Josiah Warren

Il commercio equo

(1846)

 


 

Nota

Le idee qui presentate furono la base dell’esperimento condotto dal 1827 al 1830 da Josiah Warren nel suo Cincinnati Time Store.

La semplicità di alcune formulazioni non deve farci trascurare la originalità e attualità di alcune delle idee espresse. In ogni caso, un tema su cui vale la pena di riflettere anche se non si accettassero tutte le indicazioni qui offerte.

Fonte: Estratto da Josiah Warren, Equitable Commerce. Si veda anche, The Practical Anarchist. Writings of Josiah Warren, a cura di Crispin Sartwell, Fordham University Press, New York, 2011.

 


 

Il costo come determinante del prezzo

Se un viaggiatore, in un giorno di pieno sole, si fermasse presso una fattoria, e chiedesse un bicchiere d'acqua, generalmente lo otterrebbe senza che qualcuno pensi di chiedere o dare del denaro. Perché? Perché un bicchiere d'acqua non costa praticamente nulla, o il costo è del tutto irrilevante. Se il viaggiatore fosse talmente assetato da essere disposto a dare un dollaro per il bicchiere d'acqua, piuttosto che farne a meno, questo sarebbe il valore che l'acqua ha per lui in quel momento. E se il contadino esigesse quel prezzo, egli agirebbe sulla base del principio che il prezzo di un bene dovrebbe essere quello che è possibile ottenere per esso. E questo è il motto e lo spirito su cui si basa il commercio di questo mondo. Poniamo allora il caso che il contadino sia nella condizione di potere chiudere tutte le sorgenti d'acqua circostanti e quindi di eliminare tutte le riserve d'acqua provenienti da altre fonti eccetto la sua, e costringesse il viaggiatore a dipendere solo dalla sua sorgente d'acqua, e quindi esigesse da una persona assetata cento dollari per un bicchiere d'acqua. Così facendo egli agirebbe sulla base del principio che regola tutti gli affari del mondo da tempo immemoriale. Vale a dire, assegnare ad un bene il prezzo massimo che uno può ottenere o secondo il valore che esso ha per l'acquirente, invece che in rapporto al costo che ha per il produttore. Per una illustrazione di ciò basta consultare qualsiasi documento sui “prezzi correnti” o sullo “stato dei mercati”. […]

Si vedrà allora che i prezzi sono aumentati in relazione ad un bisogno accresciuto e abbassati quando il bisogno diminuisce. Lo speculatore di maggior successo è colui che può generare ad arte i bisogni maggiori nella comunità, ed estorcere per questo il massimo di guadagno. Si tratta, in sostanza, di cannibalismo civilizzato.

Il valore di una fetta di pane per una persona affamata è equivalente al valore della sua vita, e se il prezzo di un bene dovesse essere quello massimo che si può ricavare, allora qualcuno potrebbe chiedere ad uno che sta morendo di fame di diventare suo schiavo per tutta la vita, solo in cambio di una fetta di pane. Ma colui che pretendesse ciò sarebbe visto come un pazzo, un cannibale, e tutti in coro leverebbero le loro voci per denunciare questa oltraggiosa ingiustizia ed esigerebbero un castigo contro di lui! Ma perché? Che cosa costituisce cannibalismo in questo caso? Non è forse il fatto di fissare il prezzo della fetta di pane sulla base del Valore che ha per la persona affamata invece che sul Costo che ha per il produttore?

Se il produttore e il venditore di una certa quantità di pane avessero impiegato un'ora di lavoro per la sua produzione e commercializzazione per la persona che ha fame, allora qualche altro articolo che costerebbe al suo produttore e venditore un'ora equivalente di lavoro, rappresenterebbe un compenso giusto e naturale per quel pezzo di pane. Ho messo l'accento sull'idea di un lavoro equivalente perché mi sembra che dobbiamo fare la differenza tra diversi tipi di lavoro, alcuni più sgradevoli, più ripugnanti, che necessitano di uno sforzo più intenso (costoso) di altri per quanto concerne la facilità di esecuzione o l'impegno in termini di salute. L'idea di costo si estende e tiene conto di queste differenze, considerando il lavoro meno attraente come il più costoso. L'idea di costo abbraccia anche tutte le spese contingenti relative alla produzione e alla vendita. [1]

Un orologio ha un costo e un valore.

Il costo consiste nell'ammontare di lavoro impiegato nel trasformare una risorsa minerale o naturale in metallo, nel lavoro vero e proprio di produzione dell'orologio, nell'usura degli strumenti  utilizzati dal produttore, nell'affitto dei locali, nel riscaldamento degli stessi, includendo poi l'assicurazione, le tasse, il lavoro dei commessi e degli impiegati nella fabbrica, e varie altre spese contingenti necessarie per la sua manifattura, unitamente al lavoro necessario per trasferire il prodotto al venditore; e infine il lavoro e le spese contingenti del venditore nel consegnare l'orologio nelle mani di colui che lo utilizzerà. In alcuni di questi settori il lavoro è più impegnativo o più deleterio per la salute che in altri, ma tutti questi aspetti, e anche di più, costituiscono il costo dell'orologio.

Il valore di un orologio ben fatto dipende invece dalle qualità naturali dei metalli o minerali impiegati, dalla perfezione del suo meccanismo, dagli impieghi a cui è destinato e dai desideri e bisogni del suo acquirente. Dovrebbe essere differente per ogni orologio, per ogni acquirente, e sarebbe ogni giorno diverso anche nelle mani dello stesso acquirente, in relazione ai diversi usi a cui è destinato, in ogni momento.

Ora, tra questa moltitudine di valori, quale dovrebbe essere scelto per la fissazione del prezzo? Oppure, il prezzo dovrebbe variare ed essere lasciato fluttuare in relazione a questi mutevoli valori, e l'orologio non dovrebbe essere mai venduto definitivamente [ma solo dato in prestito] con un prezzo che varia di ora in ora? Il buon senso ci fa respingere tutto ciò, e ci dice che questi valori, come un raggio di sole e l'aria, sono la legittima e universale proprietà di tutti. In sostanza, nessuno ha il diritto di fissare un prezzo sulla base di questi valori. Il costo, quindi, è la sola misura razionale per la fissazione dei prezzi, anche nelle transazioni più complicate. Eppure, il valore è ritenuto come il solo principio che deve reggere tutti gli scambi in quella che è chiamata una società civilizzata.

Una persona potrebbe avvertire un'altra che un incendio è scoppiato nella sua casa. Questa informazione può essere di grande valore per lui e per la sua famiglia, ma darla non costa nulla; non c'è motivo di assegnarle un prezzo. La conversazione, e tutti gli altri interscambi di idee, attraverso i quali ognuno può trarre un enorme beneficio, possono produrre per tutti un valore incredibile. Dal momento che il costo è nullo o troppo irrisorio per tenerne conto, ciò costituisce quello che viene qui designato come semplice scambio intellettuale.

L'esecuzione estemporanea di un pezzo di musica per la gratificazione personale e di altri, attraverso la quale il musicista trova piacere e non pena, e che è effettuata senza spese aggiuntive, si può essere dire che non costa nulla, per cui non vi è motivo per la fissazione di un prezzo. Tuttavia, essa è di grande valore per tutti gli ascoltatori.

Uno scambio tra persone in cui sono coinvolti dei sentimenti, e non le energie dell’intelletto, e non ha aspetti pecuniari, è qui designata come scambio morale.

Una parola di simpatia per persone che soffrono può essere qualcosa che ha un notevole valore per loro; e trasformare questo valore in prezzo sarebbe come attenersi al principio che una cosa dovrebbe rendere il massimo del suo valore. Per quanto mercenari possiamo essere, anche attualmente, questa mercificazione della compassione non è messa in atto da nessuno se non una parte del clero.

Un uomo ha una causa legale in corso che mette a repentaglio la sua proprietà, la sua sicurezza, la sua libertà personale o persino la sua vita. L'avvocato che si occupa del caso chiede dieci, venti, cinquanta, cinquecento o cinquemila dollari, per alcune ore di studio e di intervento sul problema. Questa richiesta si baserebbe principalmente sul valore dei suoi servizi al cliente. Ora, non sembra che vi sia qualcosa di sbagliato in ciò, ma questo è solo perché ci siamo abituati ad accettare ciò che è sbagliato. Il caso è simile a quello a cui abbiamo accennato in precedenza della persona assetata. Il costo per l'avvocato potrebbe essere, diciamo, venti ore di lavoro, e mettendo nel conto anche una parte dedicata ad uno studio più approfondito del caso, diciamo ventuno ore in tutto, e unitamente alle altre spese contingenti, si arriverebbe alla fissazione di un prezzo appropriato. Ma il passo successivo fa dipendere il prezzo dal valore, e allora ci incamminiamo sulla strada del cannibalismo.

L'operaio, quando è ingaggiato per scavare la cantina dell'avvocato, non pensa mai di fissare il prezzo sulla base del futuro valore che la cantina apporterà al proprietario. Egli considera solo quanto tempo impiegherà, quanto difficile e duro è il terreno da scavare, le condizioni atmosferiche particolari a cui è esposto, l'usura delle persone impiegate e dei loro strumenti, ecc. e prendendo in esame tutti questi aspetti, egli non tiene conto se non del costo che dovrà sopportare.

[…]

Tutti i brevetti danno all'inventore o scopritore il potere di ottenere un prezzo che si basa sul valore della cosa brevettata. Invece, il suo compenso legittimo dovrebbe essere equivalente al costo della sua attività fisica e mentale, aggiungendo a ciò quello dei materiali e le spese relative agli esperimenti.

Uno speculatore compra dal governo un terreno pagandolo $1.25 per acro, e se lo tiene fino a quando dei miglioramenti fatti da altri nei terreni circostanti ne accrescono il valore, e allora lo vende per cinque, dieci, venti, cento o diecimila dollari per acro. Effettuando simili operazioni di cannibalismo civilizzato intere famiglie vivono, di generazione in generazione, nell'ozio e nella lussuria, a spese di molte altre persone che sono obbligate a comprare della terra a qualsiasi prezzo. Invece, il costo originario pagato per il terreno, le tasse, e altre spese contingenti per la perizia immobiliare, ecc., in aggiunta al lavoro per stipulare il contratto, tutto ciò costituirebbe un prezzo equo della terra posta in vendita.

Se A compra un lotto di terra per il suo utilizzo e B lo desidera più di A, allora A potrebbe correttamente prendere in esame tutto il lavoro che vi ha investito, e ciò che lo compenserebbe per il disagio o quanto gli costerebbe separarsi da quel pezzo di terra. Ma questo caso è profondamente diverso da quello di chi compra un terreno avendo come solo obiettivo una futura vendita a prezzo maggiorato, senza investire nel terreno alcun lavoro e senza patire alcun disagio dalla vendita. Noi operiamo una distinzione tra questi due casi, ma in nessuno dei due andiamo oltre al costo come determinante del prezzo.

A presta a B diecimila dollari al 6% di interesse per un anno, e alla fine di quel periodo riceve indietro l'intero ammontare e in più 600 dollari. Per che cosa? Per l'uso del denaro. Perché? La giustificazione è perché quello era il valore per chi aveva ricevuto il prestito. Per lo stesso motivo, perché non chiedere ad un uomo che muore di fame diecimila dollari per una fetta di pane col pretesto che questa gli salverebbe la vita? Il compenso legittimo per il prestito di denaro è il costo del lavoro necessario per la concessione e la restituzione del prestito. [2]

 

Il denaro e il principio del costo

Un altro ostacolo notevole ad una estesa ripartizione del lavoro, a scambi rapidi e agevoli, sembra essere la mancanza di mezzi per effettuare gli scambi. Noi non possiamo portare con noi i beni che possediamo con lo scopo di scambiarli con altri beni. Se questo fosse possibile in pratica, se potessimo dare una cosa in cambio di un'altra, immediatamente, e risolvere in questo modo tutte le transazioni, la moneta o un mezzo circolante non sarebbero stati inventati. Ma, dal momento che non possiamo portare con noi della farina, delle scarpe, assi di legname, mattoni, prodotti vari, ecc. per poi scambiarli con ciò di cui abbiamo bisogno, vi è necessità di qualcosa che rappresenti questi beni e che noi possiamo sempre portare con noi.

Questa forma che rappresenta beni di nostra proprietà dovrebbe essere il circolante. Gli studiosi della teoria hanno affermato che il denaro è questa forma rappresentativa, ma non è affatto vero. Un dollaro non rappresenta nulla se non sé stesso, né può essere altrimenti. In nessun momento esso rappresenta una richiesta rivolta a chicchessia per un qualche ammontare di un certo tipo di beni o per una certa prestazione. In un dato momento un dollaro ci procurerà due sacchi di patate, in altri momenti tre sacchi, o quattro, e persone diverse otterranno, nello stesso momento, quantità diverse di patate. [3] Il dollaro non ha un valore definito una volta per tutte, né, se lo avesse, il suo valore lo qualificherebbe come mezzo per la circolazione dei beni. Al contrario, essendo il valore e il costo associati inseparabilmente all'uso della moneta come forma rappresentativa, questo squalifica ogni tipo di denaro dalla funzione di mezzo circolante. Il denaro dovrebbe avere una sola funzione, un solo scopo, unico e preciso, quello di fungere come sostituto della cosa rappresentata, come una miniatura rappresenta una persona. [4]

Il denaro rappresenta il frutto di una rapina, è il mezzo per le operazioni di banca, per il gioco d'azzardo, è uno strumento per la truffa, può essere contraffatto, ecc. così come può anche rappresentare dei beni. Ha un valore che varia secondo l'individuo che lo usa e si modifica continuamente in base al suo uso. In sostanza, un quadro che raffigurasse ad un certo momento un uomo, ad un altro momento una scimmia, e poi una zucca, sarebbe il ritratto vero e appropriato di una persona, così come il denaro lo sarebbe come mezzo per la circolazione dei beni.

Noi invece vogliamo uno strumento circolante che sia la rappresentazione precisa di una certa quantità di beni, e nient'altro che una sua rappresentazione. Per cui, quando non possiamo fare direttamente degli scambi equivalenti di beni, possiamo supplire a questa mancanza attraverso qualcosa che rappresenti un certo bene in maniera chiara. E questo qualcosa non dovrebbe avere alcun riferimento al valore del bene, ma solo al suo costo, di modo che se io ottengo una data quantità di frumento da una persona, io do un buono valido presso il calzolaio con il quale quell'individuo può ottenere dal calzolaio un bene contenente uno sforzo produttivo pari a quello impiegato per la produzione di quella quantità di frumento – vale a dire delle quantità di costo equivalente. E per effettuare questi scambi con estrema facilità, ogni produttore dovrebbe avere sempre a disposizione una quantità abbondante di questi buoni, o essere in grado di generarli attraverso ciò che ha prodotto per soddisfare dei bisogni, in modo da far corrispondere la quantità di buoni circolanti alla esigenza di far circolare i beni. Questo problema non è stato né mai sarà risolto dai finanzieri di tutto il mondo fino a quando il valore è messo al posto del costo. L'obiezione comune che si fa è che “se ci fosse moneta in quantità noi compreremmo molti beni che non possiamo attualmente perché non sono stati prodotti”. Ne risulta quindi che alcuni scambi che avrebbero potuto aver luogo non avvengono, e l'ammontare delle attività produttive sarà sempre in relazione alle possibilità di scambio e di vendita.

In assenza di strumenti per la circolazione dei beni, non ci possono essere né scambi a sufficienza né attività produttive diversificate. Invece, laddove vi sono quantità sufficienti dei mezzi per la circolazione, gli scambi e le varie attività produttive non sarebbero limitate dal bisogno di denaro. Una registrazione effettuata da ogni produttore per il suo lavoro, con il bene prodotto stimato sulla base del costo, costituisce qualcosa di perfettamente legittimo e soddisfacente per tutti gli scopi relativi ad uno strumento per la circolazione dei beni. Questa registrazione contabile, che vale come buono per gli scambi, è basata sulle ossa e sui muscoli, sulle energie manuali, sui talenti, sulle risorse esistenti, sui beni attuali e sul potere e le capacità di produzione di beni da parte di una intera popolazione. Ciò rappresenta la più sensata e sicura di tutte le basi per un mezzo atto alla circolazione dei beni, ed è l'unico tipo di circolante che avrebbe dovuto essere emesso.

L'unica e sola obiezione che si può avanzare è che questo circolante metterebbe immediatamente fine a tutte le grandi transazioni finanziare esistenti al mondo, a tutte le banche e operazioni bancarie, a tutti i giochi degli speculatori borsistici, agli affaristi e ai loro movimenti di denaro [5]. Si porrebbe fine alla distinzione tra ricchi e poveri, rendendo necessario il fatto che ognuno viva e si goda la vita in maniera autonoma, e contribuirebbe notevolmente a diffondere nel mondo l'ordine, la pace e l'armonia.

[…]

Quando ogni cosa è comperata e venduta per strappare il massimo di profitto, ognuno ha interesse a comperare gli oggetti al prezzo più basso possibile. Quanto più basso è il prezzo, tanto più ritiene di fare un affare. Questa è la causa dell'attuale orrendo sistema di concorrenza che stritola e distrugge i produttori che sono quindi spinti a togliersi a vicenda il lavoro. Avviene poi che ci siano pochi articoli di vestiario, di alimentazione, pochi attrezzi o medicine, che siano davvero buoni per l'uso; noi siamo sempre intenti a comperare e a gettare via, a essere ingannati riguardo ai nostri soldi e al nostro tempo, e a rimanere delusi per ciò che comperiamo. Nessuno è responsabile. Il venditore non produce i beni ma li importa da fornitori che è difficile contattare se un problema dovesse sorgere. E perché tutto è importato, persino le scarpe, gli attrezzi di uso corrente, gli articoli di lana e di cotone? Solo in vista del profitto.

Se il costo fosse la misura determinante del prezzo, il venditore di articoli non avrebbe nessun motivo particolare di comperare un bene al prezzo più basso possibile che avrebbe strappato ai produttori; e questi ultimi non avrebbero alcun motivo di giocare al ribasso tra di loro e distruggersi l'un l'altro. Ci sarebbero produttori solo nella misura necessaria a soddisfare la domanda e non ci sarebbe motivo di importare quello che potrebbe essere prodotto sul posto con lo stesso vantaggio; e il produttore sarebbe obbligato ad assumersi la sua personale responsabilità per gli articoli prodotti perché, laddove non vi è l'obiettivo primario della massimizzazione dei profitti, il commerciante non gli acquisterebbe la merce se fosse altrimenti. E dove la terra è acquistata e venduta a prezzo di costo, tutti coloro che svolgono una attività sarebbero i proprietari dei locali in cui si svolge l'attività; e ciascun individuo dovrebbe fare molta attenzione a conservare una buona reputazione, perché le persone lo potrebbero facilmente individuare e un altro produttore potrebbe prendere il suo posto.

Si vede quindi che il principio del costo come determinante del prezzo è il mezzo per far sì che la concorrenza non solo non sia distruttiva ma che operi come un grande regolatore e correttore del potere. Sotto la sua forte influenza non solo si evita una rovina causata dall'importazione eccessiva di articoli di consumo senza alcun valore, ma siamo praticamente sicuri di avere buoni prodotti essendo i produttori facilmente localizzabili e raggiungibili.  

Con la corsa verso profitti illimitati nel commercio annullata per mezzo di scambi equi tra differenti regioni, le importazioni e le esportazioni raggiungeranno un livello naturale di equilibrio e saranno circoscritte a quei beni che sono davvero di reciproco beneficio. Ognuno avrebbe interesse a cooperare alla prosperità dell'altro. Quando questo avverrà, gli eserciti e la marina che sono adesso occupati a consumare e distruggere saranno obbligati a produrre almeno tutto ciò che consumano, e quindi un altro grosso peso sarà tolto dalle spalle dei lavoratori sfruttati.

Con il costo divenuto il determinante del prezzo, nessuna contrattazione, mercanteggiamento, e gioco al rialzo o al ribasso (così disgustosi per tutti), ostacolerà l'acquisto diretto e immediato di qualsiasi cosa uno vuole. Il prezzo sarà noto di anno in anno e sarà pagato senza fiatare, e il tempo ora sprecato per discutere al riguardo sarà semplicemente o utilmente impiegato altrove.

Le guerre sono, con tutta probabilità, il fattore maggiormente responsabile della distruzione dei beni. Ed esse hanno principalmente due cause. Innanzitutto, il depredare altre popolazioni direttamente o indirettamente; in secondo luogo, assicurare ad alcuni il privilegio di dominare altri. Il saccheggio diretto cesserà quando gli individui potranno produrre e godere di beni con minori difficoltà di quante ne avrebbero ad appropriarsi delle proprietà altrui. Il saccheggio indiretto cesserà quando il costo diventerà il determinante del prezzo, tagliando così tutti i profitti eccessivi del commercio. Il privilegio di dominare gli altri cesserà quando gli esseri umani si organizzeranno al di fuori di steccati nazionali o altre simili combinazioni e amministreranno le cose di persona, tratteranno l'un l'altro in maniera equa e non daranno alcuno spazio all'intervento di un governo.  

[…]

Le individualità naturali ci invitano a non essere dogmatici riguardo a questo o a qualsiasi altro tema, ma a fare attenzione a non costruire delle istituzioni che richiedono una aderenza rigida a qualunque tipo di regole, sistemi o dogmi inventati dagli esseri umani; di lasciare che ognuno sia libero di mettere in atto, oppure no, uno o tutti i principi qui proposti, e di introdurre tutte le modifiche o eccezioni che appaiono opportune, decidendo e agendo sempre a sue spese e non a spese di altri.

 


 

Note

[1] La posizione qui presentata da Josiah Warren non ha molto a che vedere con la versione rozza (e assurda) sostenuta o presentata da alcuni: numero di ore lavorate = prezzo del bene prodotto. Infatti, ne risulterebbe che quanto meno una persona è capace, quindi quante più ore impiega a produrre qualcosa, tanto più dovrebbe costare quel bene; e quindi egli potrebbe pretendere un prezzo più elevato rispetto ad un produttore più esperto.

Sia Adam Smith che David Ricardo hanno tutti sostenuto idee simili a quelle di Warren.

Adam Smith associa il prezzo (real price) al costo quando scrive: "Labour, therefore, is the real measure of the exchangeable value of all commodities. The real price of every thing, what every thing really costs to the man who wants to acquire it, is the toil and trouble of acquiring it." [Il lavoro è quindi la vera misura del valore di scambio di tutti i beni. Il prezzo reale di ogni oggetto, quello che un oggetto davvero costa ad una persona che lo vuole acquistare, è la fatica e la difficoltà di procurarselo.” (The Wealth of Nations, Libro I, Capitolo V, 1776)

La fatica e difficoltà sono connessi alla quantità e qualità del lavoro impiegato per produrli.

Per David Ricardo: “It is the cost of production which must ultimately regulate the price of commodities, and not, as has been often said, the proportion between the supply and demand: the proportion between supply and demand may, indeed, for a time, affect the market value of a commodity, until it is supplied in greater or less abundance, according as the demand may have increased or diminished; but this effect will be only of temporary duration.” [È il costo di produzione che, in ultima istanza, deve regolare il prezzo dei beni, e non, come è stato detto spesso, la relazione tra offerta e domanda: questa relazione tra offerta e domanda può, in realtà, per un certo periodo, avere degli effetti sul valore di mercato di un certo bene, fino a quando non cresce la sua produzione e quindi la sua offerta in relazione al variare della domanda. Ma questo effetto sarà solo di breve durata.] (On the Principles of Political Economy and Taxation, Capitolo XXX: On the Influence of Demand and Supply on Prices, 1817).  

In sostanza si può affermare, sulla base del pensiero di Smith e Ricardo, che il prezzo reale (real price), valido nel lungo periodo, dipende da tutti i costi affrontati per produrlo e il prezzo di mercato (market price) valido nel breve periodo, dipende dal rapporto tra quantità offerta e quantità domandata di un dato bene. 

[2] Se il prestito dipendesse dall'uso che se ne fa e dai relativi ricavi, i tassi di interesse sarebbero variabili non solo in relazione ad ogni singolo prestito, ma anche in relazione ai profitti ottenuti o alle perdite subite da chi ha ricevuto il prestito. Tassi di interesse estremamente bassi, praticati nei primi decenni del ventunesimo secolo, mostrano che l'idea di un tasso allineato sul costo di gestione del prestito non è poi una idea così assurda come si potrebbe ritenere. Siamo addirittura arrivati in taluni casi (Svizzera 2018) a tassi di interesse negativi per coprire il costo di depositare il denaro presso la Banca Centrale.

[3] Una moneta inflazionata perde progressivamente la capacità di acquisto in relazione ai beni. Per questo abbiamo l'esempio di varie unità di denaro che, in tempi diversi, sono necessarie per acquistare una data quantità di patate. Il cambio di una moneta in altre monete fa inoltre sì che, nello stesso momento, le persone, a seguito del cambio, ottengano quantità diverse di un dato bene.

[4] In sostanza sarebbe come se 1 dollaro = un kilo di mele = mezzo kilo di patate = ecc. ecc. In sostanza lo scambio sarebbe tra prodotti equivalenti quanto al costo di produzione e commercializzazione, e la moneta rappresenterebbe solo un comodo strumento di registrazione e facilitazione degli scambi.

[5] La maggior parte della circolazione monetaria non ha nulla a che vedere con lo scambio e l'acquisto di beni materiali e di servizi richiesti ma riguarda pure e semplici transazioni finanziarie. Infatti, “il volume delle transazioni finanziarie nel 2008 nell’ambito dell’economia globale è stato 73.5 volte più elevato del valore nominale del Prodotto Interno Lordo mondiale.” (Austrian Institute for Economic Research, 2009). E “le transazioni finanziarie mondiali sono passate da 1.1 quadrilioni di dollari nel 2002 a 2.2 quadrilioni di dollari nel 2008.” (Wikipedia, Financialization).

 

 


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