suo prodotto pari ai benefici ricavati dall’utilizzo del bene monopolizzato.

Ora, dal momento che monopolizzare le opportunità offerte dalla natura è il risultato dell’invasione della pari libertà di cui tutti dovrebbero godere, e ciò è opera del governo centrale, anche l'inevitabile conseguenza economica, e cioè l’estrazione di un tributo (che io credo, e sono abbastanza sicuro al riguardo, costituisce la parte maggiore dell’intero prodotto) è il risultato dell’esistenza del governo.

Questo è il frutto della rapina organizzata. Ma, va precisato ancora una volta, l’anarchico non è contro l’organizzazione ma contro la rapina. Certamente, senza la rapina, questa organizzazione non avrebbe alcuno scopo da compiere, e quindi cesserebbe di esistere.

Avendo visto che la concezione anarchica non si oppone all’organizzazione in sé stessa, procediamo un po’ oltre e vediamo se essa, in alcuni casi, promuove indirettamente forme organizzative, opponendosi a ciò che tende a prevenire o a ritardare l'organizzazione. Dal momento che l’organizzazione, come abbiamo visto, è il principio vitale di tutte le aggregazioni o associazioni, è ovvio che essa esisterebbe, in maniera naturale, in tutti quei casi in cui gli individui, membri di una associazione, lo ritenessero vantaggioso. E l’organizzazione emergerebbe rapidamente nella misura in cui le persone la trovassero vantaggiosa, a condizione che non esistessero altre forze volte a contrastarla. E tale contrasto costituirebbe necessariamente una invasione della libertà. Questo avviene quando esiste un governo. L'anarchia, opponendosi al governo centrale, promuoverebbe indirettamente la diffusione dell'organizzazione.

Ci sono numerosi casi di governi che si oppongono al fatto che le persone possano organizzarsi autonomamente. Prendiamo la società in generale. Esiste una tendenza generale che porta gli individui a muoversi fino a quando non hanno trovato un ambiente a loro congegnale. Contro questa tendenza si pone l’organizzazione governativa centrale - lo Stato - attraverso leggi su immigrazione ed emigrazione. Per cui abbiamo casi in cui, in parti del globo densamente popolate, lo Stato proibisce l’emigrazione, e, al tempo stesso, in luoghi relativamente poco popolati, proibisce l’immigrazione.

Nell’industria, l’interferenza governativa è così evidente che non c’è bisogno di mostrare casi particolari. Dovunque rivolgiamo l’attenzione, ci troviamo confrontati con tariffe, patenti, diritti esclusivi, licenze e parecchie altre disposizioni restrittive. E queste leggi hanno l’effetto sia di sottrarre risorse al produttore che di ritardare l’organizzazione industriale. Infatti, in assenza di queste interferenze, con una libera concorrenza, ognuno, dopo aver preso in esame le esigenze nell’ambito economico e le opportunità naturali offerte, sceglierebbe quella attività che si adatterebbe meglio alle sue specifiche capacità. Al giorno d'oggi, una persona effettua la scelta dopo aver calcolato le tasse, i carichi o, come le chiamerei io, le ruberie che sono legate al consumo di taluni prodotti e che tendono ad alterarne la domanda. Ora, se queste disposizioni di legge rimanessero inalterate, l’adattamento diventerebbe alla fine definitivo, e sebbene il produttore sarebbe ancora derubato del suo, l’organizzazione industriale, nel suo complesso, non sarebbe scombussolata. Ma, dal momento che esiste una lotta continua tra i rapinatori per accaparrarsi il bottino, e per altri motivi, le leggi subiscono continui cambiamenti e le energie, che in presenza della libertà, sarebbero impiegate per migliorare l’organizzazione industriale, sono sprecate a causa della necessità di riadattarsi alle mutevoli disposizioni degli agenti invasivi. Quindi è chiaro che le leggi ostacolano l’organizzazione industriale; mentre l'anarchia, dal momento che si oppone al governo centrale, che funzioni o meno, è un metodo volta al miglioramento della organizzazione sociale e industriale.

Molte organizzazioni non hanno in sé alcun elemento di governo invasivo e, parlando in generale, non sono direttamente ostacolate dal governo centrale; l'anarchia non le toccherebbe in maniera diretta. Queste organizzazioni sono la chiesa, i sindacati, e altre ancora. Dal momento che gli individui aderiscono ad esse volontariamente, si presume che costoro ne ricavino un beneficio. Tuttavia, spesso si sostiene che, persino in una organizzazione puramente volontaria, ci sono tracce di governo. Questa tesi è stata spesso utilizzata in questo club [il Franklin Club di Cleveland, Ohio] come argomento contro l’anarchia. “Persino nel Franklin Club non possiamo fare a meno di un governo; le decisioni sono prese a maggioranza, e abbiamo persino eletto un presidente del club alle cui decisioni noi ci atteniamo. Il governo è utile e necessario, e l’anarchia è una cosa impossibile.”

Esaminiamo un po’ questa tesi. L’anarchico, definendo il governo una invasione della libertà di una persona che non invade l’altrui libertà, fa una distinzione netta, non solo tra governo e resistenza al governo, ma anche tra governo e accordo tra le parti. Se un certo numero di persone, dando vita ad una organizzazione, si mettono d’accordo nell’agire secondo certe regole, ed altre persone si associano, in seguito, sulla base di questo accordo, allora la loro attività organizzata non ha nulla a che vedere con ciò che gli anarchici definiscono governo. E, a meno di dimostrare, nei fatti, che il governo, come lo definiscono gli anarchici [vale a dire, il dominio invasivo dell’altrui libertà] è qualcosa di “utile e necessario”, questa tesi non ha alcuna validità nei confronti della concezione anarchica. Io posso associarmi ad una organizzazione e accettare di rispettare le decisioni della maggioranza; nella misura in cui vige la libertà di secessione, il principio di libertà non è stato affatto violato. Io sono, in ogni momento, libero come sempre. Posso, in ogni istante, scegliere tra il perseguire un dato corso d’azione o rifiutarmi di farlo.

“Ma - ci viene detto - tu sei libero di secedere anche adesso; se non ti piacciono le leggi del paese, puoi andartene via.”

Questa affermazione ci porta al tema del territorio.

Mentre una pari libertà per tutti implica che ciò che è prodotto è proprietà del produttore, questo implica anche la non-proprietà di tutto ciò che non è stato prodotto. Ne segue quindi che tutto ciò che non è stato prodotto dall’essere umano (e il territorio cade sotto questa qualifica) può essere utilizzato o occupato solo a seguito di un accordo comune, dal momento che nessuno gode di un titolo maggiore di un altro. Gli anarchici che ritengono che vi sia un certo vantaggio a utilizzare alcuni territori rispetto ad altri, sostengono la necessità di una distribuzione paritaria dei benefici, in presenza di questa realtà. A colui che occupa un terreno di qualità superiore sarà garantito l’uso posto che ripartisca la differenza (la rendita fondiaria) con coloro che occupano terreni di qualità inferiore. Altri che credono che, in assenza di una proprietà fondiaria, le differenze naturali sarebbero inferiori al costo di distribuzione dei benefici, ne traggono la conclusione logica che una tale distribuzione dei benefici non avverrebbe in una situazione in cui tutti godessero della libertà, e che ognuno sarebbe sicuro nel suo possesso fino a quando occupasse e utilizzasse un dato pezzo di terra. Ma, in generale, si è concordi nel sostenere che, tutto ciò che non è prodotto da un individuo può essere utilizzato solo in seguito ad un accordo comune.

Ritorniamo ora al tema della secessione. Secondo la concezione anarchica, un luogo di incontro sarebbe occupato da una organizzazione, posto che esso sia un prodotto dell’attività umana (un edificio, ecc.), pagando al produttore una certa quota o scambiando un prodotto con un altro prodotto. Se invece il luogo non è un prodotto (un terreno, ecc.), sarebbe occupato da una organizzazione sulla base di un accordo generale della comunità. Se io mi sono associato volontariamente a questa organizzazione e sono d’accordo nel rispettare le decisioni della maggioranza oppure, in caso contrario, di secedere da tale organizzazione, io non ho, a seguito della mia secessione, nessun titolo di occupare un posto durante le riunioni. Ma, tra questo caso e quello di una persona che è invitata “a lasciare il paese se non gli piacciono le leggi in vigore” sussistono due differenze. La prima è che l'individuo non si è affatto associato espressamente alla organizzazione produttrice di leggi alle quali dovrebbe essere tenuto di conformarsi; in secondo luogo, nessuno gli contesta il suo titolo a risiedere nella località da cui gli è permesso di allontanarsi. Queste differenze sono vitali. L’analogia è quindi errata e la tesi è conseguentemente non valida.

Ho dovuto fare questa digressione per mostrare che la concezione anarchica non si oppone al potere decisionale della maggioranza, posto però che questo potere sia accettato volontariamente dagli individui e non imposto loro da un governo.

In sostanza, noi pensiamo che l’organizzazione sia il principio vitale di ogni aggregazione umana, e che la sua efficacia cresca con l’organizzazione. Inoltre, riteniamo che la relazione immediata o diretta dell’anarchia con l’organizzazione è definibile solo nel merito. Questo perché, essendo l’anarchia contraria alla presenza di un governo esterno, essa si oppone a tutte quelle organizzazioni che si basano, in qualche modo, sulla invasione dell’altrui libertà. E, per lo stesso motivo, tutte le organizzazioni che si strutturano volontariamente e che risulterebbero ostacolate da una invasione della loro libertà, sarebbero indirettamente favorite dall'anarchia.

E qui arriviamo ai motivi sottostanti la teoria anarchica, e cioè che il governo può essere di beneficio per i governanti ma non per i governati, o per la società nel suo complesso. E che il benessere materiale dell’individuo dovrebbe dipendere (eccetto per doni ricevuti o altro) solamente dalla sua capacità di produrre; vale a dire, dovrebbe dipendere dal suo gratificare i desideri dei suoi simili e non, come avviene nella situazione presente, soprattutto dalla sua abilità nel depredarli. Dal momento che ogni rapina dipende dal governo, e nei fatti è il governo che la compie indirettamente, la condizione ideale della società, e cioè l’anarchia, dipende da e sarà attuabile attraverso lo sviluppo della consapevolezza generale, cioè della generale percezione che giova a tutti, attraverso il rispetto reciproco, non interferire nelle altrui attività. A ciò si accompagnerà una riduzione al minimo della violenza tra gli esseri umani.

Se il ragionamento dell’anarchico è corretto, il potere del governo deve inevitabilmente ridursi; e se la sopravvivenza dei più adatti al vivere sociale è una norma universale, la produzione organizzata dovrebbe prevalere, in ultima istanza, sulla rapina organizzata.

Vediamo allora se le conclusioni raggiunte sulla base di questa teoria corrispondono con i fatti direttamente osservati. Troveremo che, mentre qualsiasi specifico governo centrale, secondo le leggi dell’organizzazione, tende a crescere e diventa più forte fino a quando perde la sua capacità di adattarsi all’ambiente circostante, e la dissoluzione disfa quello che ha compiuto l’evoluzione, il governo in generale (a causa dello sviluppo dell’organizzazione industriale e di altri progressi sociali) è sempre meno capace di adattarsi all’ambiente circostante e procede sulla strada della dissoluzione. [2]

Esaminando la concezione tradizionale e la storia del governo, troviamo che esso ha assunto una forma organica sulla base di una credenza popolare che assegnava a certe persone una origine divina. Le prime espressioni della tradizione rappresentavano i governanti come dei o semi-dei; e, naturalmente, assieme a credenze simili, esisteva la convinzione che i governanti dovessero avere un potere assoluto sui propri sudditi, arrivando persino a disporre della loro vita. In epoche un po' meno barbare, troviamo che queste convinzioni hanno subito delle modifiche. Il monarca, invece di essere ritenuto davvero un dio o un semi-dio, è concepito come un essere che possiede una autorità trasmessagli da dio ed è forse in possesso di una natura più o meno divina. In seguito, nel corso del processo civilizzatore, le opinioni correnti riguardo ai rapporti tra governanti e governati, hanno subito ulteriori cambiamenti. Il re, non più considerato un dio o un semi-dio, e neppure un discendente da dio, è ora visto come un semplice agente in nome di Dio. Successivamente, troviamo questa connessione divina del tutto negata, e in alcuni paesi il monarca è addirittura spogliato del potere di fare le leggi. Altri paesi hanno eliminato del tutto il monarca, e, almeno in teoria, è la maggioranza che governa la minoranza. Che la saggezza della maggioranza sia creduta o meno essere di natura divina, questo non sono stato ancora in grado di accertarlo. Comunque sia, la sacralità delle leggi è caduta in discredito e vi sono, al giorno d'oggi, delle persone che negano che un qualsiasi governo, autocratico o democratico, abbia il diritto di limitare la libertà degli individui. Questa è la storia di quella organizzazione chiamata governo, ed essa va esattamente nel senso sostenuto dalla concezione anarchica.

Tutto ciò prova che l'anarchia è una teoria della vita e dello sviluppo sociale, che essa promuove ogni organizzazione che è benefica non solo per gli individui che formano una società, ma anche per la società nel suo complesso, e che si oppone solo a qualsiasi organizzazione distruttiva dell'ordine e del benessere sociale.

Alla luce di ciò, arriviamo a comprendere che cosa ha voluto dire il famoso economista francese [3] quando ha dichiarato che “La libertà non è la figlia, ma la Madre dell'ordine.”

 


Note

[1] Questa posizione è simile a quella di Max Nettlau che accetta l'esistenza dello Stato come organismo volontario per coloro che hanno deciso espressamente di farne parte come membri. Vedi Max Nettlau, Panarchia. Un'idea dimenticata del 1860 (1909), in Panarchia, D Editore.

[2] Chiaramente l’autore non ha previsto che le guerre avrebbero dato nuovo impulso agli stati e avrebbero permesso la continuazione del loro esistere. Su questo tema si veda, in particolare, Randolph Bourne, La guerra è la salute dello Stato. (Libertaria, Volume Due, Documento 42).

[3] Pierre-Joseph Proudhon, Solution du problème social, Capitolo I, 1848 (Libertaria, Volume Due, Documento 1).

 

 


[Home] [Top]