Gustave de Molinari

Sulla produzione della sicurezza

(1849)

 



Nota

Gustave de Molinari (1819-1912), economista liberale, editore del Journal des Économistes dal 1881 al 1909, presenta le sue idee, molto avanzate ed originali, anche rispetto ai giorni nostri, sulla produzione della sicurezza. Queste idee saranno accantonate e ignorate per parecchi decenni. Eppure, la concezione che la sicurezza è un servizio come gli altri, che può essere fornito da produttori (agenzie) in concorrenza tra di loro, non aveva e non ha nulla di straordinariamente difficile da concepire e da accettare. Straordinario è invece il fatto che questa proposta abbia impiegato tanto tempo prima di essere conosciuta e dibattuta.

Questo testo è apparso sul Journal des Économistes, il 15 Febbraio 1849.

 


 

Esistono due maniere di considerare la società. Secondo alcuni, nessuna legge provvidenziale, immutabile, ha mai presieduto alla formazione delle diverse associazioni umane; organizzate in modo puramente fittizio da legislatori primitivi, esse possono essere, di conseguenze, cambiate o rifatte da altri legislatori, in sintonia con il progresso della scienza sociale. In questo sistema il governo gioca un ruolo considerevole, perché spetta al governo, in quanto depositario del principio di autorità, il compito di rifare, giorno dopo giorno, la società.

Secondo altri, al contrario, la società è un fatto puramente naturale; al pari della terra che la sostiene, ella si muove in virtù di leggi generali, pre-esistenti. In questo sistema, non vi è, propriamente parlando, una scienza sociale; esiste solo una scienza economica che studia l'organismo naturale della società e ne mostra il funzionamento.

Quale sia, in questo sistema, la funzione del governo e la sua organizzazione naturale, ecco ciò che noi ci proponiamo di esaminare.


I

Per ben definire e delimitare la funzione del governo, dobbiamo cercare di capire innanzitutto cosa è la società e quale è il suo fine.

A quale impulso naturale obbediscono gli esseri umani che si riuniscono in società? Essi obbediscono all'impulso, o, per dirla in maniera più esatta, all'istinto di sociabilità. La razza umana è essenzialmente socievole. Gli esseri umani sono portati dall'istinto a vivere in società.

Quale è la ragione d'essere di questo istinto?

L'essere umano sente una moltitudine di bisogni al cui soddisfacimento sono legate delle gioie mentre il non soddisfacimento causerebbe delle pene. Solo, isolato, egli non può provvedere che in maniera incompleta, insufficiente, a quei bisogni che lo sollecitano continuamente. L'istinto di sociabilità lo avvicina ai suoi simili, lo spinge a mettersi in comunicazione con loro. In quel momento, si forma, sotto l'impulso dell'interesse degli individui così raccolti, una certa divisione del lavoro, a cui fanno necessariamente seguito degli scambi; in sostanza, si assiste alla costituzione di una organizzazione, per mezzo della quale l'essere umano può soddisfare i suoi bisogni in maniera più esauriente di quanto lo potrebbe fare restando isolato.

Questa organizzazione naturale si chiama società.
Lo scopo della società è dunque il soddisfacimento più completo dei bisogni dell'essere umano; il mezzo per attuare ciò è la divisione del lavoro e lo scambio.

Tra i bisogni dell'essere umano, ve ne è uno di natura particolare e che gioca un ruolo notevole nella storia dell'umanità, ed è il bisogno di sicurezza.

Che cos'è questo bisogno?

Sia che vivano isolati o in società, gli esseri umani sono, innanzitutto, interessati a conservare la loro vita e i frutti del loro lavoro. Se il sentimento di giustizia fosse universalmente diffuso su tutta la terra; se, di conseguenza, ogni essere umano si limitasse a lavorare e a scambiare i frutti del suo lavoro, senza sognarsi di attentare alla vita degli altri o a impossessarsi, con la violenza o l'inganno, dei prodotti delle loro industriosità; se, detto in breve, ognuno avesse un orrore istintivo per ogni atto che nuoce all'altro, è certo che la sicurezza esisterebbe sulla terra come dato di fatto naturale, e che non ci sarebbe bisogno di alcuna istituzione artificiale per assicurarla. Purtroppo, non è così. Il sentimento di giustizia sembra essere in dotazione solo a certe nature elevate, eccezionali. Tra le razze inferiori non esiste che allo stato rudimentale. Ne conseguono gli innumerevoli attentati portati, dall'origine del mondo, dall'epoca di Caino e Abele, alla vita e alla proprietà delle persone.

Da ciò deriva la fondazione di istituzioni che hanno per obiettivo di garantire a ognuno il possesso tranquillo della sua persona e dei suoi beni.

Queste istituzioni hanno ricevuto l'appellativo di governi.

Dappertutto, all'interno delle popolazioni meno illuminate, si incontra un governo, talmente generale e urgente è il bisogno di sicurezza al quale esso provvede.
Dappertutto, gli esseri umani si rassegnano ai sacrifici più duri piuttosto che fare a meno di un governo, iniziando dalla sicurezza; e non si saprebbe affermare se, agendo in tal modo, essi facciano male i loro calcoli.

Supponete, in effetti, che un essere umano si trovi continuamente minacciato nella sua persona e nei suoi beni; la sua prima e più costante preoccupazione non sarebbe forse quella di proteggersi dai pericoli dell'ambiente circostante? Questa preoccupazione, questa attenzione, questo impegno assorbirebbero necessariamente la maggior parte del suo tempo, come pure le facoltà più vitali ed attive della sua mente. Di conseguenza, egli non potrà applicare al soddisfacimento dei suoi altri bisogni che una frazione insufficiente del suo lavoro e una attenzione logorata.

Allora, anche se questo essere umano fosse obbligato a cedere una parte molto considerevole del suo tempo e del suo lavoro a colui che si impegnasse a garantirgli un possesso sereno della sua persona e dei suoi beni, non gli sarebbe forse avvantaggioso concludere questo scambio?

Al tempo stesso, il suo interesse evidente sarebbe, nondimeno, quello di procurarsi la sicurezza al prezzo più basso possibile.

 

II

Se vi è una verità ben fondata in economia politica è la seguente:

In tutte le cose, per tutte le derrate alimentari che servono a soddisfare i suoi bisogni materiali e immateriali, il consumatore è interessato al fatto che il lavoro e lo scambio restino liberi, perché la libertà del lavoro e dello scambio ha come risultato necessario e permanente di abbassare al minimo il prezzo dei beni.

E quest'altra verità:

L'interesse del consumatore di un qualsiasi bene deve sempre prevalere sull'interesse del produttore.

Da cui risulta che:

Nessun governo dovrebbe godere del diritto di impedire ad un altro governo di stabilirsi in concorrenza con lui, o di obbligare i consumatori della sicurezza a rivolgersi esclusivamente a lui per l'acquisto di questo bene.

Eppure, devo riconoscere che, fino ad oggi, si è indietreggiati davanti a questo sbocco rigoroso del principio della libera concorrenza.

Uno degli economisti che hanno maggiormente esteso l'applicazione del principio della libertà, Monsieur Charles Dunoyer, pensa “che le funzioni dei governi non dovrebbero mai cadere sotto il dominio dell'attività dei privati.” [1]

Ecco allora una eccezione chiara ed evidente assegnata al principio della libera concorrenza. Questa eccezione è tanto più notevole in quanto essa è unica.

Senza dubbio, ci si imbatte in economisti che stabiliscono numerose eccezioni a questo principio; ma noi possiamo con sicurezza affermare che essi non sono dei puri economisti. I veri economisti sono generalmente d'accordo nel sostenere, da una parte, che il governo deve limitarsi a garantire la sicurezza dei cittadini; e dall'altra, che la libertà del lavoro e dello scambio deve essere, per tutto il resto, intera e assoluta.

Ma quale è la ragione d'essere di una eccezione riguardo alla sicurezza? Per quale ragione speciale la produzione della sicurezza non può essere lasciata alla libera concorrenza? Perché deve essere sottomessa ad un altro principio e organizzata in virtù di un altro sistema?

Su questo punto, i maestri della scienza tacciono, e Monsieur Dunoyer, che ha apertamente sostenuto l'eccezione, non si preoccupa di chiarire il motivo su cui essa poggia.

 

III

Noi siamo, di conseguenza, portati a chiederci se questa eccezione è fondata, e se lo può essere agli occhi di un economista.

Ripugna alla ragione credere che una legge naturale, ben dimostrata, comporti una qualche eccezione. Una legge naturale è dappertutto e per sempre, oppure essa non è tale. Io non credo, ad esempio, che la legge di gravità universale, che si applica al mondo fisico, sia sospesa in qualche caso e in certe parti dell'universo. Ora, io considero le leggi economiche come leggi naturali, e ho altrettanta fede nel principio della libertà del lavoro e dello scambio come ne posso avere nella legge di gravità universale. Penso quindi che, se questo principio può subire delle perturbazioni, cionondimeno esso non comporta alcuna eccezione.

Ma, se è così, la produzione di sicurezza non deve essere sottratta alla legge della libera concorrenza; e se essa lo è, la società tutta intera ne soffre un danno.

O questo è logico e vero, oppure i principi sui quali si fonda la scienza economica non sono affatto dei principi.

 

IV

Ci è stato dunque dimostrato, a noi che crediamo nei principi della scienza economica, che l'eccezione segnalata più sopra non ha alcuna ragione di essere, e che la produzione della sicurezza, come ogni altra, deve essere sottomessa alla legge della libera concorrenza.

Una volta acquisita questa convinzione, che ci resta da fare? Ci resta da indagare come sia possibile che la produzione della sicurezza non sia affatto sottomessa alla legge della libera concorrenza, e come mai essa è sottomessa a principi di tipo differente.

Quali sono questi principi?

Sono quelli del monopolio e del comunismo.

Non vi è, in tutto il mondo, un solo esercizio dell'industria della sicurezza, un solo governo che non sia basato sul monopolio o sul comunismo.

A questo riguardo faremo, di sfuggita, un semplice rilievo.
Considerando che l'economia politica ha condannato ugualmente il monopolio e il comunismo nei diversi rami dell'attività umana in cui ha, fino ad ora, identificato questi fenomeni, non sarebbe cosa strana e paradossale che essa li accettasse nell'industria della sicurezza?

 

V

Esaminiamo adesso come avviene che tutti i governi conosciuti siano sottomessi alla legge del monopolio, o organizzati in virtù del principio comunista.

Vediamo innanzitutto ciò che si intende per monopolio e per comunismo.

È una verità frutto dell'osservazione che più i bisogni dell'uomo sono urgenti e necessari, maggiori sono i sacrifici che egli accetta di sopportare per soddisfarli. Ora, vi sono cose che si trovano in abbondanza nella natura, e la cui produzione non richiede che un lavoro molto scarso; ma, servendo a placare quei bisogni urgenti e necessari, possono di conseguenza acquistare un valore di scambio fuori da ogni proporzione con il loro valore naturale. Citeremo ad esempio il sale. Supponete che un individuo o una associazione di individui riuscissero ad attribuirsi l'esclusiva della produzione e della commercializzazione del sale; è evidente che questo individuo o questa associazione potranno aumentare il prezzo di questo bene al di là del suo valore, molto al di sopra di quanto sarebbe venduto in regime di libera concorrenza.

Si dirà allora che questo individuo e questa associazione dispongono di un monopolio, e che il prezzo del sale è un prezzo di monopolio.
Ma è evidente che i consumatori non saranno affatto d'accordo a pagare la sovrattassa abusiva del monopolio; occorrerà costringerli, e per fare ciò occorrerà impiegare la forza.

Qualsiasi monopolio si appoggia necessariamente sulla forza.

Quando i monopolisti cessano di essere più forti dei consumatori che essi sfruttano, cosa accade?
Il monopolio finisce per scomparire sempre, o attraverso l'uso della violenza, o a seguito di un accordo pacifico. Che cosa lo sostituisce?

Se i consumatori che si sono sollevati e sono insorti, si impadroniscono dei mezzi di produzione dell'industria del sale, è molto probabile che essi confischeranno questa industria a loro profitto, e il loro primo pensiero sarà di non lasciarla alla libera concorrenza ma di sfruttarla, in comune, per conto loro. Essi nomineranno, di conseguenza, un direttore o un comitato di direzione per lo sfruttamento delle saline, e ad essi concederanno i fondi necessari per sostenere i costi di produzione del sale. Poi, dal momento che l'esperienza passata li avrà resi cupi e diffidenti, temendo che il direttore designato da loro non si appropri della produzione per il proprio tornaconto e non ricostituisca a suo profitto, apertamente o in maniera celata, l'antico monopolio, essi eleggeranno dei delegati, dei rappresentanti incaricati di votare i fondi necessari per i costi di produzione, di sorvegliarne l'utilizzo, e di esaminare se il sale prodotto è distribuito in maniera egalitaria tra tutti gli aventi diritto.
Così sarà organizzata la produzione del sale.

Questa forma di organizzazione ha ricevuto l'appellativo di comunismo.

Quando questo tipo di organizzazione si applica solo ad un bene, si parla di comunismo parziale.
Quando si applica a tutti i beni, si parla di comunismo totale.

Tuttavia, che il comunismo sia parziale o totale, l'economia politica non vede ciò di buon occhio in quanto non si tratta altro che di una diversa forma del regime monopolistico.


VI

Ciò che si afferma a proposito del sale non è chiaramente applicabile anche alla sicurezza? Non è forse questa la realtà storica di tutte le monarchie e di tutte le repubbliche?

Dappertutto, la produzione della sicurezza ha cominciato ad essere organizzata sotto forma di monopolio, e dappertutto, ai giorni nostri, tende ad organizzarsi come comunismo.

Ecco perché.

Tra i beni materiali e immateriali necessari all'essere umano, nessuno, se non forse il frumento, è più indispensabile, e non può, di conseguenza, reggere una tassa monopolistica più elevata.
E inoltre, nessun bene può, più facilmente, diventare un monopolio.

In effetti, quale è la condizione degli esseri umani che hanno bisogno della sicurezza? È la debolezza.
Quale è la condizione di coloro che intervengono per procurare questa sicurezza necessaria? È la forza.
Se la situazione fosse diversa, se i consumatori della sicurezza fossero più forti dei produttori, essi non farebbero certo ricorso al loro intervento.

Ora, se i produttori di sicurezza sono, fin dall'inizio, più forti dei consumatori, non possono forse facilmente imporre a costoro il regime del monopolio?

Dappertutto, all'origine delle società, si vedono le razze più forti, più guerriere, attribuirsi il governo esclusivo della società. Dappertutto si vedono queste razze arrogarsi, su determinati territori più o meno estesi, sulla base del loro numero e della loro forza, il monopolio della sicurezza.

Ed essendo questo monopolio notevolmente vantaggioso, in sé stesso, dappertutto si vedono le razze che sono investite di questo monopolio della sicurezza, ingaggiare lotte feroci al fine di accrescere l'estensione del loro mercato, e cioè il numero dei consumatori sottomessi a loro, e quindi l'ammontare dei loro benefici.

La guerra era la conseguenza necessaria e inevitabile della instaurazione del monopolio della sicurezza.

E, come ulteriore e inevitabile conseguenza, questo monopolio doveva generare tutti gli altri monopoli.

Prendendo in esame la situazione dei monopolisti della sicurezza, i produttori degli altri beni non potevano fare a meno di riconoscere che nulla al mondo poteva essere più vantaggioso di un monopolio. Di conseguenza, essi finivano per essere tentati, a loro volta, ad aumentare, attraverso lo stesso processo, i profitti della loro industria. Ma, per accaparrarsi, a svantaggio dei consumatori, il monopolio del bene che essi producevano, di che cosa avevano bisogno? Avevano bisogno della forza. Ora, questa forza necessaria per schiacciare le resistenze dei consumatori specifici, costoro non la possedevano affatto. Che cosa fecero allora? La ricevettero in prestito, pagandola, da coloro che la possedevano. Essi sollecitarono e ottennero, a un certo prezzo, il privilegio esclusivo di installare le loro industrie in certe circoscrizioni determinate.

Dal momento che la concessione di questi privilegi faceva incamerare ai produttori della sicurezza somme considerevoli di denaro, il mondo fu ben presto coperto di monopoli. Il lavoro e lo scambio furono dappertutto vincolati, incatenati, e la condizione delle masse rimase la più miserevole possibile.

Eppure, dopo lunghi secoli di patimenti, il lume della ragione diffondendosi a poco a poco nel mondo, le masse, che erano soffocate da questa trama di privilegi, cominciarono a reagire e a richiedere la libertà, e cioè la soppressione dei monopoli.

Ci sono stati allora parecchi cambiamenti. Che cosa è avvenuto, ad esempio, in Inghilterra? La stirpe che governava il paese e che era organizzata in compagnie feudali, avendo in cima un capo ereditario (il re), e un consiglio d'amministrazione parimenti ereditario (la Camera dei Lord), fissò all'inizio, al tasso che gli conveniva, il prezzo della sicurezza di cui aveva il monopolio. Tra i produttori e i consumatori della sicurezza non vi era nessun dialogo. Imperava il regime del puro arbitrio. Ma, col passare del tempo, i consumatori, avendo preso coscienza del loro numero e della loro forza, si sollevarono contro il regime del puro arbitrio e ottennero di discutere con i produttori il prezzo di quel bene. A tale scopo, essi designarono dei delegati che si riunirono nella Camera dei Comuni, al fine di discutere l'ammontare dell'imposta, e cioè il prezzo della sicurezza. Così facendo essi ottennero di essere meno spremuti. Tuttavia, i membri della Camera dei Comuni, essendo nominati sotto l'influenza diretta dei produttori della sicurezza, il dibattito non era trasparente, e il prezzo del bene sicurezza continuava ad essere superiore al suo valore naturale.

Un bel giorno, i consumatori sfruttati in tal modo insorsero contro i produttori e li spogliarono della loro industria. A quel punto iniziarono essi stessi a esercitare questa industria e scelsero a tal fine un direttore organizzativo assistito da un consiglio. Era il comunismo che si sostituiva al monopolio. Ma il sistema non ebbe successo e, venti anni più tardi, il monopolio primitivo fu reintrodotto. Però, a differenza di prima, i monopolisti ebbero la saggezza di non ritornare al regime del puro arbitrio; essi accettarono di discutere liberamente riguardo all'imposta, avendo cura, nondimeno, di corrompere senza sosta i delegati della parte avversa. Essi misero a disposizione di questi delegati un parte degli impieghi dell'amministrazione della sicurezza, ed arrivarono persino ad ammettere i più influenti all'interno del loro consiglio superiore. Certamente nulla era più scaltro di una tale condotta. E tuttavia, i consumatori della sicurezza finirono per accorgersi di tali abusi ed essi chiesero la riforma del Parlamento. A lungo rifiutata, la riforma fu infine conquistata e, da quel momento in poi, i consumatori hanno ottenuto un notevole alleggerimento del loro carico impositivo.

In Francia, il monopolio della sicurezza, dopo avere ugualmente subito frequenti vicissitudini e parecchie modifiche, è stato rovesciato una seconda volta [Molinari fa riferimento alle sommosse del 1848, N.d.T.].
Come un tempo in Inghilterra, a questo monopolio esercitato dapprima a favore di una casta, e in seguito a nome di una certa classe della società, si è sostituita la produzione in comune. La totalità dei consumatori, considerati come azionisti, ha designato un direttore incaricato, per un certo periodo, della messa a frutto, e una assemblea incaricata di controllare gli atti del direttore e della sua amministrazione.

Noi ci limiteremo a fare una semplice osservazione riguardo a questo nuovo regime.

Come il monopolio della sicurezza doveva logicamente generare tutti gli altri monopoli, così il comunismo della sicurezza deve logicamente generare tutti gli altri comunismi.

In effetti, delle due cose l'una:

O la produzione comunista è superiore alla produzione libera, o non lo è affatto.
Se sì, essa lo è non solo per la sicurezza, ma per tutte le cose.
Se no, il progresso consisterà inevitabilmente nel rimpiazzare la produzione comunista con la produzione libera.

Comunismo completo o libertà completa, ecco l'alternativa!


VII

Ma, si può concepire che la produzione della sicurezza sia organizzata se non come monopolio o comunismo? Si può immaginare che essa sia lasciata alla libera concorrenza?

A questa domanda gli autori politici rispondono all'unanimità: No.

Perché, ci chiediamo noi.

Perché questi autori, che si occupano soprattutto dei governi, non conoscono la società; essi la considerano come una opera fittizia, che i governi hanno per missione costante di modificare o di rifare.

Ora, per modificare o rifare la società, occorre necessariamente essere dotati di una autorità superiore a quella delle differenti individualità di cui si compone la società.

Questa autorità che dona loro il diritto di modificare o di rifare a modo loro la società, di disporre come a loro piace delle persone e delle proprietà, i governi favorevoli al monopolio affermano di riceverla da Dio stesso; per i governi comunisti questa autorità deriva loro dalla ragione umana che si manifesta attraverso la maggioranza del popolo sovrano.

Ma questa autorità superiore, irresistibile, i governi monopolisti e i governi comunisti la posseggono veramente? Dispongono essi, nella realtà, di una autorità superiore a quella che potrebbero avere dei governi liberi? Ecco quello che occorre esaminare.


VIII

Se fosse vero che la società non potesse affatto organizzarsi naturalmente; se fosse vero che le leggi in virtù delle quali essa muta dovessero essere incessantemente modificate o rifatte, i legislatori avrebbero necessariamente bisogno di una autorità permanente e sacra. Continuatori della Provvidenza sulla terra, essi dovrebbero essere rispettati quasi come se fossero uguali a Dio. Se fosse diversamente, come sarebbe possibile assolvere la loro missione? Infatti, non si interviene nelle vicende umane, non ci si avventura a dirigerle e regolarle senza intaccare ogni giorno una molteplicità di interessi. A meno che i depositari del potere non siano considerati come appartenenti ad una essenza superiore o incaricati di una missione provvidenziale, gli interessi lesi oppongono resistenza.

Da lì la finzione del diritto divino.

Questa finzione era certamente la migliore che uno potesse immaginare. Se voi arrivate a persuadere la folla che Dio stesso ha scelto certi uomini e certe razze per dare leggi alla società e governarla, nessuno si sognerà certo di ribellarsi contro questi eletti della Provvidenza, e tutto quello che il governo farà sarà ben fatto. Un governo di diritto divino è imperituro.

A una sola condizione, che uno creda nel diritto divino.

In effetti, se uno arriva a pensare che coloro che guidano i popoli non ricevono affatto ispirazione diretta dalla Provvidenza, ma che essi obbediscono a degli impulsi puramente umani, il prestigio che li circonda scomparirà, e la persona farà una resistenza irriverente alle decisioni sovrane dei governanti, come si resiste a tutto ciò che proviene dagli uomini, a meno che il vantaggio non sia chiaramente dimostrato.

È davvero curioso vedere con quanta cura i teorici del diritto divino si sforzino di fissare la superiorità sovrumana delle razze che governano gli uomini.

Sentiamo, per esempio, cosa dice Joseph de Maistre al riguardo:

“L'essere umano non può eleggere dei sovrani. Al massimo, egli può servire da strumento per far decadere un sovrano e affidare lo Stato ad un altro sovrano che è già principe. Del resto, non è mai esistita una famiglia di sovrani a cui possa essere attribuita una origine plebea. Se questo fenomeno facesse la sua apparizione, allora si tratterebbe della fine di una epoca.

È scritto: Sono io che faccio i sovrani. Questa non è una frase di chiesa, una metafora da predicatore; è una verità da prendere alla lettera, semplice e palpabile. È una legge del mondo politico. Dio fa i re, letteralmente. Egli prepara le razze reali, le nutre in mezzo a una nuvola che cela la loro origine. Esse appaiono in seguito coronate di gloria e di onore; esse si collocano.” [2]

Sulla base di questo sistema, che incarna la volontà della Provvidenza in taluni esseri umani e che riveste questi eletti, questi unti, di una autorità quasi-divina, i sudditi non hanno evidentemente alcun diritto; essi devono sottomettersi, senza indugio, ai decreti dell'autorità sovrana, come se si agisse di decreti della Provvidenza stessa.

Il corpo è lo strumento dell'anima, diceva Platone, e l'anima è lo strumento di Dio. Secondo la scuola del diritto divino, Dio sceglierebbe alcune anime e se ne servirebbe come strumenti per governare il mondo.

Se gli esseri umani avessero fede in questa teoria, di sicuro nulla potrebbe mandare a pezzi un governo di diritto divino. Sfortunatamente, essi hanno smesso del tutto di crederci. Perché?

Il fatto è che un bel giorno si sono messi ad esaminare e a ragionare, ed esaminando e ragionando, essi hanno scoperto che i loro governanti non li dirigevano meglio di quanto avrebbero potuto fare essi stessi, semplici mortali che non disponevano di un contatto diretto con la Provvidenza.

Il libero esame ha svilito la finzione del diritto divino, a tal punto che coloro che sono soggetti a monarchi o aristocratici non ubbidiscono più, a meno che non credano che sia nel loro interesse farlo.

La finzione comunista ha avuto una sorte migliore?

Sulla base della teoria comunista, di cui Rousseau è il grande sacerdote, l'autorità non discende più dall'alto ma proviene dal basso.
Il governo non la richiede più alla Provvidenza, ma agli uomini riuniti, alla nazione, una, indivisibile e sovrana.

Ecco quello che suppongono i comunisti, partigiani della sovranità del popolo. Essi pensano che la ragione umana ha il potere di scoprire le leggi migliori e l'organizzazione la più perfetta, adatta alla società; e che, nella pratica, è a seguito di un libero dibattito tra opinioni divergenti che le leggi emergono; che, se non vi è unanimità, se vi sono divisioni anche dopo la discussione, è la maggioranza che ha ragione, in quanto contiene un numero superiore di individui raziocinanti (si suppone, ben inteso, che questi individui siano tutti uguali, altrimenti l'impalcatura crolla); di conseguenza, essi affermano che le decisioni della maggioranza devono diventare legge, e che la minoranza è tenuta a sottomettersi, anche nei casi in cui tali leggi ferirebbero le sue convinzioni più radicate e i suoi interessi più cari.

Questa è la teoria; ma, nella pratica, l'autorità delle decisioni della maggioranza ha davvero questo carattere irresistibile, assoluto che gli viene attribuito? È essa, sempre e in tutti i casi, rispettata dalla minoranza? Lo può essere?

Prendiamo un esempio.

Supponiamo che il socialismo riesca a diffondersi tra le classi lavoratrici delle campagne, come si è già diffuso tra le classi operaie delle città; in sostanza, supponiamo che si trovi maggioritario nel paese e che, profittando di questa situazione, invii all'Assemblea legislativa una maggioranza socialista ed elegga un presidente socialista; supponiamo che questa maggioranza e questo presidente, investiti dell'autorità sovrana, decretino, come richiesto da un celebre socialista, che si applichi una imposta di tre miliardi sui ricchi con l'obiettivo di organizzare il lavoro dei poveri. È davvero probabile che la minoranza si sottometterà, senza reagire, a questo esproprio iniquo e assurdo, ma legale e costituzionale?

Certamente che no. La minoranza non esiterà a disconoscere l'autorità della maggioranza e a difendere le sue proprietà.

Quindi, sotto questo regime, come sotto il precedente, non si obbedisce ai depositari dell'autorità se non nella misura che si ritiene di avere interesse a obbedire loro.

E questo ci porta ad affermare che il fondamento morale del principio di autorità non è né più solido né più diffuso, sotto il regime del monopolio o del comunismo, di quanto potrebbe essere sotto il regime della libertà.


IX

Ma, ammettete che i partigiani di una organizzazione artificiosa, monopolisti o comunisti, abbiano ragione; che la società non si auto-organizzi affatto in maniera spontanea, e che agli esseri umani incombe incessantemente il compito di fare e disfare le leggi che li regolano; vedete allora in quale pietosa situazione si troverebbe il mondo. L'autorità morale dei governi, non appoggiandosi, in realtà, che sull'interesse dei governati, dal momento che costoro hanno una tendenza naturale a fare resistenza nei confronti di tutto quello che ferisce il loro interesse, occorrerà che la forza materiale vada continuamente a soccorrere l'autorità misconosciuta.

I monopolisti e i comunisti, del resto, hanno perfettamente compreso questa necessità.

Se qualcuno, afferma Monsieur de Maistre, cerca di sottrarsi all'autorità degli eletti da Dio, che sia prontamente affidato al braccio secolare, che il boia assolva il suo compito.

Se qualcuno disconosce l'autorità degli eletti del popolo, affermano i teorici della scuola di Rousseau, se egli resiste a una qualsiasi decisione della maggioranza, che sia punito come un criminale che ha commesso un danno nei confronti del popolo sovrano, e che l'apparato ne faccia giustizia.

Queste due scuole, che hanno come punto di partenza l'organizzazione artificiale, sfociano dunque necessariamente nell'utilizzo dello stesso strumento, e cioè il TERRORE.


X

Che ci si permetta di formulare una semplice ipotesi.

Immaginiamo una società che nasce: gli esseri umani che la compongono si mettono a lavorare e a scambiare i frutti del loro lavoro. Un istinto naturale rivela a costoro che la loro persona, la terra che essi occupano e coltivano, i frutti del loro lavoro, tutto ciò è loro proprietà, e che nulla, al di fuori di loro, ha il diritto di disporre o di maneggiare queste cose. Questo istinto non è ipotetico, esso esiste. Ma, essendo l'essere umano una creatura imperfetta, avviene che questo sentimento del diritto di ciascuno sulla sua persona o sui suoi beni non si riscontra nella stessa misura in tutte le persone, e che certi individui mettono a repentaglio, con la violenza o con l'inganno, la vita o la proprietà altrui.

Da ciò ne consegue la necessità di una industria che prevenga o reprima queste aggressioni perpetrate con la violenza o con l'inganno.

Che un individuo o una associazione di persone venga e dica:

Io mi incarico, dietro pagamento, di prevenire o di reprimere qualsiasi tentativo contro le persone e le proprietà.
Che coloro che vogliono mettere le loro persone e le loro proprietà al riparo da ogni aggressione si rivolgano a me.

Prima di affidarsi commercialmente a questo produttore della sicurezza, che cosa faranno i consumatori?

In primo luogo, essi cercheranno di sapere se quella persona è abbastanza potente da proteggerli.
In secondo luogo, se egli offre delle garanzie morali tali che non si possa temere da parte sua alcuna delle aggressioni che egli si offre di reprimere.
In terzo luogo, se esiste un altro produttore di sicurezza che, presentando simili garanzie, non sia disponibile a fornire questo bene a condizioni migliori.

Queste condizioni sarebbero di vario tipo.

Per essere in grado di garantire ai consumatori piena sicurezza per le loro persone e le loro proprietà e, in caso di danno, versare un indennizzo proporzionato al danno subito, occorrerà, in effetti:

1.Che il produttore fissi certe pene contro gli offensori delle persone e i predatori delle proprietà, e che i consumatori accettino di sottomettersi a queste pene, nel caso che essi stessi commettano delle aggressioni contro le persone e contro le proprietà;
2.Che egli imponga ai consumatori del bene certi obblighi che mirano a facilitare la scoperta degli autori dei delitti;
3.Che egli percepisca regolarmente, per coprire i suoi costi di produzione così come il ricavo che spetta per natura al suo impegno, un certo premio di assicurazione, variabile secondo la situazione dei consumatori, le loro occupazioni specifiche, la grandezza, il valore e la tipologia delle loro proprietà.

Se queste condizioni, necessarie all'esercizio di questa industria, convengono ai consumatori, l'accordo sarà concluso; altrimenti i consumatori o faranno a meno della sicurezza, o si indirizzeranno verso un altro produttore.

Attualmente, se si considera la natura particolare dell'industria della sicurezza, ci si accorgerà che i produttori saranno obbligati a limitare la loro clientela a certe circoscrizioni territoriali. Essi non coprirebbero evidentemente i loro costi se pensassero di mantenere una polizia nelle località in cui essi non contano che pochi clienti. La loro clientela si raggrupperà spontaneamente intorno alla sede della loro industria. Cionondimeno, essi non potranno abusare di questa situazione per imporre le proprie leggi ai consumatori. In caso di un incremento ingiustificato del prezzo della sicurezza, costoro avranno, in effetti, la possibilità di affidarsi a un nuovo imprenditore, o a un imprenditore già presente in zona.

Da questa facoltà lasciata al consumatore di acquistare la sicurezza dove a lui pare meglio, nasce una costante emulazione tra tutti i produttori, ciascuno sforzandosi, con l'attrattiva di un prezzo più basso o di una giustizia più rapida, più completa, migliore, di incrementare la sua clientela o di conservarla [3].

Qualora, al contrario, il consumatore non sia libero di acquistare la sicurezza dove gli pare meglio, allora vedrete ampie possibilità di far carriera attraverso l'arbitrio e la cattiva gestione. La giustizia diviene costosa e lenta, la polizia vessatoria, la libertà individuale cessa di essere rispettata, il prezzo della sicurezza oltremodo esagerato, prelevato in maniera ineguale, sulla base della forza, dell'influenza di cui dispone questa o quella classe di consumatori, gli assicuratori si fanno una guerra accanita per accaparrarsi i consumatori. In una parola, si vedono sorgere, uno dietro l'altro, tutti gli abusi inerenti al monopolio o al comunismo.

Sotto il regime della libera concorrenza, la guerra tra i produttori della sicurezza non ha più ragione d'essere. Perché si farebbero la guerra? Per conquistarsi dei consumatori? Ma i consumatori non si lascerebbero conquistare. Essi eviterebbero con cura di far assicurare le loro persone e i loro beni a degli individui che avrebbero attentato, senza alcun scrupolo, alle persone e alle proprietà dei loro concorrenti. Se un audace vincitore volesse imporre loro la sua legge, essi chiederebbero immediatamente l'aiuto di tutti i consumatori liberi che, anche loro, si sentirebbero minacciati da questa aggressione, e tutti assieme farebbero giustizia. Come la guerra è la conseguenza naturale del monopolio, così la pace è la conseguenza naturale della libertà.

In una situazione di libertà, l'organizzazione naturale dell'industria della sicurezza non sarebbe differente da quella delle altre industrie. Nei piccoli centri un semplice imprenditore sarebbe sufficiente. Questo imprenditore lascerebbe la sua industria a suo figlio, o la cederebbe ad un altro imprenditore. Nei centri più estesi, solo una compagnia sarebbe in grado di riunire le risorse necessarie per esercitare in maniera efficace questa funzione importante e difficile. Ben diretta, questa compagnia potrebbe facilmente durare nel tempo e anche la sicurezza mantenersi a lungo. Nell'industria della sicurezza, come pure nella maggior parte degli altri rami della produzione, quest'ultimo modo di organizzazione finirebbe probabilmente per sostituirsi al primo.

Ci sarebbe da una parte la monarchia, dall'altra parte la repubblica; ma la monarchia senza il monopolio, e la repubblica senza il comunismo.

In tutti e due i casi ci sarebbe l'autorità accettata e rispettata in nome dell'utilità, e non l'autorità imposta con il terrore.

Che una tale ipotesi possa realizzarsi, ecco ciò che sarà senza dubbio contestato. Ma, a rischio di essere qualificato come un utopista, diremo che tutto ciò non può essere contestato, e che un esame attento dei fatti risolverà, sempre più a favore della libertà, il problema del governo, come pure tutti gli altri problemi economici. Noi siamo del tutto convinti, per quanto ci riguarda, che delle comunità si formeranno un giorno per reclamare la libertà di governo, come se ne sono formate per reclamare la libertà di commercio.

E non esitiamo ad aggiungere che, quando quest'ultimo progresso sarà realizzato, ogni ostacolo artificiale alla libera azione delle leggi naturali che reggono il mondo economico sarà scomparso, e la condizione dei diversi membri della società diventerà la migliore possibile.

 


 

Note dell'autore

[1] Nella sua rimarchevole opera De la liberté du travail, t. III, p. 363, éd. Guillaumin.

[2] Du principe générateur des constitutions politiques. - Préface.

[3] Adam Smith, il cui ammirevole spirito d'osservazione si posava su tutti i fenomeni, nota che l'amministrazione della giustizia è migliorata notevolmente, in Inghilterra, a seguito della concorrenza che si facevano le diverse Corti:

"Gli onorari della corte sembrano essere stati il supporto principale delle diverse corti di giustizia in Inghilterra. Ogni corte cercava di attirare a sé quanti più casi possibile e, per questo, era disposta a prendere nota di molti procedimenti che non dovevano originariamente cadere sotto la sua giurisdizione. La Corte di Giustizia del Re, istituita per le sole cause criminali, intervenne nelle cause civili; la parte lesa pretendeva che la persona citata in giudizio, non rendendo giustizia, era colpevole di un qualche abuso o scorrettezza. La Corte dello Scacchiere, istituta per la raccolta delle tasse a favore del re e per imporre i pagamenti di tali debiti solo quando dovuti al re, prese a occuparsi anche di altri tipi di debiti relativi a contratti, quando la parte lesa sosteneva di non poter assolvere ai suoi obblighi di pagamento verso il re in quanto la persona citata in giudizio non lo pagava. A seguito di tali vicende, si è giunti, in molti casi, a dipendere dalle parti nella scelta della corte davanti alla quale esse volevano presentare la loro causa; e ogni corte tentava, attraverso uno svolgimento pronto e accurato della causa, di attirare a sé il maggior numero di procedimenti. La costituzione attuale ammirevole delle corti di giustizia in Inghilterra deriva, forse, alla base e in gran parte, da questa emulazione che in passato ebbe luogo tra diversi tipi di giudici; ogni giudice cercava di amministrare la giustizia, nella sua corte, nella maniera più rapida possibile, fornendo i rimedi più appropriati al caso, sulla base della legge, per ogni sorta di ingiustizia." (La Ricchezza delle Nazioni, Libro 5, Capitolo I)

 


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