Gian Piero de Bellis

Alla scoperta di Paul-Émile de Puydt

(2008)

 



Nota

Questo scritto breve era, all'origine, l'introduzione ad una edizione stampata del testo Panarchia di Paul-Émile de Puydt. La pubblicazione non ha poi avuto luogo in quanto sono stato impegnato con l'organizzazione di un Centro di Ricerca e Documentazione sulla Panarchia e temi collegati.
Lo scritto introduttivo viene quindi presentato qui per la prima volta in occasione dei dieci anni di esistenza del sito panarchy.org e come stimolo ad una lettura del bellissimo testo di de Puydt, a più di 150 anni dalla sua apparizione.

 


 

Nel Gennaio del 2001 ricevetti una lunghissima interessante e-mail da una persona di nome John Zube che mi scriveva dall’Australia, più precisamente da Berrima, nell’Australia sud-orientale.

In quel messaggio, dopo aver manifestato un certo interesse per un testo che avevo diffuso sul Web alcuni mesi prima (Poliarchia: un manifesto), scritto che egli esaminava criticamente in lungo e in largo, mi chiedeva se la parola “panarchia” da me utilizzata verso la fine del saggio, fosse impiegata con lo stesso significato con cui l’aveva introdotta nel 1860 Paul Emile de Puydt.

A quei tempi ignoravo del tutto il fatto che un’altra persona, molto prima di me, avesse usato il termine “panarchia” che ritenevo un prodotto della mia immaginazione e della mia tendenza a inventare parole. Per cui, all’inizio ho pensato che egli si prendesse gioco di me.

Passato il primo momento di dubbio e di sconcerto, ho iniziato a cercare informazioni su de Puydt e sui suoi scritti. A quei tempi (parlo solo di alcuni anni fa e precisamente dei primi mesi del 2001) non c’era alcuna traccia di questo autore neanche nei siti Belgi, la qual cosa mi apparve abbastanza strana considerando che la persona era nata nelle Fiandre.

Per quanto riguarda la versione originale del testo, in Francese, anche di essa nessuna traccia se non una traduzione in inglese fatta, alcuni anni prima, proprio da John Zube. Da un ulteriore messaggio appresi che la fotocopia del testo francese che John Zube possedeva era andata persa quando lui aveva lasciato l’Europa per l’Australia alla fine degli anni ‘50.

Appurato che lo scritto esisteva, volevo assolutamente leggerlo in versione originale, per cui mi sono messo alla ricerca.

La Bibliothèque Royale de Belgique mi è apparsa subito come il luogo più sicuro dove trovare informazioni. Per cui ho inviato un messaggio al responsabile. Sono passati alcuni giorni senza che ricevessi alcuna risposta. Allora ho scritto al Belgium Libis-Net che è il consorzio delle Biblioteche del Belgio che gestisce il catalogo unificato dei documenti disponibili. Anche in questo caso nessuna risposta immediata.

Scoraggiato dall’insuccesso, trovandomi ad Oxford, ho chiesto aiuto ad una mia amica bibliotecaria alla Bodleian Library. Una ricerca sul database WorldCat ha localizzato il testo su microfilm presso la Library of Congress di Washington.

Mi stavo accingendo a chiedere loro che me ne mandassero una fotocopia quando, ai primi di Aprile del 2001, mi giunge un messaggio da Bruxelles da parte di una bibliotecaria della Bibliothèque Royale de Belgique con la richiesta del mio indirizzo postale in quanto il saggio era disponibile presso di loro e potevano inviarmene una copia.

Nel frattempo, ero stato talmente conquistato da una prima lettura del testo nella traduzione inglese dello Zube che avevo deciso di aprire un sito Web (www.panarchy.org) mirante specificatamente a presentare, nell'originale e in varie lingue, un documento così interessante.

A un primo approccio il testo può apparire quasi del tutto incomprensibile a persone abituate a ragionare esclusivamente in termini di territorialismo e di sovranità territoriale dello stato. Lo stesso effetto, è immaginabile, fecero i primi scritti sulla tolleranza religiosa presso coloro che si erano assuefatti alle guerre di religione e consideravano del tutto naturale che una sola fede religiosa avesse diritto di esclusività, cioè il diritto di mettere al bando tutte le altre, nell’ambito di uno specifico territorio.

Quello che a noi adesso appare normale e incontrovertibile nella sfera della pratica religiosa (cioè molte religioni che sono praticate in uno stesso territorio) era del tutto inconcepibile solo alcuni secoli fa. Allo stesso modo, è assai probabile che la tolleranza politica attuata attraverso l’esistenza nella stessa regione di vari governi che funzionano in competizione tra di loro, apparirà del tutto normale in tempi futuri mentre adesso, a molti, non sembra altro che un’idea assurda e impraticabile.

Come già evidenziato da Arthur Schopenhauer, la verità, prima di emergere, passa generalmente attraverso tre fasi: nella prima fase essa è ridicolizzata, poi è violentemente contrastata, e infine è accettata come un dato del tutto naturale.

Nell’era di Internet, delle comunità virtuali e del villaggio globale, il concetto e la pratica della Panarchia sono davvero una soluzione mirabile di fronte a qualsiasi complessità e complicazione sociale. La proposta di de Puydt si applicherebbe in particolare, come rimedio prodigioso, in tutti quei casi (e non sono pochi, dalla Palestina all’Irak per citare solo gli esempi più attuali e laceranti) in cui diversi gruppi culturali o etnie vivono l'una accanto all'altra.

Ogni comunità potrebbe farsi amministrare da un proprio governo, senza divisioni territoriali, muri separatori o contrapposizioni politiche. Già in passato nel Medio Oriente mercanti di diversa provenienza geografica erano soggetti a leggi diverse facenti riferimento al loro paese d’origine pur vivendo e commerciando in uno stesso luogo, senza che ne sorgessero problemi o complicazioni insolubili.

In sostanza, se non rinnoviamo radicalmente le concezioni sul modo di organizzare le nostre relazioni sociali ci troveremo ad affrontare problemi giganteschi generati dallo sviluppo tecnologico e dalla voglia di libertà e di autonomia di un numero crescente di esseri umani, con strumenti politici che sanno più di feudalesimo che di nuovo millennio.

Intrappolati in una simile situazione, subiremo un continuo degrado personale e sociale, prigionieri ottusi di vecchi miti e di antiche superstizioni.

 


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