Carlo Rosselli

Contro lo Stato

(1934)

 



Nota

Un testo magistrale sullo Stato che fa piazza pulita di tante idee false e di tanti miti ancora correnti presso gli ideologi di vario colore e i loro simpatizzanti, tutti sostanzialmente concordi nel considerare lo Stato una entità indispensabile e insostituibile.

Questo articolo è apparso su “Giustizia e Libertà” del 21 settembre 1934.

Segnalazione di Daniele Leoni.

 


 

Vi è un mostro, nel mondo moderno – lo Stato – che sta divorando la Società.

Lo Stato dittatoriale dei nostri giorni ha stravolto tutti i rapporti umani, puntellato tutti i privilegi, sostituito la libertà con la legge faziosa, l’eguaglianza con la disciplina di caserma e le caste. Al posto delle associazioni spontanee e creatrici ha fatto subentrare a forza una associazione coatta, gelida, impersonale, invadente, tirannica, inumana che distrugge tutta la vita sociale.

Questo Stato bisogna abbatterlo.

Nello Stato dittatoriale moderno, logica conclusione dello statalismo, non c’è infatti più posto per l’uomo. Lo Stato si è preso tutto l’umano. Nello Stato moderno c’è solo posto per l’impiegato e per il servo: il servo della produzione (ovverosia del capitale), il servo dell’amministrazione (ovverosia della burocrazia), il servo della razza o della grandezza imperiale (ovverosia della guerra).

Tra l’uomo e l’uomo, tra l’uomo e la società si è frapposto uno schermo invarcabile e opaco. Perfino tra l’uomo e le cose, in questo Stato dove tutti i valori sono falsati e corrotti, non sono quasi più possibili rapporti diretti e concreti; non è cioè quasi più possibile la conoscenza.

Lo Stato entra dovunque. Non gli basta vietare. Pretende dai soggetti il fare: un attivismo al tempo stesso frenetico e sottomesso. E perché il rapporto di soggezione e di prostituzione sia totale, costringe i suoi sudditi ad adorarlo, ad acclamarlo non più sotto specie di uomo a muso di toro, ma di uomo in carne, ossa e tracotanza.

L’alternativa è ormai chiara: o lui, lo Stato, schiaccia noi, la Società; o noi abbattiamo lo Stato moderno liberando la Società.
Non si chiede grande audacia di pensiero per immaginare l’abbattimento di questo Stato e la sua sostituzione con una nuova organizzazione subordinata agli interessi umani e al diritto sociale.

Perché questo Stato che sequestra tutta la vita sociale non data dall’eternità, non è per nulla necessario. Appena un secolo fa era un semplice organo della Società, o, se si preferisce, una delle tante società parziali, a scopi limitati che costituivano l’assieme sociale. Prima di Hegel, e soprattutto prima che i suoi più servili e filistei scolari avessero portato all’assurdo il suo pensiero per meglio asservire il popolo ai potenti, nessuno aveva concepito lo Stato come un assoluto, come l’universale, come una persona morale dotata di vita propria rispetto alla quale gli uomini non sarebbero più che miserabili mezzi. Nessuno, fino a tutto il ‘700, si sognava di dire che lo Stato impersonava l’idea divina sulla terra, e che la sola realtà spirituale, la vera libertà si potevano conquistare solo attraverso lo Stato – l’amministrazione! – e la totale sottomissione ai suoi scopi eccelsi.

Prima non esisteva lo Stato. Esistevano gli stati. Lo Stato era considerato come la più ampia delle organizzazioni in cui la coazione prevaleva sulla spontaneità; ma appunto per questo suo carattere coattivo le sue funzioni erano esterne e non andavano oltre una ben circoscritta serie di fini materiali: l’amministrazione, la difesa, l’ordine, la giustizia. Una rete fittissima di rapporti sfuggiva alla sua competenza, quando non gli si contrapponeva. Dal libero intrecciarsi di questi rapporti riceveva vita una serie innumerevole di associazioni, tanto più ricche di contenuto quanto più libere e limitate di estensione. In luogo dello Stato dispotico accentratore, un federalismo sociale.

Il prototipo di società federale antistatale si ebbe tra il XIII e il XV secolo coi Comuni, con le unioni libere ed egualitarie, rappresentate dalle città, le corporazioni, le università, le confraternite, le società dei compagnoni.

Col degenerare della vita comunale e corporativa e poi col sorgere degli Stati assoluti, la sfera della libertà sociale si trovò ristretta, ma tuttavia non abolita. Fuori dello Stato, sovente contro lo Stato, rimaneva una molteplicità di ordini sociali con i loro privilegi e diritti; rimaneva la Chiesa; lo Stato non invadeva, come ai nostri giorni, tutta la vita pubblica e privata.

Quand’è che nasce lo Stato moderno, o più semplicemente lo Stato con tutti i suoi germi oppressivi di cui oggi si vedono i frutti?

Col grande capitalismo industriale e con la democrazia giacobina. Agli inizi entrambi agirono come forze di liberazione, come agenti del progresso, per presto trasformarsi in forze di asservimento. Il capitale personale e liberistico divenne anonimo e monopolistico. La democrazia rivoluzionaria e sociale divenne conservatrice e formale. Finchè il capitale, eliminando anche gli ultimi resti delle libertà democratiche, conquistò lo Stato.

In poco più di un secolo i cittadini, trasformati in elettori, sono stati retrocessi a sudditi.

La guerra e la crisi hanno precipitato il processo statolatra. La guerra che ha dato allo Stato illimitati diritti sul sangue dei sudditi. La crisi che ha permesso allo Stato di controllarne il pane. Padrone del sangue e del pane, lo Stato, nei paesi fascisti, ora esige anche i cervelli e le coscienze.

L’alienazione dell’uomo in favore del mostro è così completa. Siamo in piena barbarie.

In questa lotta contro lo Stato la posizione da noi assunta può sembrare nuova solo a coloro che confondono socialismo e statalismo, le necessità della rivoluzione liberatrice e la dittatura fatta sistema di governo. Noi ci ricolleghiamo alla tradizione rivoluzionaria europea, a Proudhon, a Bakounine, allo stesso Marx. Divisi sulla tattica, essi tuttavia concordarono nel levarsi contro lo Stato, strumento dell’oppressione di classe; contro lo Stato, nemico della Società.

“La libertà – scriveva Marx nel 1875 (Critica al programma di Gotha) – consiste nel trasformare lo Stato, organo superiore della Società, in un organo ad essa interamente subordinato”. E nella Guerra civile in Francia definiva lo Stato “il parassita che si nutre della sostanza della Società e ne paralizza il libero arbitrio”. Abbiamo citato Marx perché a torto lo si ritiene uno statolatra. Statolatri sono troppi suoi seguaci attuali. La rivoluzione era per Marx, come per tutti i rivoluzionari del secolo scorso, sinonimo di emancipazione della persona umana e di federalismo integrale.

La conclusione è chiara: la rivoluzione italiana, se non vorrà degenerare in nuova statolatria, in più feroce barbarie e reazione, dovrà, sulle macerie dello Stato fascista capitalista, far risorgere la Società, federazione di associazioni quanto più libere e varie possibili.

Avremo bisogno anche domani di una amministrazione centrale, di un governo; ma così l’una come l’altro saranno agli ordini della società, e non viceversa.

L’uomo è il fine. Non lo Stato.

 


[Home] [Top]